La finestra sul porcile: LOVE LIES BLEEDING

Insomma, c’è il nuovo 80’s-fluo-vintage-lesbo-romance-thriller della A24 e mi sembra una buona ragione per alzare il culo dal divano e andare alla proiezione del pomeriggio giù al cinema d’essai che a stento sopravvive in città, magari con qualche sovvenzione. In sala siamo in quattro, di cui due siamo io e consorte. Il proprietario del cinema già scambia quattro chiacchiere quando c’è più gente, stavolta non possiamo proprio evitarlo. Lui di solito propone roba colta, francese, coreana, indipendente (se colta), ma a volte deve cedere ai distributori, così per esempio il lunedì dopo gli tocca dare spazio al documentario sui fratelli Gallagher. Avrà più di sessant’anni, ma quando ha passato Profondo Rosso in versione restaurata, pochi mesi fa, se n’è uscito dicendo che non lo aveva mai visto prima, lui; di solito quei film non li vede, non li apprezza, ma questo gli era piaciuto. “Questo” era Profondo Rosso e io volevo sprofondare. Vabbè.

Viene fuori che Love Lies Bleeding è il secondo film di Rose Glass e a me il primo, Saint Maud, era piaciuto. Una specie di quasi-horror psicologico e mistico neo-neorealista, ma con un finale talmente sopra le righe che lì per lì c’ero rimasto. Love Lies Bleeding, dicevo, lo produce la A24 ed è già un bel colpo. Comunque la si pensi, credo sia uno dei pochissimi casi, al giorno d’oggi, in cui decidi di dare una chance ad un film anche solo per il logo della produzione.

C’è Kristen Stewart, al solito magnetica. Mi pare sempre che stia facendo Joan Jett, però è brava. Inizia il film con un braccio letteralmente nella merda e ha una biondina antipatica e appiccicosa che le ronza attorno, evidentemente non disturbata dall’odore. La Stewart (il suo personaggio, ovvio) gestisce la palestra in un postaccio desolato al confine col Messico. Sono gli anni ’80. Lo sapete, vanno parecchio di moda ora gli anni ’80, magari vi starete pure stufando. Ma mettetevi nei panni di un povero sceneggiatore che vuole scrivere una storia che non sia in costume ma che si è magari rotto le scatole, lui, di dover inventare qualche espediente per fare in modo che il film non sia per metà persone che scrivono al cellulare o guardano lo schermo di un cellulare. Gli tocca come minimo tornare ai ’90, che però magari ti confondi perché i costumi e le auto non sono così diverse, oppure retrocedere fino agli ’80, almeno.

Quindi ecco, la Stewart (non lei…) gestisce una palestra in un posto isolato dove la notte si vedono ancora le stelle, ma in realtà è di proprietà di suo padre, uno che ha traffici loschi e fa un po’ paura, interpretato da un Ed Harris sempre riconoscibilissimo, anche con quella capigliatura che si può permettere solo uno cattivissimo per davvero. Questo ha un’altra figlia, una Jena Malone già meno riconoscibile, visto che viene regolarmente gonfiata dal marito manesco e bastardo, Dave Franco.

A un certo punto alla palestra arriva Katy O’Brian, una culturista sexy e squattrinata diretta a Las Vegas per una competizione. La Stewart si mangia con gli occhi il corpo di lei mentre si allena, tra tutti quei cartelloni motivazionali con quelle frasi del cazzo che piacciono a quelli che si allenano tantissimo, tipo “no pain no gain” e via discorrendo. Le due si piacciono subito, proverbiale colpo di fulmine. La Stewart, per fare comunque maggior colpo, tira fuori un astuccio pieno di siringhe e boccette di una qualche merda illegale che serve per gonfiare ancora di più i muscoli. Prepara una prima iniezione, con una dose minima, e la inietta sul sedere della O’Brian, non immaginando che è da lì che hanno inizio i guai seri.

Ora, non ci sto certo a raccontare tutta la trama che sennò poi l’Azzeccagarbugli protesta. Vi dico soltanto che comunque è una trama di genere, in entrambe le accezioni che, ci scommetto, vi vengono subito in mente. La prima perché è principalmente la storia di un amore omosessuale, anche se, a dire il vero, a parte un fastidioso screzio all’inizio del film, agli altri personaggi non è che frega moltissimo che le due protagoniste siano attratte dallo stesso sesso. E, ad onor del vero, anche a Rose Glass non sembra proprio che interessi farci chissà che elucubrazioni, al riguardo, né un pistolotto.

La seconda accezione della parola genere è più calzante, perché Love Lies Bleeding pare per larghi tratti un film hard boiled, anzi pulp. Ci sono i traffici col Messico (solo accennati, ahimè), le persone che scompaiono, le persone che si drogano, che vomitano, che hanno le travéggole. Gli sceriffi corrotti. L’F.B.I. che ha le mani legate e sta a guardare. C’è pure qualche effetto splatter che fa quasi sperare che la Glass abbia in serbo l’idea di girare presto un horror vero e proprio e che magari non lo fa subito, a inizio carriera, per non rimanerci etichettata. Comunque, a conti fatti, il film è principalmente un film sentimentale, e anche questo è un genere. Anche con le teste che esplodono e i cadaveri avvolti nei tappeti. I personaggi sono definiti quanto basta per le meccaniche degli sviluppi della trama. Sviluppi semplici, ma a suon di droghe e colpi di pistola, per cui chi si lamenta. In fondo una storia d’amore, non importa il sesso o il genere dei due soggetti coinvolti e che si amano talmente tanto che si ammucchiano, si proteggono a vicenda, si drogano e a volte si sparano persino addosso.

Io la visione me la sono goduta, senza troppi ragionamenti o troppi se. Il finale è un po’ troppo sopra le righe al gusto mio, anche se non si può dire che la cosa non abbia alcun senso o non sia stata costruita piano piano nel corso del film. E poi ci sono le pistole e le teste che esplodono (ma senza troppi tarantinismi) e io quindi alla fine mi posso comunque ritenere soddisfatto. Uscendo dalla sala il proprietario è in agguato e scatta un mini-cineforum improvvisato, in piedi. Gli altri due spettatori, oltre i sessanta, dicono che a loro è piaciuto, anche se ci sono le pistole e le teste che esplodono e quelle cose che piacciono “a voi giovani” (ho quarant’anni). Il proprietario dice che a lui quei film di solito non piacciono, ma quella trovata nel finale, così sopra le righe, lo ha conquistato. Ecco. (Lorenzo Centini)

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