La finestra sul porcile: IMMACULATE vs THE FIRST OMEN

Non solo Roma: Tuscia, Ciociaria, Agro Romano e Castelli Romani. È scoppiato l’amore tra i produttori hollywoodiani promotori di pellicole horror ed il Lazio. In origine fu Il Presagio (titolo originale Omen) film del 1976 interpretato da Gregory Peck che, tra gite tra i monasteri del Frusinate e bucoliche necropoli cerveterine, con la piazza di Santa Maria in Trastevere trasformata in lungotevere, ha fatto vedere per la prima volta oltreoceano con occhi diversi le qualità turistiche della regione. Non solo terra quindi di santità e convivialità, ma persino centro di trame sataniche e sette oscure. In fondo, un’intuizione che possiamo far risalire al Bava di Operazione Paura, al Fellini di Toby Dammit e all’Avati di Voci Notturne. Questa potenzialità offerta al cinema horror internazionale dalla città dei sette colli e dai suoi dintorni è rimasta poi in realtà sotto traccia per anni, per lo meno fino a Il Rito del 2011, con Anthony Hopkins, girato a Roma e che, però, non ho ancora visto. Poi l’anno scorso un presagio vero, con l’irrompere sugli schermi de L’Esorcista del Papa, con padre Gabriele Amorth interpretato da Russell Crowe (se non lo sapevate no, non è uno scherzo). Pare che la polemica messa in piedi da Pierfrancesco Favino per il ruolo di Enzo Ferrari dato ad uno straniero e non a lui sia nata dalla precedente frustrazione causata proprio dal casting del film horror del 2023. Prevalentemente ambientato in Spagna, il film, ma incentrato sulla figura di un’interpretazione del noto esorcista che fa le cornine e i marameo e i cucù alle suore, come evidente dimostrazione della quintessenza della sua italianità. Il tutto, all’inizio della pellicola, per le vie di una Roma da cartolina dove però non ci si stupisce a farsi venire i brividi di paura per strane manifestazioni…

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Per non parlare della Lambretta d’ordinanza.

Nel 2024 sono usciti invece, praticamente in contemporanea, due horror praticamente identici, a raccontarveli: Immaculate, diretto da Michael Mohan ed interpretato da Sydney Sweeney, e First Omen, di Arkasha Stevenson e che vede nel ruolo della protagonista tale Nell Tiger Free. La sostanza, in entrambi i casi: una novizia statunitense atterra a Roma e si trova in un monastero in cui i prelati e le monache hanno certi piani poco santi riguardo al suo grembo materno. Questo proprio a semplificarla al massimo, tanto sapete benissimo come prosegue. Dei due, First Omen è ovviamente il prequel di quell’Omen, per cui racconterebbe in teoria la storia che ha portato a seppellire uno sciacallo in una tomba di Cerveteri (in teoria, in pratica non è che gliene freghi molto dello sciacallo, alla Stevenson). Invece Immaculate non è prequel di nulla, per cui è più libero e se ne può fregare di mettere insieme ex post dei pezzetti di trama già dati e di trovare una spiegazione a tutto. Anzi, non spiega quasi un cazzo e, a parte quelle quattro chiacchiere sul movente (piuttosto ridicolo), sceglie prevalentemente di buttarla tutta su sequenze a effetto, una dopo l’altra. E su questo vince sul diabolico film gemello. First Omen invece da una parte ci tiene a richiamare il film originale, ricalcandone anche delle scene, e ad inserirsi fedelmente nelle logiche della storia che conduce al film del ’76. Poi si rompe il cazzo e sbrocca e se ne frega un po’ troppo della logica, tanto che si inventa un twist alla fine, tutto al femminile, che apre il campo ad un possibile sequel (che però non è quello con Gregory Peck). Sequel che a questo punto, anche se trattieni a stento un “ma andate tutti a cacare” a fine visione, in realtà rischierebbe di essere pure meglio del primo Omen (questo qui, non quello del ’76). Anche perché la coda ne cambia totalmente il registro e invece di un horror rarefatto e composto, da quelle ultime scene speri che arrivi Rodriguez a dirigerne il seguito e a trasformarlo in uno sparatutto tipo Dal Tramonto all’Alba, magari ambientato in un bar che conosco io sulla Nettunense, all’altezza di Cecchina, dove è bello fermarsi di notte al ritorno da Roma e vedere che gente c’è, ogni volta.

