Indagine su un musicista al di sopra di ogni sospetto

Una decina d’anni fa sollevai un vespaio allucinante e, in risposta, fui ricevuto nel centro di Firenze da un cravattato, il classico pezzo grosso che si presenta rassicurandoti che un tempo era nella stessa tua situazione e con altri aneddoti del genere. Non potendo concertare in alcun modo le mie accuse, me la diede astutamente vinta, dicendomi che ero io che dovevo capirli e immedesimarmi. Non c’era nulla da fare. Mi disse che il contesto che andavo criticando dovevo vederlo come un’azienda, con delle entrate, delle uscite e un bilancio. Dal politichese all’italiano, “gli arazzi sulle pareti e il legno massello della scrivania costano, Marco”.

Nel profondo cinismo e pessimismo con cui osservo il mondo e quei gran pezzi di merda che generalmente siamo, mi sono ritrovato molteplici volte a ritirar fuori la definizione fattami dal cravattato che un tempo era stato uno di noi. E sono arrivato a farlo con l’heavy metal.

Ieri ho messo su un album che non avevo la minima voglia d’ascoltare: il nuovo, si per far dire, dei Mr. Bungle.

Mike Patton lo metto da una parte, poiché è un personaggio disumano che spesso nemmeno mi sforzo di comprendere; anzi, sono fermamente convinto che neppure lui in prima persona si comprenda. Perché il giorno che Mike Patton si comprende, tempo mezz’ora e si suicida. Dave Lombardo e Scott Ian li tengo invece da quest’altra parte, perché sono due figure chiave che hanno vissuto tutti i rovesci della medaglia: dapprima il metal in fase di definizione e poi quello contemporaneo all’uscita dei migliori titoli di sempre, da protagonisti; successivamente hanno sentito sulla propria pelle il metal in fase d’esplosione commerciale e relativo declino. Infine quello attuale, che io non riesco a definire: provate a dirlo voi nel modo più milanese e aziendale che vi riesce. Ditelo da cravattati.

Ci provo lo stesso: il metallo di oggi è in una fase di ridefinizione dei costi e massimizzazione dei ricavi a fronte di un’evidente svalutazione del mercato discografico. In pratica che cosa ho osservato, in quell’oretta scarsa persa a trastullarmi sui Mr. Bungle?

Sul serio, ogni volta che ascolto gli Exodus, i Death Angel e i più idolatrati di tutti, i Testament, e giungono alle mie orecchie quei suoni di plastica, io muoio dentro. Ho questa reazione perché quella gente è passata dall’epoca d’oro e ora i ragazzini fanno il verso proprio all’epoca d’oro; loro, ben consci di quali siano i propri dischi di maggior successo, suonano peggio che si può e più o meno sempre alla stessa maniera. Il motivo?

Un tempo al ristorante i gentiluomini lasciavano degli avanzi nel piatto, per non dar l’idea d’essere affamati come i poveracci, ed è usanza comune degli uomini d’affari l’arrivare agli appuntamenti in leggero ritardo poiché essere puntuali, per non parlare del presentarsi ignobilmente e vilmente in anticipo, potrebbe dare l’impressione di essere una persona scarsamente impegnata. Un nullafacente. Sentite quanto storicamente fossimo già enormemente complessati, e si parla di borghesia, di yuppie. Penso che quei gruppi non facciano suonare bene i loro dischi per educazione verso chi non ne sarebbe in grado, annegando la manifesta superiorità in produzioni che meritano più piscio di cane addosso di un paletto su un marciapiede. Probabilmente è per bon ton che lo fanno, altrimenti sono come lo squalo che va sotto la barca: troppo furbo o troppo stupido, disse Quint.

Ingenuamente mi dico che, se i suoni attuali fossero volti a una qualche miglioria di carattere commerciale, mi andrebbe pure bene: per intenderci, Rasmussen era grande per i Metallica del 1986 ma non abbastanza per saltare nel buio della copertina buia del 1991. E allora esagero e prendo Bob Rock per farmi fare la svolta esagerata.

Ma non è così. La plastica è stata introdotta a grandi quantità nell’heavy metal, dal togliere le stonature del cantante al far suonare una chitarra come un’altra chitarra, fino al triggerare l’impossibile. All’inizio il dosaggio era pure contenuto e allora Hatebreeder e The Gathering ci andarono bene, ma sapete qual è la differenza? In quegli album c’era ancora la possibilità di spesa tipica di un genere musicale che può permetterselo e che non sta revisionando brutalmente i costi, come invece accade oggi, segando le gambe al produttore e dicendogli di fare nel minor tempo possibile e con più tecnologia possibile, perché altrimenti in quelle stanze a noleggio ci si sverna e il conto esce gonfio. Il produttore di oggi lavora sulla quantità come il signor Bogren: nulla di differente dal passato. Con una sola differenza, anche stavolta.

