PANOPTICON – The Rime of Memory
Ennesima testimonianza dell’immenso talento di Austin Lunn, The Rime of Memory è un lavoro enormemente evocativo. Raggiungere i picchi di intensità emotiva a cui eravamo stati abituati con …and Again into the Light – concepito e registrato durante il lockdown e la pandemia – era arduo ma l’obiettivo è stato raggiunto grazie a scelte stilistiche e formali all’altezza del compito. Come un altro disco che ho da poco recensito, American Gothic dei Wayfarer, il nuovo album dei Panopticon ha la capacità di proiettarti in pochi secondi in geografie lontane. Se i Wayfarer ci trasportano nella polverosa frontiera americana, qua ci troviamo sulle alture e nelle foreste della regione degli Appalachi. E persino chi non ha mai visitato il Nordest degli Stati Uniti potrà respirare la bruma boschiva, sentire la brezza dei picchi alpestri e udire i richiami della ricca fauna dei massicci montani.
L’abilità di Lunn nel richiamare questi paesaggi in poche note si accompagna bene alle riflessioni del musicista sullo scorrere del tempo, sulla disintegrazione del globo terracqueo, sulla sparizione del mondo animale che si dipanano nei testi delle canzoni. L’iniziale I Erindringens Høstlige Dysterhet invita alla riflessione sul processo di migrazione e la relativa trasformazione della memoria culturale di un popolo, che comporta anche perdita e rinuncia.
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Se l’essenza più intima della musica di Lunn permane uguale a sé stessa, la sua forma esteriore si trasfigura continuamente: The Rime of Memory è il lavoro più pesante della produzione recente dell’americano. Certo, non mancano interludi melodici, atmosfere ariose e arpeggi delicati, come testimonia la lunghissima intro del secondo pezzo, Winter’s Ghost, un leviatano di 19 minuti, ma il palco sonoro è per lo più popolato da assalti feroci di puro black metal. Gli archi, il pianoforte e i fiati sono quindi i supporti di ondate di violenza dissonante precise e letali. Accanto alla strumentazione tradizionale troviamo lo steel pedal, il lap steel e la fisarmonica, che però cedono spazio a bordate intensissime.
La durata impegnativa della maggior parte dei brani, una media di dodici minuti ciascuno, non stempera la tensione di un disco veramente imponente. Il bilanciamento tra le sezioni più veloci e più lente ed elegiache contribuisce a mantenere viva l’attenzione dell’ascoltatore, sfumando progressivamente le tonalità più aggressive in un saliscendi emozionale veramente pregevole. Tutto ciò si evidenzia con peculiare potenza in Cedar Skeletons, brano che brilla di luce propria. Il primo terzo della composizione accompagna il blast beat del verso con un sottofondo di tastiere che suonano accordi minori e contribuiscono alla resa al contempo rabbiosa e tragica della composizione. La svolta, a circa metà del pezzo, ricorda certe composizioni post-rock, dove tra arpeggi puliti e assoli in tremolo compare una piccola parte parlata, recitata con enfasi. Il furioso coro e l’assolo che esplodono verso la fine sono alcune delle cose più epiche che ho sentito mai in un disco black metal.
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Gli ultimi due brani rappresentano l’anima più melodica dei Panopticon, e se la cesura non è nettissima è evidente che vi è un salto considerevole tra il loro umore e le granitiche cacofonie delle prime quattro tracce. Enduring the Snow Draught è forse il pezzo più melodico dell’intero disco, una tenace resistenza all’incedere della rabbia, della distruzione e della disperazione dove gli archi mostrano la sensibilità di Lunn nel concepire gli strati sonori, elementi che ricompaiono nella conclusiva The Blue Against the White. Nutrita la schiera di collaboratori. I più presenti sono Charlie Anderson e Patrick Urban, al violino e al violoncello. Echtra, Victor Sanchez, Patrick Næss, Johan Nilsson e Nina Nilsson contribuiscono invece in vario modo, con harsh vocals o screaming, Hardanger Fiddle e pianoforte. Alcuni hanno anche scritto e recitato alcuni interludi parlati, a guisa di piccoli poemi.
Nonostante sia finito nella mia Top Ten di fine 2023 praticamente sin dal primo ascolto, non sono un fan boy al cento per cento e mi rendo perfettamente conto che The Rime of Memory, da un certo punto di vista, è un album difficile da digerire. Al netto di una produzione consistente e moderna, i primi brani piaceranno maggiormente a chi ama il black metal più aggressivo, anche se non obbediscono interamente ai classici stilemi del genere. La seconda parte dell’album attirerà soprattutto i cultori delle soluzioni più sinfoniche. In ogni caso, i Panopticon non sbagliano un colpo. (Bartolo da Sassoferrato)

Quasi nessuno dei miei dischi dell’anno piacerebbero anche a chi è avvezzo al metal. Soprattutto quello che reputo IL disco dell’anno (no, non parlo degli Sleep Token che citerò comunque per motivi che proverò a condividere).
Bella recensione. L’ho ascoltato un paio di volte e mi sembra un grande disco. Lo lascio fuori dalla mia lista per onestà intellettuale (devo sentirlo meglio).
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