Il disco black dell’anno? WARLOGHE – Logos of All-That-Ends

In occasione del ventennale di Womb of Pestilence occorso nel 2023 ho scritto che, nonostante i Warloghe siano una delle entità più autorevoli dell’intera scena black finlandese, le loro uscite discografiche sono rare, molto diradate nel tempo. A conti fatti esistono da trent’anni, e in tutto questo tempo hanno pubblicato 4 LP, due sette pollici ed una demo (materiale quest’ultimo poi racchiuso in una raccolta che ne contiene tutti i pezzi oltre a due inediti). Null’altro. Pur se – in qualche momento nel tempo – nella band si sono avvicendati esponenti di spicco di praticamente tutti i gruppi aderenti a quel movimento, non c’è mai stato un incremento significativo della loro attività, sia discografica che live; è come se al loro fondatore Glaurung (che nei Warloghe ha sempre usato lo pseudonimo Eorl Thort Tyrannus) non fosse mai importato nulla di notorietà o fama, vivendo defilato la sua appartenenza a un mondo sviluppatosi in modo enorme, forse proprio per avversione a una popolarità se vogliamo persino un po’ forzata, consideratene le caratteristiche principali. Non solo, egli in pratica ha sempre e solo avuto i Warloghe come unico progetto, partecipando ai soli Utgard nel corso della sua carriera, neanche in modo assiduo o precipuo. Ma i Warloghe sono suoi, sono la sua essenza, la sua anima nera messa in musica, e solo a questa ha riservato le sue idee migliori.

Se Womb of Pestilence è il primo capitolo della sua trilogia dedicata alla morte, Logos of All-That-Ends ne rappresenta l’ultimo, giungendo a ben 22 anni di distanza dal capostipite. Ne è la degna conclusione, perché questo album odora veramente di morte ogni secondo dei 36 minuti che lo compongono: il black metal di Glaurung è sofferente, spesso mid-tempo, aggrappato a oscure melodie agonizzanti con le quali si deve ragionare, non essendo di facile presa o di impatto immediato; sin dall’iniziale Sound of Anticreation, che parte cadenzata con un’aura religious black non distante dai Deathspell Omega prima di esplodere in un blast beat violentissimo, il disco si dipana su trame spesso dissonanti che solo raramente si sciolgono in armonizzazioni meno estreme, più immediate. Particolare anche il fatto che i primi due brani sono legati tra loro in un intreccio complesso, come se fossero tre pezzi distinti che si sovrappongono diventando due, anche se all’ascolto, infine, sembrano uno solo diviso in movimenti. Complicato, vero? Ascoltate e approverete!

L’aura del religious black contorto e dissonante non viene mai meno, eppure ci si accorge dopo ripetuti ascolti che non ci sono note o passaggi fuori posto, eccessivi o indigeribili, troppo ridondanti o astrusi; viceversa la struttura dei pezzi è lineare o comunque meno complessa di quanto sembri, perché il fine ultimo è comunicare un pesantissimo, opprimente, disperato sentore di morte, di sfacelo, di ineluttabile e irreversibile sconfitta della vita per come la intendiamo. Obiettivo che viene centrato in pieno, perché il senso di malessere che lascia dietro di sé Logos of All-That-Ends è tangibile, concreto, quasi solido. Cosa che non si può dire di tanti, tantissimi dischi che si pregiano di tentare un risultato simile. I Warloghe hanno composto l’ennesimo disco eccezionale della loro lunga seminascosta carriera, questa è la sintetica verità. Spero non sia l’ultimo, ma se lo fosse mai conclusione avrebbe potuto essere più eclatante. Per quanto mi riguarda, il disco dell’anno è questo. (Griffar)

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