Pensate a quel furbacchione di Scott Burns: dopo aver fatto l’ingegnere del suono su Leprosy dei Death, rapidamente s’è messo in proprio ed è diventato il produttore per antonomasia. Non più il secondo di Dan Johnson, che se l’era portato appresso anche per lavorare a Ticket to Mayhem dei Whiplash. Ne mette in fila una sequela infinita, da Beneath the Remains in poi, ma soprattutto porrà la firma su un po’ tutto il death metal americano dei primi anni Novanta. Passeranno tutti da lui per avere lo stesso e identico suono: Obituary, Deicide, i Pestilence dall’altra parte dell’oceano come quattro Conti Dracula chiusi in casse piene di ratti appestati pronte a essere scoperchiate ai Morrisound, dove il death metal riprendeva vita. Scott Burns farà incazzare di brutto l’uomo dietro la Deathlike Silence: celebre, in tal senso, il simbolo di divieto messo lì a mo’ di cartellonistica stradale e circondato da quel noto slogan.

In che cosa differiva Scott Burns da Jens Bogren, allora? È molto semplice: dopo l’avvento di Andy Sneap nessun produttore ha più dato un’impronta personale ad un album che non fosse la stessa impronta preconfezionata e pronta a essere spacchettata da altri. Adesso una casa discografica fidelizza un produttore e manda tutti da lui: un tempo era una questione “artistica”, di ambizione. Ricordo bene quando, con un gruppo che palesemente scopiazzava i Sodom, mi ritrovai nello studio del batterista dei Vision Divine e lui, di fronte a tre principianti, domandò: “Come volete che ve lo produca?”

Noi, diciassettenni o diciottenni, gli esclamammo in faccia “vorremmo un suono alla Beneath the Remains”.

Per quanto la nostra risposta fosse scema oltre ogni scala di misurazione della scemenza, negli occhi ci brillava lo stesso fuoco che doveva ardere nei giovani musicisti death metal del 1992, che nient’altro volevano se non registrare l’album ai Morrisound. A prescindere dall’album di merda che avrebbero consegnato alle vissute levette di quell’edificio. Ecco cosa manca oggi, cari adoratori dei Sabaton e dei Powerwolf e dei mille altri artisti dal suono di chitarra e batteria condivisi.

Ciclicamente abbiamo sopportato che gli studi di registrazione spremessero la mammella alla mucca fino all’ultima goccia, sopportando e sopportando ancora: Pelle Saether, i Fredman, e poi, cazzo, Peter Tagtgren, lui sì che mi mandava in crisi isterica. P-E-T-E-R T-A-G-T-G-R-E-N. Bestemmio al solo ripensare al casino che fece Enthrone Darkness Triumphant. E gli anni di Ross Robinson? Il chitarrista dei Detente che, zitto zitto, si infilò dietro a ogni dannato disco “fresco” degli anni Novanta in certi ambiti? Odiateli, ma quelli erano davvero dei professionisti, e se Igor Cavalera suonava in una certa maniera loro ti avrebbero portato in cuffia le botte che Igor Cavalera dava ai propri timpani, sfondando i tuoi a mezzo di frequenze alte, medie, basse.

Come mi disse il cravattato, questo oggi non ce lo si può più permettere, a meno che non si pretenda una produzione pulita e nella media tipica di tutti quei gruppi retro-thrash o retro-NWOBHM che producono gli album alla maniera degli anni Ottanta, senza però disporre di un Flemming Ramsussen di nuova generazione. Va rivalutata, andrebbe rivalutata la figura del produttore per ridare vita a questo metallo: ma non si può, è tutto fermo lì e i nomi grossi, quelli che l’hanno vissuta tutta, questo lo sanno benissimo. E allora li sentirai tornare ad essere quello che sono nei Mr. Bungle, non in The Gathering.

La verità è che ci siamo abituati a dare la colpa alle case discografiche trascurando quale fosse il reale volere dei musicisti, e i musicisti, oggi, fanno fronte a una inumana proporzione fra domanda e offerta, che poi è la stessa dichiarata a caratteri cubitali dal fondatore di Spotify: benvenuti nel mondo del capitalismo, però non lamentatevi se vi pago poche royalties e casomai scrivete più brani.

