Urla dalle fogne: il punk e l’hardcore italiano colpiscono ancora

Per essere un’uscita indipendente e hardcore, han tirato su un bel battage per Old City New Ruins dei neonati FELDSPAR. Esordio con dentro due chitarre, una dagli Undertakers, l’altra dai Growing Concern, definiti nei comunicati stampa “padrini” dell’HC italiano. Perché usare quella parola, mi chiedo… I Feldspar si presentano come collettivo, a Roma. Sono di Roma, si usa così, se fai rap sei un/una crew, fai folk e sei un’orchestra/orchestrina/orchestraccia, fai doom e metti su una gang di biker, fai punk hardcore e sei un collettivo, ci sta. Il materiale promozionale, copiancollato su alcune pagine musicali, riporta il curriculum dettagliato di chiunque abbia messo mano al disco (nonché di genitori e parenti) e pure qualche riferimento, qualcuno un po’ a casaccio, tipo gli Slayer. Si citano i Turbonegro e i Kvelertak, perché è sicuro che l’hardcore dei Feldspar è parecchio rock, come attitudine, ma non aspettatevi né il sarcasmo dissacrante di Happy Tom e soci né la grammatica mista black metal e 70’s rock di quelli mezzi impronunciabili fissati con i piccioni in copertina. Anche se alcuni fraseggi di chitarra sembrano presi pari pari da là. Semmai le seconde voci, quelle femminili e melodiche (non tutte irresistibili, ecco) allineano la proposta dei romani a quella dei Fucked Up. Che hanno il Peccato di piacere/essere piaciuti alla gente che legge Pitchfork, ma prima che perdessero smalto sono stati grandiosi, almeno per tre dischi sani. Comunque, se i Feldspar assomigliano a qualcuno, assomigliano ai Fucked Up. Hardcore rock melodico, tendente all’innodico. Però senza un gancio memorabile, il risultato. Ascolto piacevole, comunque. Tutto cantato in inglese, per cui l’ambizione sarebbe quella di uscirsene dal raccordo e per un bel tratto. Auguri. Ah, la voce femminile è di tale Anna Pasolini. Alé.

Nettamente meno coatti i parmigiani SHITTY LIFE. Storicamente poco prolifici, ma hanno tirato fuori un album l’anno passato, Limits to Growth, e uno split quest’anno con gli statunitensi Judy and the Jerks. Loro si definirebbero “DIY chitarrino power punk”, dove “power punk”, vi dico io, vuol dire essere a volte a un passo dall’hardcore, e “chitarrino” credo stia per il fatto che le chitarre non le distorcono granché, anzi, pochissimo. Per cosa stia “DIY” non devo dirvelo io. Velocissimi e martellanti, pochissimo melodici, frenetici, tanto. Magari li conoscevate già, magari no. Comunque, non son nati ieri e il nome gira già da un bel po’, anche e soprattutto fuori confine e oltreoceano. Quindi: Limits to Growth era un bel ritorno, urlato, scomposto, frammentato. Per lo split di quest’anno tirano fuori solo quattro pezzi nuovi, senza sosta e senza novità. Suonati bene, registrati meglio. Un bel po’ fuori dal nostro recinto solito, pare quasi post-punk, la grammatica, ma si suda parecchio. Forse si rallenta un po’ di più. Non troppo. Ah, Judy and the Jerks non sono da meno, anzi, ma oggi ci occupiamo di paesani, per cui approfondiamo meglio la prossima volta. Tutte uscite molto brevi, tutti brani molto brevi. Ma son tutti candelotti a miccia corta.

Disco intero, il primo, per i POTERE NEGATIVO, dopo un demo e un Ep su cassetta. Valtellinesi, li avevo incrociati quando mi ero invaghito per i Lucta (un demo/Ep risalente al 2018, poi non mi risulta altro), che farebbero “occult witch punk”. I Potere Negativo fanno hardcore, D-Beat, a un passo a volte dal crust. Il disco, insomma, Benvenuto all’Inferno, tutto in italiano (evviva), dura pure poco, una manciata di minuti, ma c’entra la musica, con questa qui a quarantacinque non ci arrivi facile. Però è bello. Ci senti, a tratti, l’hardcore glorioso degli ’80, ma anche (con stile diverso) qualche modalità che li accomunerebbe a Sottopressione e La Crisi. L’hardcore nostrano, in versione lombarda. Ma pure qualche potenzialità deathrock. Duro, freddo, grigio, disperato come il cemento. Che in Valtellina non sarà magari tantissimo, ma a scendere in pianura è un attimo. “Qui tutto cambia per non cambiare / nostalgia puzza di morte”. Le parole sono importanti e non è importante che siano poetiche, importa siano schiaffi.

Coi LOIA ci spostiamo a Firenze. Scuderia Diodrone e split in passato con gli Hate & Merda che qua piacciono assai assai. Hardcore più metallico, più estremo, più rigido. Dissonante. Qualche chitarra la sentiresti pure in qualche forma di black metal. Ma la forma prevalente è hardcore, quindi punk. L’Alba della Preda ha testi urlati, ma non al punto da non essere più intelligibili. Anzi, la voce spesso sovrasta la corsa concitata delle strumentali, sotto. Vuoto, l’iniziale, e pure la successiva L’Alba della Preda hanno riff post-hardcore, di quel post-hardcore post-slayeriano che si diffondeva qualche tempo fa. Nere, nerissime. Poi il disco come prosegue mi piace meno, le strumentali si incupiscono meno e prevale, come dicevo, la voce, ma la metrica non mi convince. Troppe sillabe, a volte si capisce un’acca. Holiday in Camploia, una mezza cover di voi-sapete-chi, mi suona un po’ banale ed è un peccato perché un verso come “vieni a visitare il terzo mondo sotto casa tua” centrerebbe il segno. L’intro di Ninna Nanna mi convince che Ferretti Giovanni Lindo è un riferimento presente e non solo per la metrica, poi riprende il massacro. Quello dell’inizio. E il disco termina scalciando ancora, tra pandemia e depressione.

Chiudiamo da Milano, coi GOLPE, e torniamo al D-Beat. Anzi, direttamente quasi ai Wretched, ai Discharge e al Chaos, opposto alla Musica, com’è giusto che sia. In realtà il suono dei Golpe, anche se strasaturo, gli strumenti te li fa sentire. E pure le parole. Tadzio, l’urlatore, è attento a non mettercene troppe, a tenere quelle giuste, che arrivano e fanno male. Insomma, l’altr’anno è uscito Assuefazione Quotidiana, un Ep, mentre quest’anno ripubblicano Subisci. Conformati. Rassegnati., l’Ep/demo/cassetta d’esordio del 2019. E ci aggiungono per gradire un medley ghiotto di Wretched, Indigesti, EU’s Arse e Nabat. E infatti pare che nei pezzi più recenti si faccia strada pure un certo rigore Oi. A me piace parecchio quello che fa il batterista, che pure se suona un (sotto)genere che prende il nome proprio da un ritmo, da un tempo di batteria, ci mette il suo e dinamica a pacchi. Comunque sono tutti i Golpe a suonare come uno schiaffo in faccia. Grafiche perfette, suono carta vetrata, pezzi duri, parole dure. Da recuperare sicuro pure l’album La Colpa è solo Tua, del 2021. E magari queste uscite più recenti sono solo il preludio per la prossima mazzata. Noi ci saremo. (Lorenzo Centini)

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