La lista della spesa di Griffar: GESTORBEN, WEHMUT
Il duo tedesco GESTORBEN nacque molto tempo fa, si parla di almeno quindici anni. Uscì con un paio di titoli passati assai inosservati, fu messo in ghiaccio per un bel pezzo, talmente tanto che probabilmente nessuno si ricordava più di loro. Invece, a maggio, la nostrana sicula War Against Yourself ha dato alle stampe il loro primo mini-album vero e proprio, Von Herbst zum Winter Zyklus, ed è quasi sembrato un esordio assoluto.
Suonano atmospheric black metal che talvolta sconfina nel depressive, non di frequente tuttavia e non in quello più suicidal. I pezzi, specialmente i due centrali più brevi, hanno un discreto tiro e sono decisamente grintosi per i canoni del black atmosferico: Der Wind pfeift durch das Kahl Geäst è darkthroniana fino al midollo e non arriva ai quattro minuti, giusto per dire. Scrivono riff che non rivoluzionano la storia del black metal, questo va detto; ma sono convinti, godibili, memorizzabili ed efficaci. I due brani più lunghi sono di base più lenti, cadenzati, e non disdegnano arrangiamenti di sola chitarra acustica, inserti più tenui e languidi rispetto al muro sonoro delle chitarre, comunque sempre presente in tutto l’album. Disco gradevole e gustoso, doveroso segnalarlo. Poi dura circa 25 minuti, è un ascolto piuttosto snello. In digitale o CD, credo come prassi dell’etichetta limitato a 166 copie.
Già segnalati più volte in precedenza, tornano con il terzo album i depressive blackster tedeschi WEHMUT (parlo come fosse una band ma, come spesso accade, è un progetto solista nel quale Johannes Riess si occupa di ogni aspetto possibile). La musica è in prevalenza lenta, evocativa e mirata a suscitare emozioni o a sfogarsi in un pianto a dirotto se il periodo che si vive non è dei più prosperi.
In questo nuovo episodio i brani sono sei, quasi tutti dagli otto minuti in su, composti con grande passione e strizzando l’occhio in talune occasioni al post-black, come già accadeva nel disco precedente, restando sempre con i piedi ben piantati nel black cupo, lento e soffocante. Tuttavia, stavolta, in più occasioni del solito si abbandona alla velocità e alla violenza più dura: tutto il lavoro nel suo insieme appare più arrabbiato rispetto agli episodi passati, spesso però al massacro sonoro più sfrenato seguono le parti più dolci ed atmosferiche di tutta l’opera, un’alternanza di emozioni contrastanti certamente non casuale. II: Winter ha l’ambizione di portare l’ascoltatore in mondi interiori dove ci si confronta con il proprio stato d’animo, le proprie debolezze, i timori inconfessati e quella vocina che arriva da dentro di noi e che nei libri di Stephen King è sempre scritta in corsivo. L’intento è riuscito in pieno e, se il protagonista fosse un pelo più bravo a diversificare il suo screaming, qui si starebbe parlando di un disco da lacrime agli occhi. Bitte Gib Mir Schlaf è un pezzone da libro d’oro, e non esagero affatto. Non è recentissimo (uscito ad aprile… quanto mi incazzo quando mi tocca scrivere di un disco uscito pochi mesi fa come di un reperto storico, ma così sono i tempi moderni) e come al solito esiste solo in versione digitale. Non sarebbe male che qualcuno tentasse di convincerlo a realizzare anche qualche copia fisica: ripeto da sempre che solo il digitale fa di te e del tuo lavoro una mera goccia di pioggia nell’Oceano Atlantico. (Griffar)


