Avere vent’anni: NARGAROTH – Black Metal ist Krieg (A Dedication Monument)

Michele Romani: In tanti anni che seguo questo genere non ricordo un disco che abbia diviso l’audience più di Black Metal ist Krieg, secondo full di questo strano personaggio che risponde al nome di Renè “Kanwulf” Wagner, anche se adesso si fa chiamare Ash per motivi a me sconosciuti. Un tipo al centro di polemiche continue nel corso degli anni, dalle controversie sulle date di pubblicazione dei primi demo alle simpatiche scritte che accompagnavano il primo disco, tra ringraziamenti alla Wermacht e la frase “black metal suonato da uomini bianchi per uomini bianchi”, che hanno portato al divieto per molti anni di esibirsi in Germania.

A creare ulteriore scompiglio ci pensò nel 2001 Black Metal ist Krieg, lavoro concepito come nostalgico tributo alla vecchia scena black metal. Come dice lo stesso titolo, è un monumento di profonda dedizione allo spirito black primigenio che sembrava essere definitivamente perduto. Per fare questo, da gran paraculo qual è, Kanwulf porta tutti i tipici clichè del genere all’estremo, tanto nella musica quanto nei titoli delle canzoni come la celebre (e, diciamolo, piuttosto piatta) The Day Burzum Killed Mayhem, titolo volutamente stupido col preciso intento di creare polemiche, senza le quali, ne sono convinto, questo disco avrebbe fatto parlare molto meno di sé. Altro brano piuttosto noto è sicuramente la title track, due riff per 5 minuti di canzone (il secondo spudoratamente copiato da End of Life degli Strid) che porta a galla il problema di cui soffre maggiormente questo disco: la ripetitività. D’accordo che il black metal non è proprio un genere che fa dei cambi di tempo e della versatilità i suoi punti di forza, però cazzo, alla fine a sentire lo stesso riff ripetuto 200 volte ti cascano i coglioni sottoterra. Prendiamo ad esempio quello che è l’unico pezzo veramente bello del disco, la “filosofemiana” Seven Tears are Flowing to the River: probabilmente il brano depressive per eccellenza, ma se fosse durata 5-6 minuti invece che 15 sarebbe stato molto meglio. Per il resto il disco si trascina stancamente tra un’imbarazzante mancanza di idee e continui plagi, come nel tributo a Erik “Grim” Brødreskift, dove viene presa pari pari una parte di The Sun no Longer Rises degli Immortal. Ma mi hanno spiegato che è un omaggio, quindi va bene così. Sulle cover caliamo un velo pietoso, una più brutta dell’altra esclusa forse Pisen Pro Satana dei Root, che tra l’altro già aveva ripreso il Conte nella celeberrima War.

Black Metal ist Krieg in definitiva è un disco di cui si è parlato molto, pure troppo, per motivi che vanno al di là dell’espressione prettamente musicale, che alla fine è quella che più ci interessa. Un disco che, al di là degli intenti di facciata e delle dichiarazioni provocatorie di Kanwuf, non inventa e non aggiunge nulla ad un genere che a cavallo del nuovo millennio stava attraversando una profonda crisi d’identità. E di cui non si sentiva realmente il bisogno.

 

Griffar: È possibile che questo sia uno dei dieci dischi più famosi di tutti i tempi nel circuito black metal? Forse mi sbaglio ma non lo so, e comunque non di tanto. Molta della sua fama è dovuta alla capacità di quel furbacchione di Kanwulf di cavalcare l’onda che, all’inizio degli anni Zero, si venne a creare nel momento in cui i gruppi storici stavano cambiando rotta. Questi ultimi avevano già realizzato capolavori pazzeschi, indiscutibili, insuperabili, e stavano cercando di proporre musica in un certo qual modo diversa, aggressiva sì, ma magari non troppo. Perché a suonare sempre con l’odio in mente dopo un po’ ci si stanca e tutte queste belle cose qui, ma i grandi di dieci anni prima stavano abbandonando il campo di gioco nel quale avevano sconvolto e dominato il mondo, anche per colpa delle major che li avevano a mio parere costretti (o malconsigliati) ad edulcorare un po’ i loro suoni sicché si potesse arrivare ad un pubblico più vasto e di conseguenza a vendite più cospicue, per cercare nuovi orizzonti commerciali.

