In cerca del Mostro (di Firenze) – Intervista a Francis Trinipet

In cerca del Mostro è una serie documentaria composta, ad oggi, da cinque episodi (su un totale previsto di sette) fruibili gratuitamente su YouTube. Il progetto si propone di indagare la complessa e oscura vicenda del cosiddetto Mostro di Firenze, una delle pagine più enigmatiche e perturbanti della cronaca nera italiana del secondo Novecento. Lungi dal reiterare gli schemi narrativi consunti dei prodotti mediatici che si sono nel tempo occupati del caso – ovvero la cronistoria dei delitti, le piste investigative, le ricostruzioni giudiziarie e le congetture dietrologiche che hanno segnato il periodo compreso tra il 1968 e la sentenza definitiva del 1999 – la serie adotta un taglio radicalmente differente, usando un approccio che potremmo definire storico-antropologico.

Ogni episodio ha un titolo in latino che è lente tematica attraverso cui osservare e interrogare non solo i fatti ma l’intero universo simbolico e sociale in cui sono maturati. L’intento è offrire una disamina più ampia e profonda della società italiana di quegli anni, in particolare nella dimensione toscana e fiorentina, mettendone in evidenza le paure latenti, le tensioni irrisolte, le derive culturali, i cortocircuiti sociali e i fantasmi collettivi.

Nox, noctis esplora i misteri delle notti fiorentine, tra ritualità, marginalità e clandestinità; Rus, ruris si concentra sul mondo contadino e sulle sue spesso rimosse contraddizioni, tra arcaicità e violenza sistemica; Oculus, oculi indaga il fenomeno del voyeurismo e del guardonismo, interpretandolo come sintomo di un desiderio patologico di controllo e di trasgressione; Venor, venaris si inoltra nei territori della caccia e del bracconaggio, laddove la legge agreste e l’istinto si sovrappongono in forme ambigue, ai limiti della civiltà; e infine, Femina, feminae, episodio particolarmente inquietante, affronta il tema della misoginia omicidiaria, intrecciando cronaca, narrazione e memoria in una riflessione potente sul ruolo e sulla rappresentazione della donna nella società italiana e sugli abusi reiterati. Ne abbiamo parlato con Francis Trinipet, nom de plume di Francesco Petrini, ideatore della serie.

In cerca del Mostro si distanzia molto dal solito documentario sulla vicenda. Nella maggior parte dei casi ci si limita a fornire una cronologia degli eventi, delle indagini e delle vicende giudiziarie in modo più o meno dettagliato. Credo che quello che fece Lucarelli per Blu Notte sia ancora, in questo senso, il contributo migliore.

La cronologia interessa sino a un certo punto, anche perché è stata ripercorsa migliaia di volte. Quell’episodio di Blu Notte credo abbia più di vent’anni e rimane assolutamente essenziale, e quello che ha fatto Lucarelli, anche in altri campi, è fondamentale, bellissimo. Poi è “complice” di Giuttari, ci ha scritto anche un libro insieme, insomma, Lucarelli non se ne è occupato solo a livello televisivo, ha partecipato in modo più consistente allo studio della vicenda del Mostro.

In quanto storico ti sarai posto, credo, la questione del dosaggio del rigore accademico. Ti sei trovato a lavorare con fonti assolutamente contraddittorie, ambiguità interpretative gigantesche, questioni ancora aperte a distanza di anni dalla chiusura dell’ultimo processo. Come ci si regola? 

Venivo da vent’anni di ricerca accademica da antichista e, in una fase di sterilità professionale, mi volli dedicare a qualcosa che per me, che ho cinquant’anni, era stato il trauma dell’infanzia. Tu hai contezza della tipologia delle mutilazioni sessuali dei delitti. Ecco, io vedevo da bambino le mie sorelle maggiori e mia madre veramente sconvolte da questi fatti di cronaca, che accadevano proprio a casa nostra. Loro nemmeno mi potevano trasmettere che cazzo facesse il Mostro: come lo racconti a un bambino di 6 o 8 anni? Io crebbi con questo trauma e mi interessai successivamente alla vicenda ma non avevo mai fatto vera ricerca sulla questione. Poi, a un certo punto, sui 40-45 anni, cominciai, non appena ritenni di avere gli adeguati strumenti concettuali e metodologici. La cosiddetta “mostrologia” è al 90% fatta di complottismo. Io ho voluto contrapporre un metodo storico, mi sono detto: “Io mi sono occupato di Cassiodoro, di Tacito, proviamo ad applicare la mia scuola metodologica a questo argomento, dove ancora troppa gente spara cazzate”. C’è un esercito di persone che specula sul niente. Ma, guarda caso, non c’è nessun giurista, nessun esperto, che si occupa della vicenda e sostiene certe tesi fondandole su argomentazioni compiute e risolutive o che almeno abbiano la dignità delle determinazioni giudiziarie. Nel migliore dei casi, qualche personaggio di YouTube non sequitur. Questo, da un certo punto di vista, per me è un vantaggio. Aprire un canale su YouTube gratis ti offre delle possibilità. Anche questa è stata una motivazione, per me.

