L’angolo del raw black metal: FELLMOON, HYNGWAR, REQUIEM OF DEATH
Per raffreddare i bollenti spiriti di questa caldissima estate, un po’ di titoli agghiaccianti. A grande richiesta (???) ritornano i recuperoni raw black metal. L’orrore sia con voi e con il vostro spirito.
La Forbidden Keep records, etichettina minuscola propensa a recuperare piccole gemme underground ristampandole in cassetta e riproponendole in digitale sul suo Bandcamp, ha da poco fatto uscire tre titoli meritevoli di attenzione. Partiamo con l’esordio omonimo dei FELLMOON, che sono norvegesi e propongono un raw black metal molto ben fatto con frequenti digressioni nel dungeon synth e nel cosmic black. La prima stampa risale ad un periodo imprecisato del 2022 e di loro in Metal Archives non v’è traccia, quindi non c’è nulla di ufficiale che agevoli la cronologia. In concreto però abbiamo una cassetta che contiene tre tracce, intitolate I, II e III; dovete tuttavia sostituire le I con un quarto di luna a ponente, ho tentato di fare un copia-incolla ma Word non riconosce il simbolo. Melodie eccellenti, tastiere siderali che spesso prendono il sopravvento e sorreggono tutta la composizione, questo debutto dura una mezz’ora abbondante e ha tutte le caratteristiche per essere gradito da chi apprezza il raw black moderno, con una registrazione e una produzione volutamente low-fi, voci straziate tenute in secondo piano, resa sonora in grado di disgustare anche il più esagitato dei puristi del black metal dei tempi antichi, e questo va molto, molto bene. Il mondo è andato avanti, il black si è evoluto e i Fellmoon sono uno dei tanti nomi nuovi in grado di soddisfare i vostri palati, se cercate violenza pura associata a melodie soavi brutalizzate per essere più aderenti al contesto.
Eternal Glory è il debutto degli HYNGWAR ed è una specie di raw/pagan black metal, un po’ come se gli Allegiance avessero deciso di suonare musica più grezza; non più veloce perché sarebbe stato difficile, ma all’incirca il livello di brutalità è quello. È il loro debutto e anche in questo caso i brani sono solo tre, tutti molto lunghi come prassi. Riding the Northern Wind, per esempio, dura 17 minuti: non pochi per un progetto raw black che del grezzume e della furia iconoclasta delle composizioni fa un vessillo da sventolare veementemente in fronte al nemico del vero raw black metal prima di sconfiggerlo ed umiliarlo. Tre pezzi ultraviolenti, vigorosi e trascinanti, con melodie azzeccate e rari momenti di pausa che spezzano la tensione ed affascinano (la parte finale di Thunder of Sword and Shield, esempio notevole). Un disco con i coglioni fumanti, si sarebbe detto un tempo.
La prima stampa (solo in digitale) di Eternal Fear of the Blackness degli inglesi REQUIEM OF DEATH risale addirittura (!) al 2021. Naturalmente non se l’è cagata quasi nessuno perché oramai uscite di questo tipo solo in digitale sono una goccia di liquore in un oceano di acqua distillata, ma adesso che ne esiste una versione fisica abbiamo un buon motivo per parlarne. Sono grezzissimi, dei gruppi che trovate qui menzionati di sicuro i più violenti, i meno melodici e i più aderenti alla definizione schietta di raw black metal, registrazione e scelta dei suoni minimale (a dir poco) compresi, oltre ad un’assoluta noncuranza per arrangiamenti e rifiniture che possano anche lontanamente mitigare il grezzume (ormai celebre). A confronto Transilvanian Hunger è musica classica, se mi permettete l’accostamento. Otto brani, mezz’ora di musica. Il solo brano di apertura Waiting for the Abyss si avventura nei cinque minuti di durata, tutti gli altri si aggirano sui tre minuti e mezzo. Anche grazie alla loro attitudine quasi crust/punk, per il gruppo è primario portare avanti un’idea di furia, violenza e nichilismo apparentemente quasi fine a sé stessa: le tracce melodiche sono molto più impastate, meno evidenti, meno immediate; le partiture più grossolane, meno rifinite, meno studiate. Il disco sembra un prodotto di una band di ragazzini che si chiudono in sala prove per sfogare la loro furia e il loro malessere giovanile, ed è spontaneo e genuino sebbene non si possa assolutamente descriverlo come un capolavoro. A tratti ha buoni spunti, penso in futuro possano migliorare. Comunque un ascolto lo merita, le potenzialità ci sono. (Griffar)