E così riscopro l’acqua calda, come quella volta in jeans e felpa davanti a uno in cravatta che fu come me. La domanda è: se Scott Ian e Dave Lombardo registrano un thrash metal come si deve, e questo thrash metal come si deve ci fa scapocciare ed esaltare come faremmo con qualche gruppo di ventenni autoprodotti, perché non dovrebbero adattare lo stesso atteggiamento produttivo gli Anthrax, gli Exodus di Holt, o i Death Angel? Lascio per ultimi i Testament, loro sono un ingranaggio troppo importante dell’heavy metal fatto figurina, fatto circo itinerante, fatto pandemonio che non fa più reale rumore: loro non cambierebbero mai perché fungono da prima carrozza del treno.

Non lo faranno mai neanche gli altri, costa meno fare così. Produrre un album in maniera tradizionale porta a risultati fra il medio e il mediocre, e cioè: sì, suoni come nel 1989, ma, senza un produttore all’altezza di quelli dell’epoca, il risultato sarà appunto un po’ monocorde, come il presa diretta percepito con dischi minori tali e quali a World Painted Blood o questo dei Mr. Bungle. Il che va benissimo se si parla dell’orbita Mr. Bungle, un po’ meno se ci approcciamo a quei colossi che ho menzionato sopra. Va rivalutata, andrebbe rivalutata la figura del produttore, ed è un concetto che ripeto da sempre. È lì che entra in gioco il musicista manager di sé stesso, che nel frattempo ha aperto e pubblicizzato uno studio di registrazione proprio, registra e produce in proprio, e, se possibile, farà pure a meno della casa discografica, tanto il suo compito di pubblicizzazione e diffusione su web è oggi meno complicato che prima, fatta eccezione per i nomi grossi, e, in seconda battuta, le copie da stampare non saranno mai più milioni, fatta eccezione per i Metallica e qualche parente di vacanze al mare. Grazie alla plastica oggi riusciamo a far finta d’apprezzare qualsiasi album, ma non capiamo che il processo di sensibilizzazione degli artisti nei confronti dell’ottenimento di suoni realistici è irreversibile. Tranne chi può permetterselo, sia chiaro. Chi può permetterselo e accetta tutto questo è un cravattato che una volta fu come me, e non sono serviti legno massello e lunghi arazzi alle pareti, ma la vita agiata da cinquantenne e il ragionare a fronte di bilanci che davvero rendono l’heavy metal un’azienda, e non quella specie di magia che ci ingannò tutti. (Marco Belardi)

16 commenti

  • Per nulla d’accordo, mi pare di leggere un bisnonno che si lamenta della qualunque. Questa storia del “tutto suona uguale” è divenuta trita.

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  • Tanto chi ci fa più caso alle produzioni. Parlo dei fruitori finali che ascoltano canzoni ipercompresse sul telefono che diventano vecchie dopo due settimane. Anche io ascolto musica sui piccoli divice ma è tutta roba già metabolizzata sullo stereo di casa dove posso godermi l’ attacco del basso subito dopo i colpi ai tom del batterista.

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  • Quindi gli ultimi dischi dei metallica suonano di merda perchè loro hanno i picci?

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  • Una delle poche cose certe è che i tempi sono cambiati parecchio dagli Ottanta e dai Novanta. La musica è tutta un’altra cosa, se si parla di camparci. Per gli ascoltatori è andata meglio, parlo ovviamente a livello economico e di informazione, ma per chi suona e per chi deve lavorare con la musica, beh, dipende molto dalle singole situazioni. Il metal, poi, è un universo molto variegato dove stanno coesistendo almeno 3 generazioni diverse di musicisti che sono partiti da premesse differenti, ma che tutti si muovono entro canoni ristretti e che difficilmente potranno essere modificati nel breve, anche perché la domanda (ovvero noi metallari ascoltatori) è molto rigida. In uno scenario del genere è estremamente facile fare errori e ripetersi, inflazionando la proposta musicale.
    Però la “magia” del metal fa parte di quel mito dell’età dell’oro, che tutti più o meno collocano in un passato abbastanza lontano da poter essere visto come migliore del presente, ma che è una visione molto spesso soggettiva. Vi posso garantire che già a metà degli anni 90 ci si lamentava di aver perso “quei suoni” e “quell’attitudine” che era tipica di dieci anni prima. Negli anni 80 i più vecchi si lamentavano dei suoni troppo spigolosi e della eccessiva semplificazione portata avanti dai nuovi gruppi metal, perché si veniva dal prog, mentre i più giovani criticavano gli Iron Maiden di essere troppo prog e passatisti. Adesso è vero che molti dischi sono dimenticabili e prodotti con superficialità, ma di certo ce ne sono anche parecchi buoni, di cui ci ricorderemo e che rappresenteranno lo stile di questi anni ’20. Insomma, si fa presto a lamentarsi della propria epoca, salvo poi rimpiangerla dieci o vent’anni dopo.

