AETERNUS – Philosopher
La oramai trentennale carriera degli Aeternus da Bergen è indissolubilmente legata alla figura di Ronny “Ares” Hovland, da sempre il factotum della band nelle varie incarnazioni musicali che ha affrontato. I primi tre dischi infatti (ci metto dentro anche l’immenso mini Dark Sorcery, oggetto di culto per molti collezionisti) erano indissolubilmente legati alla seconda ondata del black norvegese di metà anni ’90, pur con delle peculiarità precise che li differenziavano dal resto della scena: in particolare un muro di suono oscuro e oppressivo spesso tendente al doom e il particolarissimo cantato modello autospurgo otturato (cit. Roberto Bargone) che non c’entrava veramente nulla con i tipici scream dell’epoca. Lo stesso Ares, ai tempi, definiva la sua musica come dark metal piuttosto che black metal, anche se, ripeto, gli elementi tipici del black c’erano tutti. Questi elementi scomparvero però quasi del tutto a partire dal non proprio indimenticabile Shadows of Old del 1999, che, oltre ad avere una delle copertine più brutte della storia della musica (non so perché il Traversa non c’ha fatto ancora un Fartwork) virava nettamente verso il death metal, cosa che del resto fecero molte band norvegesi a cavallo tra secondo e terzo millennio.
Dopo una serie di lavori non proprio eccelsi, gli Aeternus avevano fatto parziale marcia indietro col penultimo Heathen, che reincorporava nel proprio suono le chitarre zanzarose degli inizi unendole alle ultime influenze, stesso discorso che bene o male mi sento di fare per questo nuovo Philosopher. Questa nuova fatica si può inquadrare in una sorta di blackened death metal dal suono molto freddo e ipnotico, come si può evincere dall’oscurissima traccia d’apertura Existential Hunter, seguita da quello che è forse il pezzo migliore, vale a dire World Bleak Nepotism, che non disdegna un certo uso della melodia come raramente si era sentito in passato nella band norvegese, con tanto di sporadici assoli di chitarra di ottima fattura. Le ritmiche non sono mai particolarmente veloci, basandosi quasi esclusivamente su potenti mid tempo sui quali si staglia il solito vocione cavernoso di Ares, che però ho come l’impressione stia attraversando una fase di limbo musicale che non gli permette di dare un marchio definitivo alla sua creatura. I tempi di quel disco della madonna di Beyond the Wandering Moon sono purtroppo lontani, così come per fortuna quelli della svolta death metal: qui siamo di fronte a una sorta di ibrido non ben definito che sinceramente non ho capito dove voglia realmente andare a parare.
Alla fine Philosopher è un disco discreto che si lascia ascoltare grazie anche all’infinità esperienza musicale di Ares e soci, ma raramente ti fa sobbalzare dalla sedia, e ti lascia quel non so che d’incompiuto che non permette di promuoverlo a pieni voti. (Michele Romani)

