Avere vent’anni: MARILLION – Marbles

I Marillion, all’epoca della release di Marbles nel 2004, non erano esattamente dei pivelli. Per tutti gli anni Ottanta, a partire dal 1983, avevano inanellato con cadenza quasi annuale una serie di dischi che vennero particolarmente apprezzati dal pubblico avvezzo al progressive rock. Dopo la sbronza del punk, band come i Marillion si fecero quindi portavoce di un ritorno a sonorità meno grezze e più ricercate, e l’esuberanza del primo cantante storico, FISH (lo scozzese Dereck William Dick), aiutò la band non solamente ad affermarsi a livello musicale, ma anche a comunicare con il mondo dei fan e con quello commerciale. Dopo aver picconato Mick Pointer, il batterista che suonò nel fortunatissimo disco d’esordio Script for a Jester’s Tear (che non perderà tempo e fonderà immediatamente un altra band neo prog rock poi giustamente andata alla ribalta, gli Arena) e aver scritturato Ian Mosley, che a tutt’oggi è integrante della band, i Marillion pubblicarono almeno altri quattro album di grande successo. Stiamo parlando di una band che organizzava concerti in tutta Europa facendo costantemente sold out.

L’alchimia perfetta che sembra mettere d’accordo i fan e i critici musicali dura sino agli anni Novanta, quando i Marillion sembrano perdere lo smalto, perdersi e perdere la bussola magica che gli aveva permesso di orientarsi e scrivere musica di grande qualità durante tutto il periodo precedente. Le beghe interne tra i membri, che porteranno alla fine alla cacciata di FISH, sembra che incisero parecchio nell’equilibrio musicale del quintetto inglese. A sostituirlo venne chiamato Steve Hogarth che, al netto della sua competenza musicale, non poté sopperire immediatamente al carisma incontestabile del burbero scozzese. Bisognerà aspettare il 1994 e la pubblicazione di Brave per riuscire finalmente a sentire ancora quella band tirata a lucido che i Marillion erano a inizio carriera. Brave però fu un fulmine a ciel sereno, un felicissimo disco all’interno di una parabola in declino, espressione di un’epoca in cui i Marillion non riescono più a riproporre le strutture musicali dell’epoca d’oro e anzi, si arrabattano in tentativi maldestri di “modernizzarsi” a tutti i costi.

Dopo Brave, quindi, altri cinque dischi sotto la soglia della mediocrità sino ad arrivare a Marbles.

Spazziamo via i dubbi: Marbles è il disco più bello della carriera dei Marillion e, secondo il mio modestissimo parere, uno dei dischi più belli della storia del progressive rock.

Mi è accaduto veramente pochissime volte di ascoltare dischi così ben bilanciati, sotto ogni punto di vista. Composizioni, suoni, arrangiamenti, tutto è perfetto. Non c’è un brano di troppo – e stiamo parlando comunque di quasi cento minuti di musica – non c’è un filler, non ci sono sbavature, tant’è che non sarà un caso che più di una volta i Marillion riproporranno l’intera scaletta di Marbles anche dal vivo. Perché, al netto di brani che possono piacere di più o di meno a seconda dei gusti personali, funzionano tutti benissimo. Per di più, quello di questi nuovi Marillion è un progressive accessibile, e Marbles si compone anche di brani che sfiorano quasi il pop, sempre di pregevole fattura. Ai pezzi più lunghi, che superano i dieci minuti senza per questo trasformarsi in vuoti esercizi di stile, come l’opener The Invisible Man, si alternano brani più asciutti ma anche interludi di pochi minuti, che fanno da collante musicale tra le diverse sezioni del disco. Brani più genuinamente rock non ce ne sono, se si esclude The Damage. Nonostante tutti i componenti dei Marillion siano a questo punto professionisti più che rodati, in Marbles brillano in un modo che non si sentiva da anni. Steve Hogarth, in particolare, offre una prestazione veramente memorabile.

