La lista della spesa di Griffar: DJIWO, VASSUS
Continuo a portare alla vostra attenzione piccole realtà underground degne di emergere dall’indifferenza e dall’oblio. Chissà, magari a qualcosa serve.
Nati in Indonesia nel 2013 e autori l’anno successivo di un debutto intitolato Cakra Bhirawa sconosciuto ai più (non l’ho mai ascoltato neanch’io, non temete), tornano dopo 9 anni i DJIWO, accasandosi per la piccola ma già sufficientemente prestigiosa etichetta inglese Death Prayer records. Svvanantaka contiene (a parte intro, outro e intermezzo) 7 brani di fast black metal di derivazione Immortal/Gorgoroth; le composizioni sono semplici, grintose, lineari, senza troppe divagazioni, per aumentarne l’impatto sonoro e l’efficacia. Su questa struttura vengono incastonati arrangiamenti di tastiere o flauti (anche se penso siano suonati mediante effetti di tastiere), specialmente nella meno veloce e più cadenzata Vgra Kapalikas o nella successiva, quasi doomeggiante title track.
Il gruppo è composto da due elementi: uno si occupa di tutti gli strumenti e l’altro canta (si strappa le corde vocali, per meglio dire, quantunque ogni tanto tiri fuori un bel vocione epico e guerresco). Si riscontra una forte propensione alla melodia, e la prevalenza di velocità elevate non impedisce che i riff monocorda più forsennati mantengano caratteristiche armoniche di buon livello. Sono frequenti gli stacchi, i cambi di tempo, i rallentamenti per ospitare magari un arpeggio o persino un assolo di chitarra molto heavy metal anni ’80 (Sarparvdra, gran pezzo – ma tutto il disco è omogeneo e si attesta su livelli di buon pregio). La loro collocazione geografica inusuale li rende appetibili agli amanti degli esotismi e di proposte underground che magari abbiano peculiarità un po’ diverse rispetto al black europeo, e in effetti, tolti i due punti di riferimento norvegesi accennati prima, si può dire che la loro interpretazione del black metal sia più inconsueta e meno tradizionale del solito. Disco assolutamente notevole, dedicategli del tempo.
Terza stoccata del 2023 per la one-man band inglese VASSUS e terzo centro perfetto. Nortmanni Ambuscader è un full incentrato sull’invasione normanna della terra d’Albione e sulla conseguente guerra, e anche la musica è più epica e medievaleggiante del solito. Nonostante ciò, la matrice raw black metal resta evidentissima, così come perdurano le sonorità dungeon synth che il signor Vassus si porta dietro da quando ha lanciato il progetto nel mondo della musica (con risultati più che lusinghieri, ribadiamolo casomai fosse necessario).
Il disco ha l’atmosfera tragica che ci ha fatto godere in Hammerheart o nei lavori dei Morrigan (tutti tranne l’ultimo, ancora mi chiedo cos’hanno visto), solo rivista in chiave raw black metal. In questo senso una registrazione un po’ più nitida non avrebbe sfigurato, ma va anche considerato che con questo tipo di suoni il disco risulta essere più tragico e “guerresco” di quanto sarebbe stato con una produzione più pulita. La tensione è altissima, la velocità dei brani pure, i riff sono perfetti e fanno venire voglia di indossare un’armatura, imbracciare uno spadone e precipitarsi nell’infuriare della battaglia. The Confessor, the Saxon and the Bastard possiamo considerarla un’intro suonata con un flauto da menestrello, ma tutto quello che viene dopo è un massacro, una carneficina che le tastiere non addolciscono in alcun modo. Si ascoltano i 9 brani di Nortmanni Ambuscader tutti d’un fiato, lanciati a rotta di collo senza la minima intenzione di frenare, 38 minuti di esaltazione battagliera, la colonna sonora di un bagno di sangue. E si gode forte. (Griffar)



Commento poco ma leggo molto spesso, i tuoi articoli sono una benedizione. Te lo scrive uno che ha il palato capriccioso in fatto di black metal e che molto spesso non digerisce affatto il raw black metal!
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