La finestra sul porcile: OPPENHEIMER
Qualche tempo fa ho letto, non ricordo dove, che la pellicola in formato IMAX usata per Oppenheimer è lunga in tutto 17 chilometri e pesa oltre due quintali e mezzo. Dopo aver visto il film, e aver anche constatato di prima mano che in un pomeriggio di inizio settembre e a poco più di una settimana dall’uscita nei cinema la sala era comunque discretamente affollata, lo ritengo un dato estremamente importante, per due motivi: il primo è che dà immediatamente la misura di quanto imponente sia il film prima ancora di vederlo e, soprattutto, quanto questo dato non abbia affatto spaventato il pubblico, che in Italia come nel resto del mondo ha premiato il lavoro del cineasta inglese.
Non era affatto scontato, amici: dopo Dunkirk (non riuscitissimo) e Tenet (piuttosto complicato da seguire, mettiamola così), Oppenheimer, per mole e contenuti, rischiava di deludere le aspettative di chi magari avrebbe voluto un altro Cavaliere Oscuro o un Inception 2: Il Ritorno, cioè un film che oltre alla mano autoriale abbia anche dell’azione e effetti speciali pazzeschi.

Oppenheimer, chiaramente, non ha nemmeno un briciolo di azione e sugli effetti speciali pazzeschi siamo dalle parti della verosimiglianza piuttosto che delle stanze che ruotano attorno ai personaggi in un sogno, quindi nulla che possa stupire un occhio disattento. Allora cos’è che porta la gente al cinema a vedere questa sorta di film biografico lunghissimo e fitto di dialoghi? Da una parte il nome di Nolan, che ha sempre il suo richiamo, dall’altra il volano mediatico che si è creato con Barbie e che ha spinto avanti entrambi i film (peraltro impallinando Mission Impossible, Indiana Jones ed altre pellicole, che senza il citato duopolio magari avrebbero fatto meglio, chi lo sa).
Ma allora se lo merita il successo che ha avuto? Certo, Oppenheimer è un gran bel film, sulla cui messa in scena credo non ci sia molto da dire, visto che è tutto perfetto, casting, prove attoriali (fantastico Robert Downey Jr. e bravo pure Cilian Murphy che, complice il vestiario di inizio secolo scorso, mi ha ricordato Peaky Blinders. Ma in generale bravi tutti), la scelta del bianco e nero per alcune delle fasi del film, anche la maniera di raccontare la sceneggiatura su diverse fasi temporali che ormai è un classico di Nolan.

Ecco, è un gran bel film ma non è un capolavoro, no. È troppo lungo, soprattutto nella prima metà il passo rallenta e il film fatica a ritrovare un minimo di ritmo, che comunque riprende nel secondo tempo. Molto avrebbe potuto essere limato via senza troppi patemi, specie le porzioni di Los Alamos. La colonna sonora, minimale a tratti, poteva essere migliore, soprattutto poteva (DOVEVA) esserci Hans Zimmer a comporla e dirigerla. Detto questo, ripeto, è un gran bel film e se dovete scegliere tra questo e Barbie che ve lo dico a fare, Oppenheimer tutta la vita. (Cesare Carrozzi)

Molto bello, un film da rivedere perche’ una sola volta sfuggono tanti perché!!!
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Un film molto bello e che dev’essere rivisto perché alcuni passaggi sfuggono.
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Credo che Nolan non riuscirebbe a fare una ciofeca di film nemmeno impegnandosi.
Pur concordando sul fatto che, no, non è un capolavoro, è pur sempre un film che vince con l’80% dei filmetti in circolazione.
L’ho trovato un film molto lineare per essere Nolan, quasi semplice da seguire (e la cosa mi è quasi dispiaciuta lo ammetto), però non mi ha pesato. Nonostante le 3 h, non è per nulla noioso e mantiene alta l’attenzione.
Paradossalmente, ho trovato poco sviluppato (o almeno quanto mi sarei aspettato) il tormento del protagonista di fronte alle conseguenze mortali della propria idea.
Rimane un gran bel film. Poco altro da aggiungere.
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