Nel 2004 Marbles uscì in due edizioni, quella normalmente distribuita nei negozi e quella completa, pensata per i sostenitori del gruppo e acquistabile unicamente online, con la vendita della quale il gruppo si è finanziato la campagna promozionale del disco. Va da sé che la versione da avere è proprio quella completa, composta da due cd, divenuta poi disponibile per tutti a partire dal 2011 in versione media book e poi successivamente ristampata. Non solo perché questa versione contiene quattro pezzi in più, ma anche perché è l’unica che comprende la colossale Ocean Cloud, brano di poco meno di diciotto minuti, che a detta di molti è proprio il pezzo più clamoroso del disco. Certo, al netto di Neverland che, giustamente, si è imposta subito come uno dei pezzi a cui i Marillion ricorrono più spesso per chiudere i loro concerti dal vivo. Una vertigine, con un testo particolarmente emozionante. (Bartolo da Sassoferrato)

13 commenti

  • Un attimo, un attimo…Afraid of sunlight “disco mediocre” non direi, dai. Poi i successivi, soprattutto il pessimo Anoraknophobia, sono trascurabili o comunque appunto mediocri. Ma Afraid of sunlight è un signor disco.

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    • Concordo. Afraid of Sunlight è notevole, ma capisco che Beautiful e Cannibal Surf Babe possano fare pensare alla mediocrità. Comunque anche This Strange Engine è pieno di bellissimi brani. Anoraknophobia pensavo fosse moooolto peggio invece… Comunque sono di parte

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      • Diciamo che se si paragona la “seconda vita” di Marillion con il botto che fecero agli esordi della loro carriera e se ne tirano le somme, a detta di praticamente quasi tutti questo secondo periodo è decisamente inferiore. Ma poi… arriva Marbles.

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  • Mamma mia cosa mi hai fatto ricordare… non ascoltavo questo disco da vent’anni. Adesso lo rimetto su. Quelle due note di Neverland mi hanno riacceso delle emozioni….

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  • credo che dell’era H, ci siano tre punti fermi: Brave, Marbles e Fear, appurato che gli altri album mi piacciono tutti, andiamo pure avanti con le “sfere colorate”!! 👍

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  • dai che Predator’s Portrait è una figata atomica

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  • ma chi l’ha detto che i dischi post Brave sono sotto la mediocrità?la dovete smettere di essere dozzinali nelle recensioni

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  • Volevo scrivere che amo i Marillion, cazzo. Da sempre. Ma mi fa schifo, porca madonna, doverlo scrivere. A che pro? Come cazzo si fa a non apprezzare i Marillion e pensare di capire qualcosa? Qualcosa in generale, non parlo solo di musica.
    Non l’avete ancora sentito? Fatelo. Non lo avete apprezzato pur ascoltandolo? Morite prima di domani.

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  • Sono d’ accordo con gli altri : alcuni dischi post Brave, come afraid of sunlight sono di spessore. Inoltre non concordo nel dire che subito dopo l’ uscita di scena di Fish, i nuovi Marillion di Hogarth , non fossero stati subito all’ altezza, altrimenti dove lo mettereste un capolavoro come Seasons end , contenente una perla come Easter, che io e la mia rock band, suonavamo sempre nei nostri concerti.

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  • Seasons End, con cui si presentò H alla voce, è un signor disco, unanimemente riconosciuto tale. Brave è per me il capolavoro della loro seconda era, un suono originale e unico, un’atmosfera irripetibile. Afraid of Sunlight ha grandissimi pezzi, su tutti King e la title track, idem This Strange Engine, la cui suite finale preferisco per melodie a qualsiasi suite di Marbles, che non mi ha mai preso più di tanto.

    L’era Fish è magica e pregna di un’epoca musicale, tra neoprog e new wave, irripetibile, e trovo curioso ritenere Marbles superiore a quei primi dischi, ma ci mancherebbe, de gustibus.

    complimenti cmq per la scelta e lo stile recensoreo.

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