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    • a me infatti piace la musica di oggi, è il mainstream che si è perso e molta della musica che mi piace va in contrapposizione proprio al mainstream che come dice magus ha sofferto questa tendenza a accontentare il pubblico con criteri trascurabili, una specie di gara a chi faceva più schifo. il problema degli anni ’90 era ancora i gruppi di punta, che erano imitati perché avevano svoltato, rinnegato, abbandonato, soltanto che ora i gruppi di punta sarebbero molto più accettabili semplicemente lavorando in maniera diversa. per motivi di costi credo sia impossibile anche solo pensarci

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  • Alla fine il problema è che troppa gente vuole suonare l’heavy metal.

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    • Troppa gente vuole suonare, punto.

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      • Infatti la nazionale di calcio è forte in quei paesi dove tutti i ragazzi giocano a baseball e a basket

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      • Per arrivare in nazionale c’è la selezione del CT della squadra di club e poi del CT della nazionale.

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      • si, ed entrambi possono selezionare i talenti tra un immenso bacino di ragazzi che vogliono giocare. Stessa cosa nella musica, più gente vuole suonare più sarà facile trovare quelli bravi, più quelli bravi dovranno diventare più bravi per eccellere.

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      • Speriamo che tu abbia ragione e che ci attenda molta musica memorabile.

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      • AHAHAHA, lo spero anche io. Purtroppo non credo che la cosa sia così matematica. Quello che voglio dire è che il problema non è che troppa gente vuole suonare. Secondo me non è semplicemente cambiato il modo di fare e ascoltare musica. L’offerta di musica registrata è esplosa e i prezzi si sono abbassati. Come le notizie, come l’intrattenimento audiovisivo, come tutto quello che si porta dietro internet.
        Io ci aggiungo anche che quelli che suonano davvero bene e hanno nuove idee magari non si mettono nel 2021 a fare heavy metal come si faceva nel millennio scorso.

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  • Ti sei dimenticato di parlare dell’altro grande flagello delle produzioni degli ultimi 25 anni, la loudness war

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  • Effettivamente credo che cose tipo spotify abbiano definitivamente rovinato tutto, per questo a tutt’oggi mi rifiuto di scaricare quella dannatissima app. È un po’ lo stesso discorso che si fa con il calcio, da quando si può vedere a casa, non è più la stessa cosa. Ciò nonostante io riesco ancora a trovare dischi che suonano incredibilmente bene, per esempio quello dei Mr. Bungle a me piace anche a livello di suoni, mi sembra molto meno artefatto rispetto alla concorrenza. Poi anche l’ascoltatore può dire la sua, premiando gruppi meritevoli e abbandonando gli altri. Già preferire bandcamp a spotify mi sembra un passo avanti, sfanculare la nuclear blast per altre etichette più meritevoli potrebbe essere un altro… e così via. Non è tutto da buttare, per fortuna.

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    • Quello dei mr. Bungle è comunque supercompresso come la maggior parte dei dischi, poi ovviamente alcuni sono più bravi di altri a “comprimere”, ma comunque ho aperto una canzone con audacity per vedere la forma d’onda e bisognerebbe segare le mani all’ingegnere del suono.

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  • discorso molto complesso da affrontare e risolvere in un solo post. A naso sarei d’accordo con il buon Belardi, ed è vero che molta robba suona ormai tutta uguale, parlo a livello di suono, ma non credo che questo sia dovuto ad un fatto puramente economico. Secondo me da una parte è un discorso tecnologico, visto che ormai siamo in piena era digitale ed ho la sensazione da puro ignorantone che gran parte della musica ha questa tipologia di suono, e poi credo che sia anche una questione di gusti attuali. Per quanto si possa criticare, ed io sono uno di questi, alla gente tuttavia questo tipo di suono va bene, potente (loudness war), rifinito e levigato, e quindi poco impegnativo. Magari è solo una questione di età e noi siamo dei vecchi tromboni già pronti per l’ospizio…

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