Avere vent’anni: AZRAEL – Into Shadows Act I: Denial
Non è semplice parlare della musica degli americani Azrael (da Eden Praire, in Minnesota, da non confondere con altri tre gruppi omonimi pure americani e almeno una decina di altri sparsi in giro per il mondo). Li hanno sempre cagati in pochissimi, specialmente in madrepatria dove sono sempre stati perculati a sangue, sbeffeggiati, insultati, vilipesi e chi più ne ha più ne metta. Non ricordo il perché, ma rammento che sul forum della Full Moon records (che era ricco di casi umani ma ospitava anche gente con un bel po’ di cervello e una notevole testa sulle spalle) venivano sfottuti senza alcun limite di oscenità, turpiloquio e improperio.
Delle stronzate ci si dimentica in fretta e probabilmente non c’era alcuna ragione significativa: erano un facile bersaglio (non presenziavano sul forum, ad esempio) di formazione abbastanza recente. Proponevano un black metal strano, contaminato da molto death e da molto doom, di quello autentico, con riff cupi, contorti, oscuri, catramosi, dall’incedere in prevalenza lento, senza trascurare accelerazioni in blast beat per diversificare i brani.
I due ragazzi avevano talento, ne avevano decisamente parecchio. Sapevano comporre riff lunghi, intricati, sghembi, stravaganti, accostabili non al rock progressivo ma a certa musica classica moderna e dissonante. Ne è testimone l’uso non sporadico del contrabbasso suonato ad archetto, strumento che probabilmente Algol Martel (anche voci, basso e batteria) aveva studiato a scuola per poi decidere di usarlo nel suo progetto. Non temete però: Into Shadows Act I: Denial è di base un disco black metal, assai lungo per di più, per un totale di 58 minuti di musica. Quasi una black metal opera, quindi, intendendo il termine “opera” nel senso più melomane del termine.

Tutto il disco, a partire da Dominion of Abysmal Crypts (il pezzo che segue l’intro) fino alla conclusiva, maestosa Unseen Emptiness, ha un’atmosfera molto occulta, misteriosa. Reca all’interno delle sue partiture angosce recondite, acuite dal riffing complicato, poco orecchiabile, bisognoso di molta concentrazione e ripetuti ascolti per essere compreso ad apprezzato quanto merita. Tutto meno che un disco istantaneo e di facile consumo, e forse il problema vero degli Azrael fu questo: in un’epoca nella quale ogni cosa cominciava a essere fruibile tutta e subito, consumabile in fretta e digeribile in pochi millesimi di secondo, “costringere” l’ascoltatore a DEDICARE IL GIUSTO TEMPO (lo metto in maiuscolo perché so che suona obsoleto ma, porca troia, perché suona obsoleto?) all’ascolto del tuo disco, della tua musica, del prodotto della tua creatività A LUNGO era diventato un insulto, un’innaturale costrizione degna di spregio.
Naturalmente io ho adorato questo album sin dal primo attimo in cui lo ascoltai, anche per il suo incedere così mesto, che richiamava certe vicende private che stavo vivendo in quei momenti. Di più: per me tutti i dischi degli Azrael sono favolosi, sono uno dei pochi al mondo a pensarlo e mi fa piacere poter essere io quello che – si spera – ve li farà conoscere o vi farà cambiare idea nei loro confronti se già sapete chi furono. A questo esordio seguirono altri due full, tutti pubblicati da Moribund Records, ma è dal 2007, sedici lunghissimi anni, che degli Azrael non c’è più traccia, e questa è una bestemmia. Non nei confronti del clero o di chi per esso, ma nei confronti del black metal. E della musica tutta. (Griffar)

Concordo sul fatto che un album lungo non è per forza una cosa negativa… Anzi… Ricordo ORE spese con le cuffie ad ascoltare, a dedicare tempo alla musica. In questo mondo dove tutto corre, ciò sembra impossibile.
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Non c’entra nulla ma avrei piacere se tu, Griffar, scrivessi una recensione sul nuovo album dei Fen. Band che non ha mai sbagliato nulla e che cresce costantemente.
Per quel che mi riguarda lo trovo un mezzo capolavoro. È impegnativo forte ma cazzo, se ti ci dedichi sa ripagati alla grandissima.
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Appena mi arriverà senz’altro, ho preso la deluxe in pre-order ma prima del 1 agosto non sarà spedito. Già l’ho ascoltato in digitale ma preferisco sempre ascoltare la versione fisica nello stereo prima di scrivere (a meno che non esista, allora mi tocca adeguarmi, purtroppo). Seguo i Fen da sempre, da quando non li conosceva nessuno e sono un gruppo strabiliante. Sul genere ti consiglio i None (sto scrivendo la rece), canadesi, molto oltre pure loro.
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Li conosci?
– No.
Sul serio, li conosci???
None!!!!
Li conosco, li conosco. È uscito da poco il nuovo disco e voglio sentirmelo per bene.
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Grande album! anche se gli ho sempre preferito Act III+Act IV pur non avendo mai capito la scelta di pubblicare due album in uno…
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