Si fa presto a dire NWOTHM: un recuperone per veri Defenders

La discussa recensione di Senjutsu ha avuto sicuramente un pregio: rivelarci che là fuori è pieno di veri Defenders pronti a sacrificarsi per la causa del Metallo. Gente che non compra un disco ogni tre anni come pensano i maligni, ma arriva ad acquistarne persino due o tre per quinquennio, sempre che le finanze non siano state drenate da cofanetti indispensabili. Costoro, insomma, crediamo siano contenti di questa ondata di nuove band che si prefigge di rinverdire i fasti dei loro beniamini. Parlo della sedicente New Wave Of Traditional Heavy Metal, in voga, si fa per dire, già da qualche anno. Le definizioni spesso lasciano il tempo che trovano, e questa in particolare. A volte sembra solo una minestra scaldata. Altre no, e si scoprono cose interessanti, a volte persino esaltanti. Districarsi non è facile, che di dischi ne girano tantissimi. Qui mi propongo di recuperarne alcuni di quelli più interessanti dell’anno in corso, un po’ come appunti o promemoria ad uso personale. Ma credo possa essere anche un servizio gradito per gli entusiasti Defender di cui sopra, sempre bramosi di ascolti nuovi e stimolanti. E di recensioni obiettive e professionali. Vedo di fare del mio meglio.

Parto dai BLAZON RITE dell’esordio Endless Halls of Golden Totem. Disco che in principio mi ha preso piuttosto bene per la sua ruffianeria, ma che poi non è cresciuto con gli ascolti, anzi. Voglio dire, si parte bene con Legends of Time and Eidolon e ancora qualche altra buona galoppata c’è. Ho dei dubbi però sul suono, pulito e artefatto, che rovina i momenti più cadenzati o addirittura folkeggianti che diventano fumettosi più che evocativi. L’approccio è tutto mascolinità, cazzonaggine e birra leggera tracannata da corni di plastica. E l’immedesimazione scompare quasi da subito. Ora, il gioco a volte ci sta, ma è un peccato che in alcuni momenti chiave, nel corso di una canzone partita a briglie sciolte, ci si renda conto di essere armati con una spada di legno dalla punta arrotondata e una corazza di gommapiuma. Giusto un secondo prima di infrangersi contro il muro di lance del nemico.

Proprio altra storia Thurmecia Eternal, esordio dei texani RYGHÄR. Texani come un certo scrittore famoso per i suoi eroi muscolosi e per i mondi di fantasia dei suoi racconti. Thurmecia Eternal suona proprio come la colonna sonora di quei racconti: epico, grezzo e sopra le righe. Già la copertina è eloquente. E il suono le assomiglia. Scuro, poco definito, mixato amatorialmente. I pezzi però mi fomentano e non poco, anche se la voce è sgraziata, la batteria penalizzata, il basso a tratti non pervenuto. Però l’attitudine è tutto, i Ryghar ci credono tantissimo e la cosa è contagiosa. Titoli logorroici, e sembra che più ci sia un rapporto tra lunghezza del titolo e bellezza della canzone. Cair Vasturhaf A Flaming Sunset on the Parapets of the King of the West ad esempio è trascinante, verrebbe da cantarla sotto la doccia, se non fosse poco barbarico il concetto stesso di lavarsi. Hammers in the Hall of the Deep è descritta benissimo dal suo titolo: praticamente il suono delle fucine di Isengard. Ma la mia preferita è forse A Baleful Wind Cries Above the Ziggurat Esoternium. Certo, bisogna fare i conti col fatto che la strofa non sia cantata benissimo (ecco…) però ritornello e finale sono belli e sognanti. E poi il power americano ci ha abituato a cantanti non proprio facili da digerire. Non siamo di sicuro ancora dalle parti dei Cirith Ungol o dei Manilla Road, ma i Ryghar ci credono tantissimo. Da seguire.