Io vengo da una generazione che, per registrare una demo fatta male, doveva spendere quattrocentomila lire, e il prodotto finale era una fregatura. Adesso, comprando anche solo un bel Mac, hai delle possibilità che, se io avessi avuto nel 1991, avrei fatto molto, molto di più. Molte delle cose che metto nei documentari vengono da anni di partecipazione pregressa, tormentata e nevrotica, sui forum. Entrare nella vicenda, raccogliere materiale, mordendosi la lingua spesso, creare una rete di contatti. Poi, provare a fare il passo successivo: contattare i magistrati e gli investigatori, ma anche gli stessi “complottisti”, che comunque erano in possesso di materiale interessante.

A partire dal 2018 ho cominciato ad andare in giro, istintivamente, anche con la telecamera, documentando tutto. Alla fine dello stesso anno mi sono deciso non solo a documentare, ma anche a compilare. È uscito il mio primo documentario, che si chiama Sopralluoghi, che è, a dire il vero, abbastanza fine a sé stesso. Era un prodotto nato dal cuore, e le sue due iterazioni (2018 – 2020), hanno fatto più di 63.000 visite. Poi, ho avuto la forza di scrivere un primo testo sull’argomento. E ho visto la differenza del risultato, anche in termine di visualizzazioni.

Poi ho rilanciato con In cerca del Mostro, di cui ho ipotizzato 7 volumi. Ho provato a pormi in altro modo: da storico, io non propongo nessuna mia ipotesi. Avevo fatto una serie di documentari sulle indagini sulle prime coppie di vittime, quelle per cui non c’è una vera e propria sentenza definitiva. A un certo punto mi stancai degli approcci “biografici”, e pensai a un approccio trasversale che mi permettesse di spaziare. In cerca del Mostro prende il pretesto del Mostro senza mollarlo mai ma diventa un prisma retrospettivo di storia della Toscana, del costume, della cultura, della società.

Io ho visto anche i tuoi primi documentari. Quello che hai scritto dopo è chiaramente tutta un’altra cosa.

I primi non erano scritti. Poi quando costruisci una impalcatura fatta di una lunga e difficile raccolta di documentazione… Come sai, non tutto e accessibile. Non tutto è pubblicabile. Però la raccolta di materiale è stata proficua. Mi sono fatto il mio archivio. E abbiamo anche pubblicato su cartaceo. La trilogia di Taddeo, appunto, e poi l’ultimo volume collettivo, sempre per Mimesis. Paolo Canessa [Pubblico Ministero che si è occupato, per anni, del caso del Mostro e ha portato in tribunale Pacciani e i Compagni di merende, nda] è venuto a sentirci parlare del Mostro nell’occasione della presentazione del libro. È stato il massimo della soddisfazione.

Ti è mai capitato di superare il confine tra esigenza narrativa e precisione fattuale? A volte magari c’è bisogno di un espediente letterario per calcare la mano su aspetti più “di contesto”.

Tocchi un problema di metodo che è assolutamente delicato e scivoloso. Non c’è una vera e propria storiografia sul Mostro di Firenze: da un lato ci sono investigatori e magistrati, e dall’altro giornalisti e romanzieri. Io ho voluto provare a usare il metodo che ho sviluppato per la storia antica. Rivendico una via media fra il colloquialismo e il rigore accademico. Perché poi la tematica è sporca, va a toccare, oltre ai delitti, gli ambienti della prostituzione, delle degenerazioni sociali, la misoginia, il femminicidio. Io uso molto il turpiloquio, mai in modo offensivo ad personam. Lo uso per svegliare l’ascoltatore, e lancio la mia provocazione, la mia sfida: “Dai, controbatti. Argomenta la smentita”.

