MITOCHONDRION – Vitriseptome
Dopo un primo album formidabile uscito ormai nel 2008, prodotto interamente per conto proprio, i Mitochondrion sono stati presi, inevitabilmente, dalla Profound Lore. Inevitabilmente perché, se avete avuto il piacere di ascoltarlo, è proprio il tipo di musica che l’etichetta canadese non poteva non fare propria. Arriva quindi nel 2011 un secondo Lp altrettanto fenomenale sebbene più inquadrato (si fa per dire), proprio perché prodotto professionalmente. I due dischi suscitarono grande attenzione ed entusiasmo nella scena death underground, dando alla band canadese una discreta rilevanza. Poi sono seguiti un Ep nel 2013 e uno split nel 2016. Dopodiché sono spariti. O meglio, si sono messi a lavorare su questo Vitriseptome, un doppio mastodontico album di potentissimo death metal della durata di quasi un’ora e mezza. Pochi intermezzi acustici, tanta musica, tanta oscurità. Usare la parola album forse non è corretto. Sarebbe più corretto definirla opera, visto che, oltre alla lunghezza, i brani sono spesso collegati tra loro e quasi non c’è interruzione tra l’uno e l’altro. Praticamente, un vortice che trascina l’ascoltatore in un abisso di orrore. Dopo il primo ascolto vi ritroverete come quando, all’uscita dal cinema, vi siete immersi talmente tanto nell’immaginario del film che avete bisogno di qualche minuto prima di riprendere contatto con la realtà. Tanto più che le ultime due tracce, Viabyssm e Antitonement, vi massacreranno definitivamente con la loro durata di 11 minuti l’una.
In questa opera rimangono intatte tutte le caratteristiche per le quali i canadesi si erano fatti apprezzare: atmosfere malvagie, brutalità sonora talvolta al limite del caos, ma anche idee molto chiare su cosa suonare e come suonarlo. Come i due dischi precedenti, anche Vitriseptome, richiede parecchi ascolti, ma non darà mai la sensazione che il brodo sia stato allungato per il gusto sadico di arrivare a quasi novanta minuti solo per il gusto di farlo. No, ogni cosa è esattamente dove deve essere. A differenziare questo ultimo lavoro dai due precedenti è una più spiccata ricerca melodica e una produzione eccelsa che mette in risalto ogni singolo suono all’interno delle canzoni, restituendo una potenza sonora devastante e capace di aprire un immaginario talmente orrorifico da essere quasi vivo. Se non avete ancora avuto modo di conoscerli sicuramente questo potrà risultare un buon album di partenza, innanzitutto perché appunto più accessibile, per quanto possa esserlo un disco di death acido e sperimentale della Profound Lore, e poi perché, a mio avviso, è il migliore della loro discografia per via di una definitiva maturità artistica. Ora, se dovessero star lontani dalle scene per altri 8 anni (13 se parliamo di full), almeno ci avranno lasciato un bel po’ di materiale sul quale passare le ore. Uno dei migliori dischi di death moderno di quest’anno. Poche storie. (Luca Venturini)