Una suora che si impicca dandosi fuoco, così, de botto, senza senso.

Come dicevo, tra i due io scelgo Immaculate senza dubbio, anche se non si può dire che la regia e la fotografia di First Omen non siano ben fatte, anzi. Al netto del pesante fardello di dover inserirsi in un franchise, il film della Stevenson regala belle soluzioni, a partire dalla prima scena dell’arrivo all’Aeroporto Leonardo da Vinci, “ricostruito” all’interno dello splendido Palazzo dei Congressi di Adalberto Libera all’EUR e con un taglio di fotografia e colori che un minimo richiama proprio il Fiumicino del Toby Dammit di Federico Fellini. Poi c’è il tentativo (velleitario) di inserire la storia nel contesto delle contestazioni giovanili degli anni ’70. Il risultato di questo tentativo, banalotto, è però in fondo meno da cartolina di quanto si possa temere, anche perché poi non è così centrale nella trama, in realtà. Poi di belle sequenze dell’orrore First Omen ne ha, su tutte quelle al buio, accanto al letto: straclassiche, straviste, ma davvero ben fatte. Il finale esce fuori dal seminato, purtroppo, ma complessivamente non si può dire che sia da buttare. Le sue due ore di visione alla fine gliele potete concedere, se non siete di palato troppo fino.

Con Immaculate invece ero partito da aspettative bassissime, convinto che sarebbe stato un filmetto medio e stupidino tutto jump scare e poco più (e siccome spesso mi basta non è che mi tirassi indietro). Poi nelle prime sequenze c’è il trasferimento in quel di Monte Porzio Catone, ai Castelli, e l’asticella dell’attenzione si alza. La mia per lo meno. Poi il livello viene sempre mantenuto costante dalla magnetica Sweeney. Ma non si tratta dell’unica scelta felice di un cast parte italiano e parte internazionale. Il ruolo del prete, da cui ti aspetti giustamente uno scherzo da prete, è affidato ad Alvaro Morte (nome del secolo per un attore di un film horror), vecchia conoscenza per via de La Casa di Carta. Uno spagnolo che interpreta un personaggio italiano in una produzione internazionale. E Favino muto.

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Al ciak precedente il blocco di tufo ha centrato l’alluce.

Nella prima parte di Immaculate il crescendo è straclassico, per quanto ben fatto. Succedono alcune cose inspiegabili e, come vi dicevo, non è che alla fine il film si prenda la briga di spiegarle tutte per filo e per segno. Tipo: chi siano esattamente quelle figure inquietanti con la calzamaglia rossa sulla testa non è che viene detto precisamente, lo si intuisce e tanto basta. Poi, insomma, tutto quanto fa credere sempre di più che si stia seguendo il solito film horror demoniaco/complottesco, ben fatto, competente, ma che tu dimentichi dopo un po’. Poi arriva la rivelazione del male e del motivo che c’è dietro ed è il punto peggiore, perché, vi dico, non è granché. Poi cominciano le botte.

Ed ora un po’ di SPOILER.

Tutta l’ultima parte di Immaculate è quasi tre film in uno, anzi quattro, perché non contavo la prima ora e venti di horror con le suore demoniache. A un certo punto Sydney Sweeney quasi sul punto di partorire il nuovo Messia si incazza e fa Rambo e ammazza preti, madri superiore e cardinali usando crocefissi, rosari, veri chiodi della vera croce, mentre tenta di fuggire tra le catacombe sotto al monastero (e a me che alle catacombe di Roma mi portavano in gita alle elementari immaginate quanto mi gasi la cosa). Tutta la fuga sempre più al buio, tra i cunicoli umidi e spogli, braccata da(lla) Morte, incontrando il cadavere seviziato stile Inquisizione di Benedetta Porcaroli, è già un bel pezzo di Cinema. Poi la nostra Rambo al nono mese riemerge nella campagna di Frascati, tutta ruderi ed erbacce, paesaggio bucolico e decadente (gli americani stavolta hanno capito tutto). E qui, negli ultimissimi secondi, in scena il quarto film, quello migliore, una specie di cortometraggio a sé, un survival movie in piano sequenza in cui non vedi quasi nulla se non il primo piano della Sweeney che urla come un’ossessa per secondi interminabili e con la faccia ricoperta di sangue: nuova screaming queen per distacco sulla concorrenza. E poi IL dettaglio: un blocchetto di tufo usato per schiacciare il Male. O meglio, forse il Male, non si capisce tutto e questa è la forza del film. Ma torniamo sul tufo. Ditemi voi se non è un finale magnifico. Perfetto. Tutto il finale del film è grandioso ma il blocco di tufo è proprio il top.