Certo, il terreno è scivoloso. Io posso aggrapparmi alle sentenze e alla verità giudiziaria, che ritengo valida, ma ci sono verità che sono inconosciute e inconoscibili. Anche le figure dei condannati, Vanni e Lotti, offrono una versione che è comunque protetta da uno schermo impenetrabile oltre il quale tu non puoi vedere. Le congetture le appoggio in filologia, ma in storia non puoi riempire uno spazio vuoto. Quindi, spesso, sospendo il giudizio e rivendico che non sto proponendo una mia teoria, ma tento di produrre evidenze, anche contestuali, a partire da una ricostruzione investigativa.

Trattando una simile vicenda è inevitabile occuparsi anche dei dettagli scabrosi.

Certo, si può anche cedere alla malizia. Purtroppo l’argomento è questo. Rischi di insistere troppo. E io in questo esagero sempre. Segnalo sempre, all’inizio dei video, che i miei contenuti non sono per bambini, sono vietati ai minori di 18 anni, perché voglio andare a fondo nella narrazione. Certo, rispetto sempre i limiti di YouTube, e ovviamente osservo sempre il massimo rispetto per le vittime e i parenti delle vittime. L’impiego delle foto deve essere necessariamente filtrato, ma nella descrizione verbale mi spingo fino all’estremo limite consentito. Infatti penso sia questa la mia cifra: spingo su quello. Non voglio dire che ci speculo ma la vicenda è questa. Si parla di sesso e morte. Si conoscono le mutilazioni sessuali al centro della vicenda. Non parlo solo di quello ma quando devi chiarire le dinamiche delittuose, a un certo momento devi quasi togliere quel velo di dignità che giustamente la cultura degli ultimi cinquant’anni ha sempre posto sopra le vittime. Le narrazioni dei delitti sono sempre filtrate prima di raggiungere il pubblico, e la documentazione investigativa è molto più dettagliata. Dettagli che, ripeto, giustamente non possono essere comunicati con leggerezza ai non addetti ai lavori.

Io cerco di difendermi con ogni argomento ma non posso negare che lo stimolo che mi spinge, il movente psicologico, che è anche quello che anima i romanzieri cazzari, è una profonda morbosità. È ovvio che ci sia questa componente, per fottermi dieci anni di vita e cercare di raggiungere un risultato in una competizione per chiudere la bocca ad altri. In modo giustificato, perché la considero una battaglia civica, oltre che un mio trauma infantile. Io ho sempre ritenuto che questa vicenda criminale venga da Firenze. È un prodotto del nostro territorio. Generalizzando, i fiorentini hanno questa cifra peculiare. Il Mostro è un’espressione del territorio come può essere Pinocchio o la Primavera del Botticelli. Come ha detto Spezi [il giornalista de La Nazione Mario Spezi, che ha dedicato alla vicenda moltissimi anni della sua vita, coniando anche la stessa espressione “Mostro di Firenze”, nda]. Ha una sua peculiarità fiorentina, anche se non ha mai colpito in città e, per essere rigorosi, si dovrebbe chiamare “Mostro del contado fiorentino”.

Femina, feminae è terrificante. Una lista lunghissima di fattacci, in maggioranza italiani ma anche esteri, che non sono assurti poi all’onore delle cronache. Vittime di una violenza che ricorda quella perpetrata non solo sulle vittime dirette del Mostro. Penso anche alle modalità usate per massacrare, ad esempio, Milva Malatesta, figlia di Antonietta Sperduto e connessa trasversalmente alla vicenda del Mostro.

Allora, io non voglio continuare quell’elenco, ma è lungo e in gran parte poco conosciuto. Io, che mi considero un esperto di cronaca italiana, non conoscevo il caso di Maria Teresa Novara [tredicenne piemontese che nel 1968 venne rapita da due malviventi del posto, fatta prostituire e poi assassinata, nda]. Capisci che certe cose ti danno contezza della soglia minima dell’uomo. Pensi di essere lontano anni luce da certe realtà, e quando indaghi le ritrovi continuamente a Firenze e, in generale, in Italia.

Pensi che l’Italia soffra di una forma di colpa storica non espressa, veicolata con la questione del Mostro?

