Blackbraid III è la solita pizza Margherita
Qualche settimana fa mi ero lanciato all’ascolto del nuovo singolo dei Blackbraid, band americana che, pur senza inventare nulla, aveva sfornato due dischi di tutto rispetto: il genere è un black metal melodico al contempo battagliero e aggressivo. Il singolo mi era piaciuto, ma ascoltando l’album intero mi è venuta qualche riserva.
I Blackbraid, con il terzo album Blackbraid III (i primi due si chiamano Blackbraid I e Blackbraid II), hanno raggiunto il limite che separa l’entusiasmo dal tedio. Mi spiego. Il progetto nasce ad opera del polistrumentista Sgah’gahsowáh, all’anagrafe Jon Krieger, ed è un progetto solista. Ha guadagnato una discreta notorietà nel metal estremo grazie a dischi musicalmente ben fatti, un’estetica riconoscibile e una comunicazione efficace. Va ricordato che non ha il supporto di nessuna etichetta, quindi tanto di cappello. Il progetto è arrivato al terzo disco, come dicevo, e anche questa volta ha fatto centro. Le melodie ci sono, i riff sono epici e le ritmiche gagliarde. L’opera, come le precedenti due d’altro canto, evoca scenari nordamericani molto vividi e molto sentiti. Chi si approccia per la prima volta ai Blackbraid lo potrebbe trovare un disco notevole. Il problema comincia se si hanno già presente i precedenti due dischi.
A parte qualche minuscola variazione sul tema, tra l’uno e l’altro non cambia niente. Il grosso di questo disco è identico ai precedenti. La formula è vincente, certo, se uno si accontenta di sentire le stesse cose rimescolate. D’altronde, a molti fan sta bene che l’artista non cambi, e alcune band ci hanno lucrato sopra alla grandissima. Sia chiaro che non c’è niente di male in questo.
Però è vero anche che Sgah’gahsowáh ha “solo” 35 anni e, caspita, non sperimentare a quest’età è un peccato. Il potenziale creativo, ammesso che uno ne abbia, e Sgah’gahsowáh ne ha, è più alto da giovani e scema via via con gli anni. Ci sono delle eccezioni, ma generalmente è così. È un peccato quindi che questo progetto continui a suonare esattamente sempre uguale a se stesso.
Ascoltando Blackbraid III mi viene in mente la scena della pizzeria nella serie Strappare Lungo i Bordi di Zerocalcare. Per farla breve: Zerocalcare è in pizzeria con il suo amico, e deve decidere se prendere la solita, buona Margherita, o provare una pizza mai assaggiata ma apparentemente altrettanto buona, che lui chiama pizza ‘Stocazzo. Insomma, la scelta si trasforma in un dramma. Il tempo stringe, il cameriere si avvicina. Andare sul sicuro scegliendo la Margherita o lanciare il cuore oltre l’ostacolo e provare la ‘Stocazzo, che potrebbe essere altrettanto buona ma anche una merda colossale? Alla fine sceglie la Margherita.
In pratica, come Zerocalcare, anche Sgah’gahsowáh ha scelto ancora la Margherita. Non è uscito dalla sua zona di comodo, fa tour in Nord America come headliner e con date da tutto esaurito, e sicuramente gli sta bene così. Ora tocca a voi ordinare: se siete tipi da Margherita, Blackbraid III vi soddisferà. Se siete tipi da pizza ‘Stocazzo ne dubito. (Luca Venturini)



Completamente identico ai primi due, stessa qualità ottima. Personalmente non sento bisogno di variazioni stilistiche, e se non le sente l’artista mi va bene così (ripeto, sempre che la qualità rimanga alta)
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fatto sta che tutte le volte che provo a prendere una pizza stocazzo va molto male
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Preferisco una margherita fatta con materie prime di grande qualità a qualunque altra pizza.
Non posso dire la medesima cosa rispetto ai modelli che uso quando lavoro. Qua sono molto meno conservatore, direi il contrario.
Ma come la metti la metti, la questione primaria resta dare il meglio, fare le cose per bene. Ho smesso da un pezzo di cercare discontinuità d’avanguardia nella musica del demonio.
Mi sento un po’ come Dieci Orsi in Balla coi Lupi. Invecchiando mi piacciono sempre di più le stronzate semplici. Un fuocherello, un bicchiere di Primitivo, la compagnia di un amico e un disco come Psalms unto Caesar dei Sepulchre. Una di quelle cose che ti riportano alle vecchie grandi cose griffate No Fashion o Wrong Again records.
E sto disco finisce in playlist di fine anno, sicuro. Un mix perfetto tra Tusen ar har Gatt e Vittra, con una spruzzata di Obsequiae e vecchi Empyrium. Una bombetta di 36 minuti che viene via come una pagnotta appena sfornata e che dedico al mio amico virtuale Fredrick, nonché al desaparecido Charles.
Daje.
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ecco, hai detto in modo migliore quanto dicevo io. sperimentazioni fini a se stesse, innovazioni, boh. meglio le robe semplici è ben fatte
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