In mezzo c’era Kanwulf, un nostalgico dell’età dell’oro, attivo già da qualche anno grazie ad un paio di cassettine (Herbstleyd e Orke) diventate successivamente oggetti di culto, ad un full lenght vero e proprio, Herbstleyd, che naturalmente arriva dritto dalla tape di esordio, ed un altro, Amarok, a metà tra il full e la compilation visto che contiene due inediti, due pezzi presi dalla vecchia tape Herbstleyd (in versione differente da quelle del debut CD), una cover di Burzum ed una altra versione della title-track del primo album. Insomma, lui aveva questa quindicina di pezzi che rivedeva man mano che passava il tempo, c’era No Colours dietro che gli avrebbe pubblicato anche un rehearsal malfatto giusto per creare hype, il nome cominciò a circolare e si arriva quindi al 2021, in cui, se ancora avete voglia di andare a spulciare quei pochi forum nei quali si parla tuttora di black metal in modo puristico, di riffa o di raffa il nome di Kanwulf ce lo trovate, nel bene o nel male. Chi ne dice ogni bene, chi peste e corna.

Kanwulf ad un certo momento si autoelegge a Catone il Censore della scena black metal mondiale. Prima incide la terza demo Fuck Off Nowadays Black Metal in 333 copie (nota bene: antecedente alla pubblicazione di Amarok) e successivamente ristampata in vinile da Sombre records (una delle rip-off label più sguaiate di sempre, dovrebbero essere cento copie ma c’è chi giura che siano almeno il triplo) che diventa Kvlt nel giro di dieci secondi e viene venduta fin da subito a peso di platino, con sommo “disgusto” da parte del Nostro ma che intanto, in quel marasma a metà tra l’elitismo e lo sdegno, ci sguazzava come una trota in un torrente impetuoso di montagna. Poi pubblica il secondo (o terzo) album nel marzo 2001, che è proprio Black Metal ist Krieg. Il quale, se tanto mi dà tanto, è nuovamente un ibrido tra il full e la compilation, perché degli undici pezzi una è la intro che come al solito serve a nulla (io non ce l’ho a morte con le intro per partito preso, ma se non servono a niente lasciatemelo dire…), due sono pezzi di Fuck Off Nowadays BM (la title track Black Metal ist Krieg e Possessed by Black Fucking Metal), QUATTRO sono cover: Far Beyond the Stars degli Azhubham Haani – dei quali io a distanza di tanto tempo continuo a non aver ascoltato nulla d’altro; I Burn for You dei Lord Foul (idem); Pisen pro Satana  dei boemi Root, risuonata da Burzum con il titolo di War (e penso molto più celebre per questo che per il suo effettivo valore, giacché i Root saranno anche una cult band pre-black metal ma a me questa fama pressocché postuma un po’ stupisce, visto che trent’anni fa non se li cagava nessuno e meno che mai il sottoscritto, ed i tre dischi che ho li presi ad una fiera proprio solo perché Nargaroth ne aveva suonato una cover); infine The Gates of Eternity dei Moonblood, che probabilmente devono proprio a questa cover la popolarità pazzesca che ebbero in seguito ed ancora hanno, se si guarda a quali iperbolici prezzi vengono venduti vinili che prima di allora in casa avevo solo io e dei quali ero venuto a conoscenza svariati anni prima sempre grazie alle famose ‘zine fotocopiate di cui parlo ogni tanto e che mi aveva spedito per posta Occulta Mors, lacrime se solo ci ripenso… E poi ci sono quattro inediti.

Insomma, questo album diventò prestissimo uno spartiacque, un “o lo si ama o lo si odia”, perché da una parte c’era chi incensava Kanwulf in quanto perpetuatore del verbo della fiamma nera (e tra questi c’ero anch’io, ovvio), dall’altra chi pensava che stesse raschiando il fondo del barile riproponendo cose già fatte da altri con l’atteggiamento di chi è più convinto di Fenriz ma che in realtà ci stesse marciando sopra. Dato per assodato che il proverbio “non importa come se ne parla, basta che se ne parli” funziona oggi come allora nunc et semper, sono passati vent’anni e, anche se nel frattempo lo stesso Kanwulf ha preso altre strade sia dal punto di vista creativo che da quello di vita tout court, e la maggior parte di quelli che si scannavano sui forum prima e sui social poi a discuterne l’effettivo valore oggi abbiano mollato l’osso e stiano pensando giustamente ad altro, di Black Metal ist Krieg non si può parlare come di un disco qualunque. Credo che prima o dopo chiunque lo abbia ascoltato almeno una volta, se interessato a questo tipo di proposta musicale.