Fine dello SPOILER.

Scusi, ha detto Frosinone?

Immaculate, più ancora di First Omen che in fondo se ne resta tra le mura di un convento romano dalle mura rossicce e calde com’è giusto che sia, ti fa proprio capire che non serve andarsene chissà dove per provare i brividi di un romanzo gotico. I brividi te li prendi pure se scopri il rudere sbagliato, tra i cardi e le mosche del Signore delle Mosche (a Tusculum io una piccola maledizione me la sono beccata e ci sono voluti bei cicli di antibiotici). Nel Lazio, appena usciti dell’asfalto, è probabile che incontriate resti incomprensibili, abbandono, sterpaglie dalle forme lovecraftiane, gente strana che parla strano. E quindi c’è da essere contenti che il cinema internazionale valorizzi tutto questo.

Ma non è finita qui. Siamo convinti che i due film di cui ci siamo occupati oggi siano solo il volano che trascinerà con sé una nuova ondata di produttori cinematografici tra le bucoliche compagne de nonatri, paesaggio molto più evocative dei terrori odierni che non l’inflazionatissima Transilvania. Non ci credete? Ecco a voi una selezione di notizie recentissime che ci fanno ben sperare per il futuro:

  • Il regista Paolo Sorrentino ha rivelato che, stando alla prima stesura della sceneggiatura, La Grande Bellezza avrebbe dovuto essere un film dell’orrore, originariamente. Nulla ha però voluto svelare sugli sviluppi un tempo previsti che avrebbero interessato le monache e i preti rimasti nel film, in attesa che esca la Director’s Cut finale;
  • Luca Guadagnino ha annunciato invece che il sequel di Bones & All sarà un road movie tutto ambientato tra la Pontina e Santa Palomba;
  • Eli Roth è stato avvistato ad Ariccia, pare intento a cercare le location ideali per il suo prossimo cannibal movie: la storia di una fraschetta in cui si serve porchetta alternativa agli avventori;
  • Il prossimo romanzo di Walter Veltroni avrà al centro della trama l’ascesa politica di un sindaco-vampiro nella Città Eterna. Secondo alcune indiscrezioni, Dario Argento sarebbe già stato ingaggiato per la trasposizione cinematografica. Uscita prevista in tempo per il Festival del Cinema del 2025;
  • Lo studio Ghibli di Hayao Miyazaki sarebbe al lavoro su un reboot del celebre cartone Heidi, ambientato stavolta sui Monti Lepini. Tra le future avventure della piccola pastorella anche il pericoloso scontro con un chupacabra che infesta il Reatino;
  • Al consiglio comunale della Capitale sarebbe invece in corso una discussione circa la proposta dell’opposizione di ripristinare le fattezze inquietanti della prima versione della statua di Giovanni Paolo II di fronte alla Stazione Termini, vista la bocciatura della precedente proposta di aggiungere almeno due canini di bronzo.

Sono sicuro che se qualcuno fondasse una nuova Hammer, ai giorni d’oggi, parlerebbe un dialetto laziale. (Lorenzo Centini)

Un commento

  • Avatar di Hieiolo

    Vabbè, ora che ho scoperto che Sydney Sweeney oltre che essere la SUPER GNOCCA DEL SECOLO ( insieme a CAYLEE COWAN), è anche BRAVA sono felicio.

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