Anche la prima volta che ho ascoltato Sealed in Starlight degli STARLIGHT RITUAL l’entusiasmo era a mille e mi sentivo come il noto guerriero cimmero sul campo di battaglia. Solo che quella non era Aquilonia ma la stazione di Lambrate, e la cosa più simile ad una spada a due mani che avessi era forse l’ombrello a scatto. Così, anziché aggredire gli altri pendolari con quello, ho cominciato a fare le cornine e a sperticare lodi infinite ai quattro venti. “Disco dell’anno!“. Qualcosa mi ha trattenuto dal mandare questo messaggio a tutta la mia rubrica, così ho avuto tempo di riascoltare l’album a sangue più freddo. Che lo so che è una cosa che non si fa, col metallo, però poi si obietta che le recensioni non sono abbastanza obiettive; e il problema è che nessuno dei successivi ascolti (non pochi) ha replicato quei livelli di fomento. Ci penso da qualche giorno e non so spiegarmi il perché. Forse perché quella volta il volume in cuffia era tale da mettere a repentaglio il mio udito mentre ora sto cercando di salvaguardare i padiglioni auricolari (altra cosa che il cimmero di cui sopra forse disapproverebbe)? Provo ad essere più analitico, magari mi spiego meglio. Gli Starlight Ritual sono canadesi e si sa che il metallo di quelle parti vanta parecchi estimatori. Ci suona la chitarra pure il cantante dei Forteresse. Non cerco di tracciare collegamenti con oscure band del passato locale perché non ne sono in grado. Vi dico piuttosto che un paio di riferimenti espliciti possono essere i Rainbow (era Long Live Rock’n’roll ) e primi Maiden (c’è pure qualche terzina), ma il tutto più veloce, grezzo e duro. Il disco viaggia quasi sempre su tempi concitati, epici, drammatici, un heavy metal tosto, con fortissime connotazioni hard rock. Lo sto riascoltando ora per l’ennesima volta ed è decisamente un bel disco, ma ecco, finalmente ho capito qual è il difetto, almeno per me: è semplicemente cantato troppo e a volte manca un po’ il respiro. Bastava che il cantante si desse una regolata, perché invece la voce tra Dio e Di’Anno mi fomenta assai.

Gli HAUNT sono una relativamente vecchia conoscenza di Metal Skunk. Prolificissimi, l’album che piazzano quest’anno, Beautiful Distraction, è già in lizza per il titolo di album happy metal dell’anno. Roba da borchie, chiodo e cuoricini. Il leader unico e tuttofare TWC è una sorta di Kevin Heybourne innamorato della sua compagnetta di classe. La sua è una piccola ucronia in cui i Tygers of Pan Tang corrono su delle Mustang truccate sul Sunset Boulevard per andare a vedere Ritorno al Futuro al cinema con le loro fidanzatine. Il mettere insieme NWOBHM, il suono di quei synth lì (anche se pudicamente, mai in primo piano) ed un’attitudine stradaiola, a tratti quasi sleaze, fa di Beautiful Distraction un’ascolto godibilissimo. Oltre al fatto che di canzoni davvero riuscite qua dentro ce ne sono parecchie. E di sbagliate nessuna. Le prime due, la title track e In Our Dreams sono formidabili e ruffiane. Ancora di più Fortunes Wheel. Sea of Dreams, furente, e A Fool’s Paradise sarebbero altrettanti singoli. E quanti altri ne volete in un disco del genere. No, anzi, lasciate perdere, sono tutte belle e prendete il disco per intero. TWC al di là di tutto, al di là del fatto che pubblica davvero tanta roba tra Haunt e Beastmaster, ha davvero la stoffa pop e l’abilità di scrivere melodie accattivanti che ti fanno rimanere incollato all’ascolto per la durata del disco.

Chiudiamo con un terzetto di demo da godersi oggi e e tenere a mente, sia mai che ci ritroveremo a parlare dei loro autori quando pubblicheranno qualcosa di più esteso. I britannici KNIGHTS’S OATH, coi dieci minuti del loro demo omonimo, sfoggiano gusto melodico medievaleggiante tra Manilla Road e Pagan Altar e arrangiamenti già curati e lievi (è un pregio, in questo caso). Don’t Wait (for My Sword to Shine) è onestamente una piccola (piccolissima) gemma bardica. Speriamo continuino così. Nettamente più esotici i TABERNACLE, che sono insoliti già per la provenienza (Dubai – e non sono expat occidentali): Terror in Thrace è composto di tre soli brani epici e guerreschi incentrati sulle epopee di antichissimi sovrani mediorientali o barbare tribù trace. Suonato in maniera decorosa nonostante l’imperizia e registrato tanto amatorialmente da ricordare nel suono certe cosette oscure degli ’80. I riff, le melodie e in generale la composizione danno invece già l’impressione di una buona personalità e di tanto studio sui testi classici. First Wave Of UAE Heavy Metal? E non è solo per rigore numerologico che vi parliamo di un terzo demo, Tyrant’s Rise dei CERES, ma anche perché il loro nome ci ricorda che la gloria si trova sul filo di una spada come sul fondo di un boccale. Altro gruppo che se ne infischia di suonare moderno e viaggia a mille proponendo un metal talmente classico che è quasi ridotto all’essenza (ovvero alla cavalcata lancia in resta). Foga ce n’è tanta, attitudine non vi dico, tecnica il giusto. La personalità? Quella la cercheremo nel disco d’esordio, quando sarà. (Lorenzo Centini)

3 commenti

  • bella raccolta, grazie. Ho un debole che va avanti da anni per gli Haunt, il mio preferito forse resta if icarus could fly, ma questa “sbandata” più leggera mi è piaciuta molto.

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  • Finalmente un po’ di trvità.

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  • Grazie delle dritte.
    Per ora ho recuperato gli Starlight Ritual, per qualche motivo mi ricordano i Grim Reaper, altro gruppo che al primo ascolto mi fece gridare di eccitazione ma che si sgonfiò poco dopo.
    Comunque validi, da ascoltare a piccole dosi.

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