La title track, come già accennato, è un pezzo che risale a qualche anno prima: nel booklet lo stesso Kanwulf spiega che la sua prima stesura è del 1997 e poi è stata più volte rivista. Puro black metal di ispirazione norvegese, quello dei primi anni. Ovvio, no? Poi c’è la suite inedita Seven Tears are Flowing to the River che dura poco meno di un quarto d’ora e svaria tra riff acustici molto atmosferici ed evocativi, che probabilmente oggi includeremmo nel filone pagan/black ma che una volta erano black metal e basta, e momenti molto più aggressivi e tirati: è questo molto probabilmente il picco dell’album, la dimostrazione che Kanwulf sapeva scrivere dell’eccellente black metal quando non era impegnato a fare marketing. Dopo un’introduzione che sembra tratta da un telegiornale tedesco arriva il secondo inedito The Day Burzum Killed Mayhem, già dal titolo ruffiana fino al midollo, nella quale (sempre da booklet del CD, scritto completamente in tedesco) Kanwulf esprime il suo punto di vista sulla faccenda. Erano dieci anni che se ne parlava tutte le volte che si andava in birreria a sbronzarsi od ad un concerto, ognuno aveva la sua da dire perché aveva letto questo o quest’altro laggiù o altrove… oggi sembra ridicolo e probabilmente lo è, ma per quell’epoca no, non lo era affatto. Era un senso di appartenenza, era come se ognuno di noi avesse voluto essere proprio lì in quel momento per poi avere qualcosa da raccontare ai nipotini d’inverno davanti al caminetto. Disgustoso? Non lo so… ma sfido chiunque a negare che ciò sia vero, e come sempre il tempo ci mette il suo e cancella molto di quello che è stato detto, scritto o pensato. Il terzo inedito è un’evoluzione di un pezzo lasciato in ghiaccio un bel po’ di tempo prima, Amarok – Zorn des Lammes III, che avrebbe dovuto essere incluso nel secondo full ma così non fu, e quindi lo ritroviamo qui nel suo splendore di nove minuti e mezzo di black metal scolastico da manuale. Vola via in un attimo, durasse il doppio non se ne accorgerebbe nessuno perché, come detto, quando Kanwulf si metteva a scrivere black metal senza tante menate o tante palle a quell’epoca erano in pochi a stargli davanti. Segue la famosissima Erik, May You Rape the Angels dedicata all’Erik che mai suonò su Pure Holocaust ma che venne comunque ritratto sulla copertina di uno degli album più immensi di sempre, ed è un omaggio ai maestri Immortal, un copia-incolla di alcuni riff epocali mischiati a farina del suo sacco suonata nel puro stile che rese immortali gli Immortal, se mi consentite il gioco di parole. Un’altra top song, non originale ma chi se ne strafrega? Chiude poi la revisione di Possessed by Black Fucking Metal, altro brano scolastico ed efficace nel ribadire che qui non si vuole inventare nulla tranne che riportare il black metal al suo significato primigenio: il black metal è lotta (o guerra, o battaglia, come vi piace tradurlo), e poi alla fine poco importa se grazie (o in conseguenza) a Black Metal ist Krieg sia stato molto più importante discutere l’essenza delle cose, le intenzioni, i significati reconditi o la purezza di questo o quell’altro stile. Composto e suonato completamente da Kanwulf con qualche aiuto esterno alla batteria (Butcher dei Maniac Butcher e Occulta Mors dei Moonblood), di questo disco si parla ancora dopo vent’anni come se fosse nuovo, come se non fosse passato il tempo… Kanwulf ha fatto centro. Volente o nolente, una pietra miliare.

5 commenti

  • hahah certo a che comprare tre dischi sulla base di una cover ci vuole molta fiducia!

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  • Sentiti live al fu Circolo Colony. Che quattro palle.

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  • all’epoca a me piacevano molto, nonostante fossero piuttosto derivativi, anche se il mio preferito rimane Gelibte Des Regens, anche se ad un certo punto hanno iniziato a far cagare a spruzzo e li ho mollati in toto. Come scrive il buon Griffar, a suo modo ha fatto la storia, e tutti parlavano di questo disco.

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  • Metallaro scettico

    Più che un disco una colata di guano. Geniale marketing però, scommetto che diokanwulf lavora alla Coca Cola o qualche altra multinazionale ora!

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  • Stefano Mazza

    Il disco ha una certa importanza, non tanto per la musica, quanto per il concetto che riassume nel titolo e anche per il fatto di voler comunque rappresentare un momento storico, un tributo e un riassunto. L’operazione è riuscita solo in parte dal punto di vista artistico, ma il concetto fece presa e, difatti, siamo ancora qui a ricordarlo. A volte lo riascolto, ma non l’ho mai preso seriamente.

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