WILCO – Cousin

Dopo un anno dallo straordinario Cruel Country, tornano a sorpresa i Wilco con un disco che è in tutto e per tutto l’altra faccia della medaglia della band di Chicago. Tanto Cruel Country era un torrenziale zibaldone di tutte le anime del gruppo che trovava la sua forza in una registrazione “live in studio”, quanto Cousin è invece espressione dell’anima più indie, più lo-fi e storta di Tweedy e soci che, per la prima volta da A Ghost is Born, si affidano ad un produttore esterno.

E la mano di Cate Le Bon – cantautrice di grande talento – si sente eccome, a partire dalle distorsioni presenti nell’iniziale Infinite Surprise, brano talmente perfetto da meritarsi un posto in un ideale greatest hits dei Wilco e che mette subito le cose in chiaro sia a livello musicale che di tematiche trattate. Temi, del resto, che fanno parte della poetica di Jeff Tweedy: le relazioni sentimentali, i rapporti umani e l’incomunicabilità che spesso li caratterizza. Il tutto filtrato attraverso una sensibilità e un’empatia che ha sempre caratterizzato la musica dei Wilco e che ritroviamo nella delicata Leeve (in cui riaffiora anche la tematica dei farmaci di cui era dipendente Tweedy) e nella splendida, struggente e personale Pittsburgh (Strange as it seems / I’ve outlived my dreams).

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Una sensibilità che spesso si esprime in chiave minore (anche musicalmente, in senso di accordi su cui sono costruiti i brani) e dimessa, come nella bellissima Ten Dead, canzone quasi sydbarrettiana, in cui tramite una sorta di ricorrente allitterazione si tratta il tema della assuefazione alla violenza (I woke up this morning / And I went back to bed / Ten dead, ten dead / Now there are ten dead/ Turn on the radio This is what they said / No more, no more
No more than ten dead
).

Non si deve, però, pensare che Cousin sia un disco cupo, anzi: si tratta di un lavoro molto vario, in cui trova spazio la perfezione pop di una Evicted, la classicità lo-fi del brano che dà il titolo all’album, o ancora il rock esaltante e ottantiano della conclusiva Meant to Be, una canzone straordinaria che nei suoi tre minuti mi è sembrata, sin dal primo ascolto, una versione indie di Series of Dreams di Dylan.

In ogni caso, sia quando i toni sono più leggeri, sia quando le atmosfere si fanno più intense, Cousin riesce a conquistare grazie ad una qualità difficile da descrivere: una sorta di confortante malinconia, di una sensibile empatia.

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I Wilco, soprattutto in dischi del genere, hanno quella capacità di farti stare bene anche quando stai giù, anche quando non trattano tematiche allegre. È l’equivalente di un abbraccio di un amico, di una persona che ti vuole bene e che, indipendentemente da come sta in quel momento, sa come prenderti e che ti ricorda cose che già sai, ma che ti fa bene sentirti ripetere nella forma più semplice e diretta possibile (It’s good to be alive / It’s good to know we die
/ It’s good to know
). Ed è questa la forza di un piccolo grande album come l’ultimo dei Wilco: laddove Cruel Country aveva l’afflato delle grandi opere e l’ambizione di contenere un universo al suo interno, Cousin è volutamente meno ambizioso, più semplice, ma non per questo meno riuscito. (L’Azzeccagarbugli)

2 commenti

  • Avatar di Fanta

    Il tizio con gli occhiali al centro della foto, lì, mi ricorda un collega al quale ho voluto un gran bene quando eravamo studenti. Tifa Inter, tra l’altro. Ed è una cosa che fatico a comprendere per chi come noi è nato lontano dalla tentacolare – ed europea per attitudine – città “da bere”.
    Capisco molto meglio tifare cose strisciate (e striscianti per chi scrive) per chi viene dal sud. Pacchetto rivalsa, così lo chiamo. Diciamo che ti aiuta a sognare. Perché no?
    Ma cazzo, essere nato ad Anzio, avere un fracco di soldi e tifare squadre che allo stadio vedrai sì e no una dozzina di volte in tutta la tua fottuta vita, no. Non lo capisco. O meglio: fatico ad accettarlo.
    Detto questo sta band ha un nome di merda. Mi chiedo pure perché hai scelto di fare l’avvocato, tu, azzaccagarbù. Ci pensi mai?
    Per incidens: il mio collega con gli occhiali è passato al lato oscuro. Così noi di formazione psicoanalitica ci riferiamo ai cognitivo-comportamentali.
    Magari ci passo pure io domani a qualche cazzo di lato chiaro, diciamo, mentre do una chance a sto disco.
    Mi prenderò la licenza di insultarti se mi farà cagare.

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  • Avatar di Fanta

    Ci tenevo a farti sapere che sono arrivato alla terza traccia e non ce l’ho fatta a proseguire. Che poi non è nemmeno la questione dell’intransigenza metallara. No, assolutamente no. Mi piacciono cose che farebbero vomitare una capra anche al di fuori del metal. Credo sia una questione di essere o meno perturbati. Se una cosa non arriva quantomeno a farmi corrucciare la fronte non è il caso di proseguire.
    E poi sto nome, Wilco, veramente non aiuta. Lo associo a qualche cazzo di marca di camion, carburanti o cose del genere che fa molto highway americana ma che culturalmente sento a una distanza siderale da quella che è la mia esperienza.
    Dopo sto panegirico credo dormirai lo stesso stanotte, avvocà.
    Saluti.

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