INDIGESTI – Osservati Dall’Inganno (Shake)

Gli spiegoni, come li chiamano a Milano, non mi sono mai piaciuti. Tanto più che questo è un blog metallaro che dovrebbe servire più a consigliarvi dischi per un tappeto sonoro utile a sfondarvi di birra il sabato sera, che non a fornire motivazioni esistenziali per alimentare il vostro fuoco interiore contro il dannato sistema che ci opprime e ci omologa diolofulmini. Però, siccome certe uscite si festeggiano manco fosse il sangue di San Gennaro, sono convinto che un occhio lo chiuderete eccome. La (c)attivissima Shake Edizioni ha appena ristampato il celebre ed unico full lenght album dei fondamentali Indigesti, quell'”Osservati dall’inganno” che pur prendendo a piene mani tutte le influenze del miglior hardcore losangelino, si è riconfermato in tutto il mondo come un esempio più unico che raro di hardcore italiano assolutamente competitivo con il resto delle produzioni concorrenti, per dirla come quelli che contano. Le influenze del gruppo sono varie, all’epoca si ascoltava di tutto: dagli onnipresenti Black Flag a robe minori ma ugualmente influenti come lo split fra Void e Faith, le comp come “This is Boston, not L.A.”…tra Minor Threat, Black Flag e soprattutto Circle Jerks c’è motivo di credere che gli Indigesti si siano rinnovati profondamente nel suono e nella poetica, traghettando, loro stessi pionieri, la scuola italiana dai primissimi passi (circa 1982) a poco dopo il 1985. Appunto, uno dei primi segni dell’hadcore italiano (tralasciamo le demo tape e i concertoni di area torinese, perché tra Blue Vomit, Quinto Braccio etc. si rischia di imbottigliarsi) è proprio lo storico split Wretched/Indigesti, un vinile privo di copertina (ma con il classico chilo e mezzo di flyer) registrato con il culo e tirato a mille a velocità folli, roba di una manciata di minuti massimo. Su quello split i Wretched tirano fuori un pugno di canzoni pazzesche, violentissime e sporchissime (come dimenticarsi di “Usa la tua rabbia“?) che in un certo senso rappresentano una fase decisiva seppur immatura della loro evoluzione (?) sonora: un che di dischargiano ma registrato malissimo e in maniera confusionaria, sovrastato dalla voce spaventosa di Gianmario, uno di quelli che se gli chiedi: “Screaming? Growling? Pulito? Graffiato?” ti rutta in faccia una zaffata malefica. Solo dopo, diciamolo pure, avrebbero imparato a suonare e si sarebbero avvicinati ad un sound che già all’estero flirtava col nascente crust. Gli Indigesti invece fanno lo sporchissimo lavoro di infilare sei tracce ancora più veloci ma caratterizzate da un suono graffiante, per nulla massiccio, agilissimo e molto orecchiabile, una roba perfetta per gli skater, se non fosse che con quei ritmi a rotta di collo è difficilissimo stare al passo e che a skateare con i cappellini da camionista e i pantaloncini modello Anthrax a Vercelli nell’82 non doveva esserci proprio nessuno. Quel sound si manterrà fisso come marca principale dello stile degli Indigesti e se la gioca con la particolarissima voce di Rudy, cantante con un bella zeppola e una vocina sottilissima (che poi avrebbero imitato un po’ tutti), il tutto orientato verso la definizione di una melodia vocale paranoica. Dopo questa prova seguì altro materiale raccolto in “Sguardo Realtà” (non la cassetta), ma sempre sulla stessa falsariga. Con il 1985, a seguito di qualche scombussolamento in formazione, entra lo storico bassista dei Declino Silvio Bernelli a dare quel tocco in più di ricercatezza musicale che renderà il loro unico LP una pietra miliare dell’hardcore e di quel suono ormai a cavallo con le suggestioni thrash metal che in realtà solo Negazione e pochi altri traghetteranno nel mondo dell’allora detto crossover. E anche la band cambia un po’ stile, infatti, accantonati i temi a sfondo sociale prima appannaggio di un lirismo estremamente metaforico, ora il ripiegamento intimista si completa in favore di testi che definire ostici è poco. Sarà questa un’altra notevole caratteristica della band, se consideriamo che un po’ in tutta Italia le band hardcore non facevano che battere sempre su un antagonismo etico-politico (Wretched capolista) non banale ma sinceramente logoratosi in seguito all’abuso dei suddetti temi. E allora quelli che fanno? Scrivono testi incomprensibili e si distinguono. Ora però, io una lancia in favore di quei testi la spezzo. Si dice che Rudy scrivesse robe incomprensibili, ok, ma non dimentichiamoci neanche dei Negazione e Sottopressione, campioni di quell’intimismo lirico che almeno un po’ alleviano il carico di colpe degli Indigesti. Il disco fu realizzato nel 1985 con mezzi decisamente più professionali che in passato, anche se mantenendo il suono sporco e le chitarre agili come sempre. La voce è registrata un po’ bassa a dirla tutta, ma va bhé. Penso che per descrivere questo disco non servano parole, al massimo va ricordato qualche pezzo della madonna come l’opener, “Doppio confronto”, “Senso di abitudine” etc., pezzi carichi di energia e simili a ben poche altre cose al mondo. Proprio questa fu la specialità degli Indigesti: non l’originalità, non lo sforzo artificiale teso a distinguersi da quei benedetti quattro quarti, ma proprio l’unicità del loro stile, la loro totale estraneità a qualsiasi banalizzazione del suono hardcore pur mantenendo immutata una sfegatata dedizione al canone americano, un atteggiamento più da fan che da professionista (non me ne vogliano). Gli Italiani, si sa, non primi nel mondo ma almeno secondi in Europa (pari merito con pochissime altre terre dell’hardcore) hanno sempre scontato le colpe tipiche dell’essere epigoni e provinciali. Quindi succedeva che nello stesso anno, subendo un ritardo mostruoso rispetto al Regno Unito, venissero fuori gruppi punk, new wave e hardcore. E magari registravano pure in maniera troppo amatoriale. Però poi, venivano i Black Flag in Italia e i punx rispondevano spaccando tutto. Come avviene per i generi estremi del Metal: una volta esaurita la spinta primigenia, è una sorpresa ricercarli nelle terre più sperdute e inaspettate. Tornando a noi, la ristampa esce in un case cartonato con testi, foto e commenti dei singoli membri, recensioni varie ed eventuali (tra le quali una del vecchio Metal Shock…fate il paio con questa) e aneddoti sulla registrazione che trasudano quel senso di semplice urgenza del vecchio hardcore italiano. Il cd contiene anche una traccia video che cattura i membri in un concerto a Chicago nel 1986 di spalla a chissà che gruppone. Bello sì, ma fidatevi: su Youtube ci sono i video delle loro esibizioni al Virus di Milano e in altri centri sociali. Venti persone e un pogo della madonna, altro che Eastpack tour. Vederli non fa male, anche se è dura immaginarsi ‘sti signori di mezz’età oggi impegnati ancora nell’autoproduzione e nella lotta politica extraparlamentare. Purtroppo la vita è una merda, ancor di più se sei punk. Che altro dire? Ah, sì: il mio cd fa parte della prima tiratura, quella con la tracklist sballata. Bernelli su Facebook mi ha detto ironicamente che tra qualche anno sarà un pezzo da collezione ma ho l’impressione che la mia sia solo sfiga. Abbonàtovi.

6 commenti

Lascia un commento