Corsa a perdifiato tra le cripte di una città sotterranea: LORD GOBLIN – st
Metal Skunk non è solo turni di lavoro assurdi, nonnismo, vessazioni continue e condizioni salariali per lo meno discutibili. È anche storia di soddisfazioni e dialogo reciproco coi lettori (specie sulla chat Telegram), ignari del mesto dietro le quinte. Si instaura un bel dialogo, talvolta, e capita spesso di farsi consigliare un disco da uno dei nickname più o meno anonimi che bazzicano quello spazio virtuale. Così è capitato appunto con l’esordio dei Lord Goblin, che mi era già finito “tra le mani” (intendo su Bandcamp) per via della copertina, ma che avevo superficialmente destinato ad ascolti in un futuro non meglio precisato. Ci sono tornato su con più attenzione ora, a mesi dall’uscita, grazie proprio ad un breve dibattito in chat nel quale ero stato chiamato in causa personalmente. Beh, grazie, ragazzi. Perché, detto subito fuori dai denti, come minimo un disco del genere merita ben più dell’ascolto fugace che si riesce a dedicare alle tante nuove uscite che piombano sulla scrivania ogni settimana. Contestualizziamo un attimo: la band è stanziale ad Aylesbury, Buckinghamshire, ma è composta integralmente da transfughi sardi, dal sassarese. In formazione in questo disco sono in tre, tutti celati da nomi di battaglia, ma tanto sapete andare su Metal Archives da soli. Sito che li dà attivi persino dal 2007, ma in realtà le prime cose sono uscite nel 2016 (un singolo) e nel 2021 (un Ep). Fra l’altro, recuperate ora col senno del poi, già valide. Di quest’anno, invece (primavera) l’esordio su distanza lunga (non lunghissima, comunque sotto i quaranta minuti), intitolato semplicemente come la stessa ragione sociale della band e come il nome di battaglia del cantante.

L’attacco del disco, con Northern Skyline ed il suo blast beat, suona esemplare e d’incoraggiamento per tutti gli italiani che sognano di trasferirsi verso lidi ben più settentrionali, che so, della bergamasca. Il suono è heavy metal, indubbiamente, ma oscuro nel tono. Più che oscuro: black. I riff, algidi, e le ritmiche richiamano la scuola dei ’90 scandinavi, in maniera persino più spinta di quanto non accada già nelle maglie dell’acciaio dei Portrait. Bel riferimento, ne converrete, e infatti i Lord Goblin, volenti o no, possono dire la loro su questo (ancora troppo poco esplorato) filone di band legate al metallo classico, ma con una voglia di immergerlo nelle atmosfere ghiacciate del black degli anni ’90. A differenza degli svedesi, comunque, gli anglo-sassaresi (ed in particolare Lord Goblin in persona, al secolo Marco Piu) non omaggiano il Re Diamante e le sue compagini. Non più di tanto, diciamo che non lo imitano, anche se chiunque suoni metallo oscuro di questo tipo al Fato Misericordioso deve necessariamente parecchio. Già da Northern Skyline comunque irrompe subito anche l’organo, un organo lugubre, chiesastico, funebre, con un ruolo che secondario non è. Ed è una delle caratteristiche che permettono di acchiappare subito l’attenzione di quel tipo di ascoltatore che è sempre in cerca di atmosfere morbose e macabre.

Addentrandosi poi nelle trame del disco, come si farebbe tra corridoi e cripte di una città sotterranea, la musica non cambia, fortunatamente. Semmai il discorso viene ampliato, arricchendolo. Con strutture maideniane, tappeti di hammond anni ’70, chitarra solista melodica e narrativa, cadenze epic metal e sfuriate black. C’è persino un assolo di batteria, come si usava una volta. Serve a far piazza pulita e lanciare i dodici minuti complessivi del finale, suddiviso nelle due parti di Light of the Black Sun. Una corsa a perdifiato, al buio. Mi vengono in mente due riferimenti “alti”, entrambi piuttosto ambiziosi e difficili (o impossibili) da eguagliare, nonché diversissimi. Da un lato il modo che ha A Light in the Black di chiudere il viaggio immaginifico di Rising dei Rainbow come fosse un treno lanciato nella notte. Poi c’è il suono, la cui idea in fondo è la stessa di quello di Vltra degli Spite Extreme Wing (“Tutto lo sporco degli anni ’90 con la tecnologia degli anni ’70”, citando qualcuno che c’entra nulla). Ora, dirvi che Lord Goblin, l’album, eguaglia Vltra o Rising ovviamente no, non è quello il punto. Semmai il punto è che c’è una band giovane (relativamente, non sono dei ragazzini) che sta seguendo una strada particolarmente interessante e lo sta facendo in una maniera coerente, anche coraggiosa, fresca. Il finale morriconiano, con il blast beat furioso e le campane, in un’atmosfera che sembra quasi rasserenarsi un pelo dopo tutta quella oscurità, è la prova che i Lord Goblin hanno personalità e bravura a sufficienza perché il loro disco non si confonda con la massa delle uscite dal campo (largo) NWOTHM o simili. Ascoltatelo, davvero un esordio promettente. Diffonde la greca No Remorse Records, che di roba buona ne spaccia davvero parecchia. (Lorenzo Centini)

❤
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molto intriganti, grazie!
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Pur non essendo le mie cose, si apprezzano alla grande le capacità compositive della band e le tematiche. Peccato per la produzione che pur essendo molto curata penalizza la batteria che scompare con le dinamiche veloci specie sulle basse che non fa’ apprezzare il lavoro importante sottostante. Però davvero notevole il tutt’insieme.
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Boh…a me sembra che ultimamente in tanti rifacciano lo stesso disco
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