Tu vuò fà l’americano: THE DEVILS – Let the World Burn Down
Due ragazzi di Napoli meriterebbero forse di vincere al televoto, se si cercasse di identificare quale band rock, italiana ed emergente, meriti di farsi strada Oltralpe e Oltreoceano. Sono i The Devils e di napoletano, musicalmente, non hanno nulla. Lui, Gianni Blacula, alla chitarra, lei, Switchblade Eryka, alla batteria. Canta prevalentemente lei e questo potrebbe fare in modo che i commentatori più banali non li accomunino coi White Stripes. E chissà però che non sia partita proprio da lì la voglia di suonare rock’n’roll, dal coro “po-po-po-forza-azzurri” che una nazione di dementi, che sa di musica rock’n’roll nulla o quasi, ha messo in bocca ai più dementi, nei momenti più dementi. Però chissà se è partita da lì. I The Devils però, dicevo, non sembrano mica italiani. I primi due dischi di r’n’r straselvaggio e caotico li hanno pubblicati per la svizzera Voodoo Rhythm, un nome che se vi dice qualcosa vuol dire che r’n’r selvaggio e caotico almeno un po’ ne avete macinato. Agli esordi conciati come prete e monaca horror-porno, titoli come Put your Devil into my Ass e facesitting in copertina. Il nome della band d’altronde da dove sia tratto un’idea ce la siamo fatta. Prodotti agli esordi da Jim Diamond, già proprio coi White Stripes e bassista dei Dirtbombs, mica cazzi. Al terzo album, Beast Must Regret Nothing, la voglia di exploitation era esplosa ancora di più, sadomasochista e sexy. Registrato negli studi dove fu ripresa Malafemmina, dietro al bancone c’era addirittura Alain Johannes, che coinvolse per un cammeo persino Marco il Tenebroso. Pensate un po’ voi.

Bene, questi i precedenti. Nel 2024 i The Devils vanno ancora avanti, testardi. Più malinconici, meno caotici. Vogliono fare il colpo e Let the World Burn Down potrebbe pure farlo, numeri ne ha. Ancora Johannes dietro al bancone, segno che la collaborazione resta più stretta che mai. E che l’ambizione non accenna a sfumare. Avendo tirato in ballo i White Stripes, diciamo che i The Devils in più punti sono ora più simili ai Black Keys che altro (Killer’s Kiss). Ma stavolta è fin troppo facile, molto più facile ancora, chiamare in causa pure i Queens of the Stone Age. Gli ultimi, quelli che ci piacciono meno o per niente. Ma c’entra niente, quest’ultimo fatto. Succede, che l’ultimo stile di una band storica ridotta ormai ai minimi termini possa suonare più vitale tra le corde di una piccolissima band emergente. Poi non vorrete che siano uguali le aspettative nei due casi… Comunque, il punto è che oggi i The Devils suonano simili alla fase ancheggiante di Homme e compagni (Big City Lights). Tra i compagni d’altronde c’è proprio Johannes, per cui nessuno stupore. Ed ecco pure la grafica di copertina, stavolta meno blasfema e pruriginosa, simile invece proprio alle ultime grafiche fumettose delle regine. De gustibus.

Sorprende semmai, piacevolmente, che dei The Devils, ora meno caotici e più malinconici, siano migliorate canzoni e loro interpretazione. Primo brano e primo singolo è Divine is the Illusion. Davvero ottima, già da playlist col meglio del 2024, per me. Un blues triste e sensuale, con una struttura che evolve e un finale che coinvolge. Non giocano in un territorio originale, questo no, ma se la canzone gira è tutto. E Divine is the Illusion gira. Molto meglio di qualsiasi brano degli ultimi tre dischi del chitarrista sosia di Trump. Quello che non mi piace è proprio la produzione di Johannes. Non mi piace come fa suonare parecchie delle chitarre, quel suono da scoreggia elettronica che potresti fare con un synth. Però se è il suono di una qualche tendenza in quel che rimane del rock che guarda alle classifiche va bene, spero porti bene ai napoletani. E spero magari di sentire i brani dal vivo con ben altro suono. Migliore magari pure di quello del live di due anni fa, quello che ha inaugurato il rapporto con la Go Down e che in copertina aveva Switchblade Erika con le gambe aperte. Ancora caotico quel live. Ecco, lo dico: i The Devils con quella foga e con la provocazione blasfema e sessuale facevano passare in secondo piano che i brani non fossero canzoni. Ora però canzoni ne hanno tirate fuori, di belle. Una l’ho detta. Anche Mr Hot Stuff fa il suo, più sostenuta e danzereccia. Poi The Last Rebel e Horror and Desire, ammiccanti e desertiche. Cadillac e occhiali da sole. Erika ora vamp di classe, mentre Gianni Blacula sembra ancora un licantropo da grindhouse. Un paio di frustate ci sono ancora, Roar II e Shake’Em, parossistiche e trascinanti, meglio di quanto abbiano già prodotto sulla stessa falsariga. Perché ho detto la mia sul suono, ma aggiungo che non solo Eryka è migliorata come cantante, pure Gianni come chitarrista ritmico il salto lo sta facendo. Tutti e due lo stanno facendo e sulla scorta di un disco così potrebbero anche farcela. L’attitudine c’è sempre stata, a pacchi. Le canzoni adesso pure. Serve ora pure un po’ di culo. Intendo fortuna. Io gliela auguro, ma forse loro lo sanno già che scongiuri fare. (Lorenzo Centini)