L’esposizione mediatica di questa storia, che solletica la prurigine dell’opinione pubblica, è importante: non parliamo del classico caso di omicidio. È una delle espressioni più morbose della criminalità italiana, a cui si associa il mistero giudiziario che permane al di là delle condanne, che moltissimi ancora contestano. Perdere dieci anni in una vicenda che è costata un decimo delle vittime di Ustica o della strage di Bologna, è quasi sproporzionato. Anche Gianfranco Stevanin e Donato Bilancia [due serial killer italiani, rispettivamente di Verona e Genova, attivi nella seconda metà degli anni ’90, nda] hanno fatto quasi più vittime. Ma sul mostro c’è un concorso di elementi: una illeggibilità di certi passaggi della vicenda, quelli relativi al 1968 e al 1974, grossi iati tra i primi delitti. E poi la serialità, il fatto che non si riesca a identificare l’omicida con sicurezza e in modo definitivo, il fatto che le testimonianze del reo confesso e dei testimoni oculari non tornino, e la certezza che mai nessuno si vanterà di aver commesso episodi del genere. Anche chi confessa, non ti darà mai una confessione totalmente palatabile. Quindi è una vicenda che ha bisogno di essere raccontata, che è stata raccontata milioni di volte e che però io non posso raccontare definitivamente. È avvolta ancora da molti misteri. La stampa e la televisione hanno fatto un grande lavoro. Certo, inevitabilmente titillando, giocando sulle vendite: a Firenze sono cinquant’anni che La Nazione esce con titoli sul mostro. Di sicuro la mia città è traumatizzata, come lo sono stato io.

Ma a tuo avviso, ora che è tornato il tema in modo prepotente, pensi che si sia costruita una nuova “mitologia” attorno alla faccenda del Mostro?

La “mostrologia” è fatta al 90% da battitori liberi che, a migliaia, si dedicano alla vicenda senza alcuna professionalità o competenza specifica. Gente che si prende anche la briga di accusare, di puntare il dito, che pensa veramente che gli investigatori e i magistrati di mezza Italia aspettassero solo il loro contributo. Sarò ottuso io, ma tendo ad avere fiducia nelle istituzioni. Sentire le teorie che dicono che Vigna [il magistrato e procuratore che ha lavorato al caso del Mostro di Firenze, nda] doveva trovare un colpevole a tutti i costi, o che ha coperto i colpevoli, mi fa solo incazzare. Se si vuole formulare una prospettiva del genere, almeno bisognerebbe sostanziarla, giustificarla. Se una cosa non la sai, non la sai e basta. Non puoi dal nulla venir fuori e pensare di aver capito meglio tu di tutti gli altri, di Canessa, di Perugini, di Vigna, di Carofiglio.

Nei tuoi documentari è presentissimo il paesaggio toscano, sia naturale che antropico. Addirittura, gli edifici, le foreste, i nomi delle località. Qual è il valore della geografia della memoria, chiamiamola così, nella comprensione della storia?

Vivendo qui, dovrei quasi per definizione vantare una conoscenza approfondita del territorio. E invece è stata proprio l’ossessione per il caso del Mostro di Firenze a spingermi ad approfondire, ad andare oltre. Tutta questa esperienza ha coinciso con una crescita della mia conoscenza del territorio fiorentino – nei suoi anfratti più nascosti, nei recessi che, all’epoca dei fatti, riflettevano quella che potremmo chiamare una topografia dell’erotismo marginale, della trasgressione. Mi riferisco a quei luoghi appartati in cui si consumavano gli incontri delle “camporelle”, spazi frequentati da prostitute, guardoni, amanti clandestini. Non erano i posti delle sagre o delle passeggiate con mio padre. Erano luoghi defilati, marginali, che però trovano il loro riflesso anche nel centro urbano – penso, ad esempio, alle Cascine, che allora erano considerate veri e propri epicentri del vizio. Firenze, in quegli anni, era – per riprendere un’espressione giornalistica – “in preda alla prostituzione”.

