THE SMASHING PUMPKINS – Aghori Mhori Mei

Ormai ogni volta che viene annunciato un nuovo Smashing Pumpkins, mi prende lo sconforto. Pensare questo di una delle band che ho amato di più nella vita mi fa malissimo. Personalmente mi ritengo molto equilibrato nel giudizio che ho nei loro confronti: non sono severo con alcune delle uscite post Machina, come scrissi in occasione della pubblicazione della prima parte di ATUM, per me Zeitgeist resta un gran bel disco, in Oceania troviamo delle cose davvero bellissime (in mezzo a pezzi imbarazzanti e a una produzione a tratti inspiegabile), il disco della “reunion” è carino, ma poi, a parte singole cose o progetti estemporanei , è davvero un terribile calvario.

Aghori Mhori Mei (improbabile mix di giapponese e sanscrito… ma sorvoliamo) è stato descritto come un ritorno al passato, ai primi ‘90 e alla concisione: 10 brani per 44 minuti. Se un annuncio del genere generalmente potrebbe far ben sperare, è altrettanto vero che siamo ben troppo abituati a “ritorni” a dir poco fallimentari che ci fanno temere, se possibile, ancor di più per le sorti del disco. E invece, signore e signori, Aghori Mhori Mei si rivela essere il miglior disco delle zucche quantomeno da Zeitgeist. Il che non significa che sia un grande album, ma per prima cosa è un lavoro che ha senso: non abbiamo più quell’effetto di accozzaglia e commistione di generi senza un filo logico, costantemente preda del cattivo gusto.

Certo, anche in questo caso ci sono alcuni synth di cui avremmo fatto a meno e una produzione estremamente “bombastica” (seppur non fuori luogo), ma il disco è effettivamente coerente con l’annuncio: un disco rock anni ‘90, per alcune cose più vicino a Gish che ai dischi successivi, con diversi incursioni in territori hard rock/metal. Perché, nonostante molti abbiano storto il naso rispetto ad alcune soluzioni, l’amore di Billy Corgan per un certo tipo di sonorità è sempre stato chiaro ed esplicitato dallo stesso frontman in occasione di interviste in cui esprimeva il proprio -giusto- amore per gruppi come Scorpions e Savatage(!). E vi dirò, cari sette lettori e tre quarti, che quando è partita l’iniziale Edin, di gran lunga la migliore dell’album, mi sono anche emozionato. Perché ok, potrà anche sembrare finto e costruito a tavolino, ma le chitarre sincopate stile Gish, il suono pieno come non accadeva da tempo, un ritornello incisivo e delle linee melodiche che fanno la differenza, rendono Edin uno dei tre/quattro brani migliori degli Smashing Pumpkins degli ultimi 20 anni.

Il resto del disco, pur non riuscendo a raggiungere i livelli del brano di apertura, per la prima volta da secoli non contiene nemmeno gli abissi di bruttezza indicibili a cui ci siamo purtroppo abituati Intendiamoci, alcune ballate un po’ melense e funestate da suoni plasticosi e sintetici (Pentecost, Who Goes There, Murnau) in altri anni sarebbero uscite molto meglio ma, comunque, contengono dei momenti melodici tutt’altro che disprezzabili (soprattutto la seconda).  E, del resto, quante cose ci riuscivano meglio quando avevamo qualche anno in meno? Corgan in questo è molto onesto quando nella presentazione dell’album, afferma che se è vero che c’è un assioma secondo cui “non si può tornare a casa di nuovo”, quando c’è la voglia, “perché non provarci comunque di nuovo?”. E ascoltando il primo singolo Sighommi, che sembra una bside di Siamese Dream (con le dovute proporzioni), oppure la tiratissima cavalcata protometal War Dreams Of Itself, questa voglia si percepisce davvero.

Non è una triste pantomima, si sentono davvero sano divertimento e passione, pur nella consapevolezza che la “casa” sarà diversa da come ce la ricordiamo. E se magari Pentagrams, molto vicina a certe cose di Zeitgeist, avrebbe beneficiato di una produzione e di arrangiamenti migliori, è altrettanto vero che ti entra in testa e funziona, così come Goeth The Fall, che riprende territori più melloncolliani, ma li inserisce in un contesto quasi wave che funziona e neanche poco, pur non inventandosi nulla.

