Can – Live in Stuttgart 1975

Riuscite ad immaginare un gruppo più lisergico e assoluto dei Can?

In qualunque ambito, in qualunque genere, dallo stoner alla psichedelia, da un certo folk più freak alla (appunto) kosmische musik e al krautrock, io non credo di aver mai ascoltato qualcosa di più totalizzante, dilatato, drogato di un disco a caso dei Can. Una band che, è giusto il caso di sottolinearlo, non ha mai sbagliato nemmeno una singola nota e che nella sua “fase calante” (diciamo da Landed in poi, insomma, dopo l’abbandono di Damo Suzuki), ha comunque sfornato dischi che farebbero l’invidia del 90% delle band attuali. Una band unica che, per usare le parole di Julian Cope, tratte dal seminale Krautrocksampler nacquero dall’euforia di musicisti esperti a cui si era rivelato il rock n’ roll”.

Questa euforia è percepibile in ogni lavoro dei Can e lo è, a maggior ragione, nei live del gruppo, in cui ogni convenzione o barriera viene abbattuta. Come nel caso di questo Live in Stuttgart, primo di una serie di live che, da anni, la Spoon/Mute promette di pubblicare, ripulendo vecchi bootleg conservati dai fan che hanno avuto la fortuna (e che fortuna!) di assistere ad un concerto dei tedeschi.

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E benché la qualità sia, a tutti gli effetti, quella di un bootleg ripulito (anche se su vinile la resa è comunque più che buona), si percepisce il calore, il genio, la palese voglia di rompere gli schemi di un concerto tradizionale e lasciarsi andare a delle lunghissime jam sparate a volumi stratosferici che avranno senz’altro ammaliato  e distrutto i timpani del pubblico dell’epoca.

La formazione è quella orfana di Suzuki, quella dei quattro membri storici (Holger Czukay al basso, Michael Karoli alla chitarra, Jaki Leibezeit  alla martellante batteria e Irmin Schmidt ai synth e tastiere) e la proposta è solo strumentale e, come da tradizione, non viene eseguito nessun brano della discografia, anche se nelle lunghissime jam affiorano, qui e là, momenti, riff (o forse sono solo suggestioni) tratti da canzoni del gruppo (in particolare sono sicuro di aver riconosciuto Pinch tratto dallo splendido Ege Bamyasi).

Ma come suona questo live?

Come me lo immaginavo quando ho letto la notizia della sua pubblicazione: un misto di furia, libertà, droga, tempi dilatati e ripetizioni nelle quali è meraviglioso perdersi. Un mantra, un magma sonoro di oltre 90 minuti nel quale immergersi e dal quale è impossibile uscire. Un disco da ricominciare ad ascoltare, sempre a volumi da denuncia, non appena la puntina si ferma sull’ultima traccia della sesta facciata.

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Un live che, nonostante la sua chiara natura di bootleg e pur essendo registrato nel periodo “meno straordinario” della band di Colonia, rappresenta una vera e propria pietra di paragone per tutte le ristampe/pubblicazioni di archivio di questo 2021. Perché di band come i Can, nella storia della musica, ce ne sono davvero poche in quanto citando sempre il druido supremo Julian Cope, la musica dei Can “somiglia solo a sé stessa, non ha paragoni precedenti o successivi (…) definirla non ha senso, è free rock enorme, come se ognuno dei membri della band avesse un campo da gioco personale” (J. Cope – Krautrocksampler, pg. 81, Lain Editore, Roma, 2006).

Inutile aggiungere altro: spegnete le luci, mettete su il disco, chiudete gli occhi e immaginate di trovarvi davanti a quella montagna di amplificatori ritratti in copertina e… lasciatevi travolgere dal suono. (L’Azzeccagarbugli)

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