Tra moglie e marito: CASTLE – Evil Remains

Che figata che i Castle sono marito e moglie. Che suonano stoner/doom parecchio mischiato con l’heavy metal e con qualche svisata nel thrash. Cantano entrambi, prevalentemente lei. Lui alla chitarra, lei al basso. Poi ovvio, serve un batterista, ma non è uno che si limita a reggere il moccolo. Anzi, avoja se ci dà dentro. Il bello dei Castle è che menano, anche se il genere non è estremo. E di gruppi dediti a stoner e doom che suonano come educande ce ne sono parecchi in giro. Di quelli rozzi, sporchi, cattivelli, che poi ti fanno pure scapocciare un po’, ce n’è di meno. Quanto ci mancano i The Sword, quelli texani. Pensateci. Ah, pare che ritornino, si sarebbero riformati. Nell’attesa, i Castle, San Francisco, beh, un aperitivo niente male. Evil Remains è il disco nuovo, teschio bene in vista. I tre precedenti sono tutti degli anni ’10, quindi era da qualcosina che si rifacevano vivi. Il perché saranno pure affaracci loro, tra moglie e marito io il dito non ce lo metto mica. Conta che il disco nuovo spacchi. E soprattutto l’inizio, sì, parecchio. Queen of Death in apertura, maligna. Un po’ slayeriana. Poco, non vi agitate, fatemela passare questa cazzata. Poi Nosferatu Nights è un pezzone, arpeggino stoner orientale e mazzate giù nella strofa, riff che è un piacere. Quasi death, e ora mi fermo con le cazzate, buoni. Comunque qua Elizabeth Blackwell funziona proprio alla grande. Mica una grande voce, ma trascina. Il marito, poi, Mat Davis, in questo pezzo si diverte parecchio. Pure io.

Poi un calo è fisiologico. Nosferatu Nights oh, è proprio figa. E Deja Voodoo, almeno come gioco di parole, che gli vuoi dire. Poi vai di sabbathismo sacrosanto in Evil Remains, la canzone, ben dura, ma in un momentino un po’ mistico, là nel mezzo, pare esserci Jex Thoth al microfono, a proposito di gente che pure ci manca un sacco ma che non so proprio se si decide a tornare, prima o poi. E poi si prosegue, sempre tra heavy metal occulto, suoni stoner, qualche tentazione assassina, qualche bel coro da cantare con la bottiglia in mano, qualche escursione psichedelica o vagamente prog. Sempre a conduzione familiare, garantita. Non è che siano proprio imprescindibili, i Castle. Ma di sicuro la cosa che fanno la fanno bene, con tigna, con un po’ di bella personalità. Non sono giovanissimi, Davis mostra capelli e barba ormai incanutiti. Si sente, ed è una cosa buona. Perché in trentasette minuti di disco di ingenuità non ne trovate. E anche solo contenere la durata di un disco del genere alle due facce ideali di un Lp è segno di una qualche forma di saggezza. Insomma, l’heavy metal come le mura di un vecchio maniero, antico, con la patina del tempo visibile ma ancora formidabili. Mura ben presidiate, da Davis e Blackwell. (Lorenzo Centini)

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