Perché in fondo è meglio così, perché gli Smashing Pumpkins di certo non devono più dimostrare niente a nessuno e soprattutto non devono sorprendere (perché non ne sono più in grado). Quindi ben vengano riletture in chiave metal del passato come in Sicaurus (con tanto di riff savatageiano che fa capolino nella seconda parte del brano), che non sarà il pezzo più elegante di sempre, ma ha decisamente mordente, così come 999 con le sue tronfie chitarre hard rock di un Iha in forma smagliante. Perché Aghori Mhori Mei, a differenza di tutti i dischi del passato più o meno recente, trova la sua forza proprio nei brani più rock, come non accadeva da tempo.

E se magari, eccezion fatta per la già citata Edin, mancano episodi davvero notevoli – come si potevano trovare in dischi più discontinui come Oceania – il risultato complessivo, alla faccia degli incontentabili e incontenibili surfisti del rock e dei barricaderi degli anni ‘90 (abbiamo 40 anni, e su!), è positivo. E se anche Corgan e soci (che, tra l’altro, danno un’ottima prova su disco) sono consapevoli che un VERO ritorno sia impossibile, ci teniamo stretto questo sette in pagella a fine anno, a cui abbiamo cancellato con la gomma blu il segno “meno” e che sembrava a dir poco impensabile fino a qualche mese fa. (L’Azzeccagarbugli)

4 commenti

  • Avatar di Fanta

    Sto disco si chiama come una nonna calabrese che fa gli auguri di compleanno ai nipoti gemelli.
    Ottimo, veramente.

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  • Avatar di Alessandro

    Ragazzi…ammettiamolo…questo è un gran bel disco.

    In cuor nostro siamo felici.

    Ho ascoltato veramente tante volte questo album,non stanca , non puoi e non riesci a saltare nessun brano.

    “Edin” è davvero affascinante..l inizio è forse davvero uno dei migliori in assoluto…ma ascoltate bene…anche tutto il resto ha un anima leggera e geniale.

    Siamo onesti, in passato anche album di successo conclamato prima di machina e machina 2 contenevano brani trascurabili alternati ad altri veri capolavori. Ti adoravamo prima e anche se ti avevamo un po’ perso , continueremo ad adorarti ancora

    Sapevo che non eri morto Billy…

    Grazie

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    • Avatar di Luigi

      Il rischio che l’album fosse brutto c’era, sia per eventuale mancanza di ispirazione dopo tanti anni sia perchè l’impegno con la NWA (wrestling) è notevole e ti toglie tempo ed energie.

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      • Avatar di Fanta

        Avevo scritto una mezza cazzata sul titolo veramente imbarazzante di questo disco. Evidentemente il mio commento non è andato a buon fine.
        Ci riprovo e sviluppo meglio.
        Dovete sapere che le mie vacanze ancora non volgono al termine. È una scelta. Sono un libero professionista. A questo punto della mia carriera dieci giorni di lavoro in meno non fanno nessuna cazzo di differenza, dal punto di vista economico. Umanamente sì, invece. Posso stare di più con i bambini, per esempio. O fare cose che mi va di fare. Tipo dello sport. E, attenzione: ascoltare più musica.
        Sta roba no, però. No. Gli Smashing Pumpkins mi facevano cagare anche negli anni novanta. Sono impegnato con i nuovi Spectral Wound, Deceased…, Dark Tranquillity, eccetera, eccetera. Alla fine mi sono piaciuti molto i nuovi Pestilential Shadows e Whoredom Rife. Pensate un po’ amici che diranno che Songs of Blood and Mire è black’n’roll. Lo so che lo direte. E se non lo direte lo penserete. Come avete pensato già in passato che Hordalands doedskvad è black’n’roll e quindi È MALE. Perché il black’n’roll è male e il power metal che c’ha ammorbato er cazzo per più di un lustro negli anni novanta invece no. È bene.
        Avete toppato comunque. E topperete pure in questo caso.
        Mi sono piaciuti poi molto i Selbst, segnalati già da un pezzo dall’ottimo Gilberto Griffar. Gran disco, veramente.
        Tornando a bomba. Andrò in Calabria i primi di settembre. E quando ho letto sto titolo, Aghori Mhori Mei (porco dio), ho pensato subito a una nonna di Reggio Calabria che festeggia il compleanno di due suoi nipotini gemelli. Aghori ‘mhori mei, scartatem’ shu regal cà nonna vosthra v’ha pigghiatu co’ tantu ammmmhori!!

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