SCHAMMASCH – The Maldoror Chants: Old Ocean
Gli svizzeri Schammasch, giunti al quinto album della loro più che decennale carriera, sono la classica band che, per qualche strana ragione, mi sembra non abbia mai ricevuto non dico gli elogi che a mio avviso comunque meriterebbe, ma nemmeno la giusta dose di attenzione.
La prima volta che li ascoltai era appena uscito quello che, secondo me, rimane il loro capolavoro. Triangle, del 2016, è un lavoro che necessita di una certa dose pazienza ed attenzione. Disco pretenzioso, è densissimo non solamente a causa della sua impegnativa durata (un’ora e mezza di musica, non diverso in questo dal precedente Contradiction, della durata di poco inferiore), ma anche perché ci proponeva una band che si affacciava più decisamente nei territori dell’avanguardia estrema, mescolando un black metal dissonante e complesso, che ricorda da vicino i Deathspell Omega di Paracletus, con larghissime sezioni ambient strumentali.
Troppo, per qualcuno. Il disco venne accolto in modo secondo me eccessivamente freddo, cosa che fortunatamente non successe per il seguente Hearts of No Light, del 2019, per il quale gli Schammasch tornarono più prepotentemente a sonorità black metal più tradizionali.
Questo nuovo full, The Maldoror Chants: Old Ocean, prosegue in realtà un discorso che la band aveva cominciato giusto tra Triangle e Hearts of No Light, con un mini EP di mezz’ora intitolato The Maldoror Chants: Hermaphrodite, in cui si dedicavano a musicare una sezione del celeberrimo Les Chants de Maldoror, poema epico di Lautréamont (Isidore Ducasse). Il testo di Ducasse, influenzato dal clima intellettuale tardo-ottocentesco, epoca in cui fu pubblicato, e nonostante il primo fallimento editoriale, si segnalò soprattutto per essere una “grande operazione distruttiva nei confronti della cultura borghese e romantica, dei valori esecrabili della famiglia, della religione, di una società disumana” [Isidore Ducasse, Canti di Maldoror, Poesie, Lettere, Lanfranco Binni (ed.), Milano: Garzanti, 1990, p. 5].
Il disco, sin dal suo inconfondibile titolo e poi anche nei titoli di ogni brano, riprende letteralmente i versi di una corposa sezione del Canto Primo di Lautréamont, che formalmente, all’interno del testo, non viene indicato con un titolo, ma è facilmente identificabile come un “Inno all’Oceano”, com’è stato più volte chiamato. Lautréamont, per la stesura di questa sezione, non solamente si ispirò in modo generale a uno dei più grandi temi del romanticismo tardo-ottocentesco, ma più specificamente ricorse a stile e contenuti che aveva potuto apprezzare precedentemente in autori quali il Young, il Byron, il Chateaubriand, il Michelet e, soprattutto, nel Baudelaire di L’homme et la mer.
Fissate le coordinate letterarie, gli Schammasch mi sembrano qui evolvere nuovamente la loro proposta. Voglio essere chiaro: siamo lontani sia dalle ardite sperimentazioni del 2016 ma anche dalla ritrovata brutalità del penultimo lavoro. La musica, che è ora tinta di decadentismo e certamente ispirata immediatamente dal testo preso a riferimento, per quanto possa al principio dare l’impressione di essere saldamente ancorata al black/death mi ha ricordato in più parti il ben più classico heavy, specialmente nella scelta dei suoni e nella scrittura di certi riff. Una musica in cui il cantato in growl passa decisamente in secondo piano, lasciano più spazio a linee vocali pulite, sebbene graffianti. La struttura dei pezzi è certamente meno cervellotica rispetto ai dischi precedenti, pur conservando dinamiche interessanti e comunque lontane dalla forma-canzone. Le sezioni arpeggiate, più distese, che si possono ascoltare sin dall’opener Crystal Waves, vengono controbilanciate in modo egregio dalle parti in cui il riffing è più martellante, e l’innesto di (pochi e dosati) effetti elettronici e filtri vocali impreziosisce le atmosfere musicali, evocando molto bene le sensazioni che si provano leggendo i Canti lautremontiani.
Dal mio punto di vista, il disco è un ottimo lavoro. Si fa ascoltare più volte con facilità, ma senza annoiare. Rappresenta un altro importante tassello della carriera della compagine svizzera. (Bartolo da Sassoferrato)



band sottovalutata parecchio. Triangle album ambizioso e coraggioso, Hearts of no light anche ottimo e nero come la pece da dentro. Curioso di questo dato che era da un po’ che li avevo persi dai radar.
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Canti Di Maldoror. È tipo uno dei libri più metal mai stati scritti.
Devo sentirlo.
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Vero, ci ero rimasto sotto quando uscì Precambrian dei The Ocean, che ha alcune lyrics prese dall’opera.
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