La lista della spesa di Griffar: Arrebol, Where the Lights Fade, Trhä

Darkwoods ha pubblicato a dicembre Four Leagues Away, nuovo EP degli ARREBOL, come prassi progetto solista del compositore e polistrumentista Asz. Anche lui suona un più che apprezzabile black metal atmosferico, meno contraddistinto da tastiere – che qui appaiono sporadiche – quanto più impostato su tracce anche sovrapposte di chitarre, sia elettriche che acustiche. Sono queste ultime che si fanno carico dei momenti più delicati e soffusi, come nella traccia che dà il titolo all’opera, il brano più lungo dei quattro (gli altri sono tutti sui 5 minuti).

Il ragazzo ha talento, le sue creazioni sono tutt’altro che banali e spiace che il suo progetto sia così poco conosciuto nel panorama del black atmosferico. Certo, chi si nutre di raw black o di soli classici probabilmente troverà nella sua proposta poco d’interessante, ma, per i meno intransigenti, il consiglio di andare ad ascoltarsi un brano come Emergence of Dawns, che inanella una serie di riff di pregiata fattura, è obbligatorio e doveroso. In edizione fisica esistono 66 copie in oversized digipak, ancora disponibili su Bandcamp.

Un po’ di black metal vecchio stile, tanto per gradire; e visto che arriva dal Canada è sempre meglio dedicargli un po’ di tempo, ché lassù di black metal se ne intendono. Ovviamente nati come una one-man band, sebbene oggi siano un gruppo di tre elementi, i WHERE THE LIGHTS FADE sono già in giro da un po’ di tempo e a loro si ascrivono tre demo autoprodotti (usciti pure in Cd-r credo oramai difficili da trovare), un disco dal vivo uscito solo in cassetta e infine questo Into the Depths of the Black Creek, EP uscito a gennaio di quest’anno con tre brani per poco più di un quarto d’ora di musica.

Niente di nuovo sotto il sole, ma l’alternanza tra sezioni più veloci e altre assai più lente ai confini del death doom li rende meno banali e scontati di quanto si possa credere. La registrazione poi è artigianale quanto basta per conferire al lavoro un’aura retrò che non dispiace mai, pur non essendo un pasticcio inascoltabile. Il pezzo migliore è anche il più lungo, Looming Doom (Into The Depths), che, anche per via della sua durata (7 minuti), è il più vario e quello che maggiormente evidenzia il loro potenziale, ancora tutto da sbocciare ma indubbiamente presente anche se in latenza. Gli altri due pezzi sono più rozzi, quasi una versione embrionale di quanto mostrato nel summenzionato brano. Per adesso direi senza troppe pretese, però, se si mettono d’impegno, secondo me qualcosa di serio lo creeranno in tempi neanche troppo lontani. CD in versione fisica uscito per Northern Shadow records in 250 esemplari.

Ora sì che lo riconosco: quest’accidia dell’anno passato era intollerabile, ed era ora che Thét Älëf smettesse di cazzeggiare e ritornasse a fare qualche disco. Così tra il 17 e il 24 febbraio sono usciti ben 3 (tre) full a nome TRHÄ dai soliti astrusi titoli che nell’ordine sono: ∫um’ad∂ejja ∫ervaj, ∫um’ad∂ejja mºoravaj e ducel ëf ∂acet’asde§ den alëcaáhabna ë∫ igatenamëc e qui mi fermo perché il titolo prosegue per almeno un altro paio di righe. Io ‘sto tizio non so più se ammirarlo o sbeffeggiarlo, perché viaggia in un universo tutto suo così assurdo e strampalato che davvero si fatica anche solo ad ipotizzare cosa diavolo gli passi per la testa.

Il fatto è che, presi singolarmente, i tre lavori sono uno più bello dell’altro, e contengono soluzioni fresche, innovative inserite in un quadro generale che più raw black di così non si potrebbe. È il suo stile e ne perpetra la gloria in qualunque modo, per surreale che sia, gli salti in mente. Ascoltando tutti in serie gli episodi di quello che mi pare più che sensato considerare un triplo album, però, qualche momento di distrazione finisce inesorabilmente per intervenire, del resto stiamo parlando di – malcontati – 117 minuti e mezzo di musica suddivisa in tredici composizioni. La conclusione oramai è arcinota: se vi piace continuerà a piacervi, se non lo sopportate eccetera, eccetera. Vedete voi, tanto come suo solito le versioni digitali sono vendute a prezzo politico (1 $), mentre quelle fisiche, oltre a essere carissime, generalmente hanno dei layout poverissimi che non giustificano minimamente la spesa. Si fa prima a comprare il titolo, scaricarlo in .wav e farsi un cd artigianale in casa, ché tanto il risultato non è poi così differente, se si vuole ascoltare la sua musica in un hi-fi.

‘Til next, keep bangin’. (Griffar)

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