Una frequenza d’uscite da far rosicare i Tool: OVERLORDE – Awaken the Fury
Ero molto curioso d’ascoltare Awaken the Fury, il primo album messo sul mercato dagli Overlorde in diciannove anni. Al che domanderete chi siano codesti Overlorde.
Pensate un po’: fondati nel 1985, si prodigarono nella realizzazione di un EP omonimo e poi scomparvero. Il loro ritorno nel 2000 non ha suscitato inizialmente un gran clamore. Eppure, quattro anni più tardi, l’incisione di Return of the Snow Giant fece non poco chiacchierare gli addetti ai lavori. L’album, aggiungo, di debutto, era un mischione di vecchio materiale rielaborato e nuovo materiale, e alla voce trovavamo l’unico cambiamento della line-up: l’inserimento dell’ex cantante dei Seven Witches, Bobby Lucas. Sono convinto che il cinquanta percento del successo di quel titolo derivasse dall’interpretazione offerta da quest’ultimo. Dopodiché il silenzio, un’altra volta, senza stavolta mai sciogliersi.
Il ritorno degli Overlorde nel 2023 – il varo di Awaken the Fury è datato 22 dicembre, giorno in cui l’unica mia preoccupazione era scegliere lo zampone precotto – si fonda su una bruttissima notizia, ovvero l’assenza di Bobby Lucas, nel frattempo stabilmente passato negli Attacker.
Per coloro che peccaminosamente non conoscessero gli Attacker, raccomando prima ancora che l’ascolto la visualizzazione per otto ore consecutive di una delle più belle copertine di sempre, quella di The Second Coming del 1988.
Torniamo agli Overlorde. Il nuovo cantante si chiama George Tsalikis, e il fatto che le sue origini siano o meno greche è un’indagine che lascerò completamente nelle mani di Roberto. Lui ci tiene tantissimo (è più prosaicamente newyorchese, ndbarg). Mark Edwards e John Bunucci sono gli unici irriducibili ad aver preso parte a ogni fase della carriera della band del New Jersey.
Il primo grosso problema di Awaken the Fury è la produzione. Si è tentato di ottenere un suono quasi live, ma, in assenza di un produttore e un ingegnere del suono capaci, l’arma in questione è sempre a doppio taglio. Nella fattispecie la batteria suona di merda, gli altri strumenti sono un completo pastrocchio e ad emergere è il solo basso di Bunucci in una sorta di reminiscenza NWOBHM sulla scia degli Angel Witch di As Above, so Below. Solo che quel disco, marciando nella medesima direzione, era, per l’appunto, prodotto molto bene.
George Tsalikis è l’altro problema. La sua voce è particolarmente tarata sui baritoni. È a suo agio su Gargoyles, nel break maideniano di The Madness Within e in quelle circostanze in cui si mette un po’ a fare il Paul Di’Anno della situazione. Quando sceglie di spingere, lo fa alla Rob Halford, e l’asino casca subito. Bobby Lucas, oltre a disporre di una maggiore personalità, riusciva a fornire un’interpretazione convincente senza insistere su tutta quella recitazione di fondo. Bobby Lucas manca agli Overlorde in una maniera che definirei vitale.
Per il resto è la scaletta a risultare indebolita, e, se permettete, tornare vent’anni dopo in codeste condizioni non è segno di vitalità. La prima canzone attacca e promette le botte. Quel che segue è un power metal americano un po’ solenne e epico, un po’ tentato di fare l’inglese. La seconda metà della scaletta non funziona affatto, e la lunghezza media dei brani, sempre fra i cinque e i sei minuti con il picco in occasione di Gargoyles, non aiuta affatto a digerirlo meglio.
Se Dio vuole il prossimo album vedrà la luce quando avrò sessant’anni esatti: mi tiro fuori. (Marco Belardi)