Nel mio piccolo mi sono dunque addentrato in una conoscenza più specifica di questi luoghi. Anche perché, per il mio lavoro, mi occupo di paesaggi antichi, toponomastica, topografia storica e tradizioni popolari. È inevitabile, dunque, che i miei documentari siano punteggiati da suggestioni storiche e geografiche che apparentemente non hanno nulla a che vedere con il mostro. Penso, ad esempio, ai dettagli sull’affresco della Taverna del Diavolo di Mosciano, alle possessioni demoniache, alle notizie medioevali: non li voglio collegarle direttamente alla vicenda come se fosse un film, ma li uso come elementi di contesto, come note di costume che aiutano a evocare un clima, un sentire collettivo.

In questo contesto mi sono confrontato con documenti davvero interessanti, anche grazie agli archivi dell’Aeronautica Militare e della Regione, che hanno messo a disposizione una notevole quantità di materiali d’epoca. Questi archivi – fatti anche di immagini satellitari e documentazione cartografica – permettono di fare un’analisi retrospettiva delle cosiddette “piazzole”, dei luoghi del crimine, o della memoria. Funziona un po’ come con Google Maps, ma con la possibilità di analizzare retrospettivamente le fotografie a partire dagli anni Duemila fino agli anni Ottanta, o addirittura Sessanta. Questo rende possibile un vero e proprio studio evolutivo del paesaggio.

Recentemente è stato pubblicato un libro a più mani a cui hai partecipato. Ce ne parli?

Si, una collaborazione con Roberto Taddeo a cui hanno preso parte anche il giudice Salvini, il giudice Mignini, e l’avvocato del Senato, il grandissimo Daniele Piccione, mio coetaneo. Mi hanno onorato tutte queste personalità, lavorando ai contributi presenti nel libro. Questa pubblicazione ha una velleità accademica. Ho iniziato il percorso per ragioni personali e sono finito a scrivere un libro con gli investigatori e gli inquirenti. Per me è come un grande successo accademico. Lo abbiamo anche presentato alla Camera.

Chi vede la serie nota subito un montaggio impazzito. Frammenti eterogenei di immagini e suoni uniti da una narrazione, guidati dalla tua voce, essa stessa a volte frammentaria, spezzetta. Permettimi di usare un concetto forse trito e abusato: veramente postmoderno.

Mettiamo in chiaro che io non ho una formazione da operatore cinematografico, o da fonico o da montatore. Il prodotto finale è il frutto di tecniche assolutamente casalinghe, i miei documentari hanno spese di produzione veramente bassissime. Entrambe queste cose, conoscenze tecniche basilari e budget contenuto, terminano in video e audio veramente di qualità infima. È chiaro che il mio punto forte è la scrittura, cosa di cui vado orgoglioso. C’è anche da dire che questa “rozzezza” è stata però anche in tempi recenti riapprezzata. Già a partire da The Blair Witch Project, alla fine, questo tipo di tecniche registiche, benché basiche, consentono una narrazione di un certo tipo. Per quanto riguarda la questione postmoderna, il ricorso al frammento, al collage, mi permette molta più libertà creativa nel sondare le tematiche che si affrontano nei documentari.

Ultima domanda, questa volta sui contributi musicali presenti nei tuoi documentari. Si sentono brani di Adriano Celentano, di Lucio Dalla, dei Tazenda; si sente La Tramontana (grosso successo a Sanremo 1968, e sinistramente presente nella testimonianza di Natalino Mele, figlio di Barbara Locci, prima vittima femminile riconosciuta ufficialmente del Mostro di Firenze). Che importanza ha la musica nei tuoi documentari?

La musica ha differenti funzioni. Serve, infatti, per ricostruire meglio l’ambiente dell’epoca che sto investigando, ma allo stesso tempo mi permette di alleggerire narrazioni che, altrimenti, sarebbero ancora più pesanti di quello che già sono. Poi, alcune musiche sono totalmente originali, e ringrazio tutti i miei amici musicisti, signori professionisti, che mi aiutano. Altre, quelle protette da copyright, le faccio canticchiare a spezzoni da alcuni amici e poi le montiamo velocizzate, alterate. Un vero collage musicale. (Bartolo da Sassoferrato)

2 commenti

  • Avatar di Old Roger

    Grazie della dritta, andrò sul Tubo a cercarlo

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  • Avatar di Cattivone

    Interessantissimo, me lo recupererò di certo.

    Ho ascoltato più volte le depisizioni dei testimoni, più per un mero interesse antropologico che altro, ma ho finito con l’appassionarmi davvero alla vicenda, un approfondimento serio è più che benvenuto.

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