Avere vent’anni: QUEENS OF THE STONE AGE – Rated R

Stefano Greco: Rated R segna la fine dello stoner rock anni ’90 e la cosa, lasciatemelo dire prima che qualcuno dica la parola “sellout”, non ha nulla a che fare con la qualità della musica contenuta nel disco. Certo, confesso che l’inaspettato passaggio televisivo pomeridiano del singolo The Lost Art Of Keeping A Secret mi lasciò parecchio interdetto perché mi sembrava una cosa davvero fuori posto. Vedere uno dei tuoi gruppi preferiti buttato insieme nel mischione con gli U2, i Coldplay e Madonna è una cosa che può fare abbastanza male, e all’epoca ancora prendevo queste cose molto sul personale. In ogni caso, il nocciolo della questione non riguarda la transizione del gruppo dalla periferia al centro del mainstream. Non è solo una questione di abbandono dell’ habitat in cui tutto il genere era cresciuto e proliferato, ma ha a che fare con elementi tangibili di cui il più evidente è il mutamento del suono della chitarra di Josh Homme. Se c’era un elemento centrale in tutto il filone era proprio la rumorosità della chitarra del roscio, un sound al quale tutti i gruppi adiacenti si erano in qualche maniera ispirati. Quel suono stracarico (passatemi il termine poco tecnico) che aveva caratterizzato tutte le sue produzioni da Wretch fino al primo dei QOTSA venne abbandonato dal suo ideatore, la discontinuità è talmente evidente che da qui in avanti la carriera di Homme sembra entrare in una fase 2, e il genere in quanto tale giungere alla fine. Le scorie però restano nell’aria e nonostante la chitarra meno ingombrante e un cantato più intellegibile l’immaginario sonoro narcolettico si ritrova ancora in brani come Leg Of Lamb, Better Living Through Chemistry e la conclusiva I Think I Lost My Headache.

La mutazione dei Queens Of The Stone Age però non si esaurisce tutta qui: Rated R porta all’interno del gruppo principale quel modus operandi che era proprio di un cazzeggio come le Desert Sessions. I QOTSA divengono di fatto una “band aperta”, la lista degli ospiti è estremamente variegata e oltre ai soliti noti troviamo anche un insospettabile Rob Halford (la cui posizione resta comunque abbastanza defilata, solo i cori su Feel Good Hit…). Se qualche pezzo inevitabilmente se ne va, dall’altra parte troviamo elementi nuovi che allargano lo spettro sonoro in una maniera che al debutto sarebbe stato difficile intravedere. L’album schiera per la prima volta la formazione a tre punte Homme/Oliveri/Lanegan che diverrà pienamente operativa nel successivo Songs for the Deaf (discone assoluto, tranquillamente tra i migliori dischi del decennio). Nello specifico Nick Oliveri aggiunge la sua sguaiatezza quasi-punk e Mark Lanegan resuscita in maniera sublime lo spleen dei ‘90s che, nonostante fosse roba di solo pochi anni prima, credevamo definitivamente archiviato. In The Fade è uno di quei pezzi che ancora non mi passa, esempio eterno delle qualità interpretative di Lanagan, l’unico in grado di cantare una ovvietà quale “you live till you die” e farla sembrare la cosa più profonda mai scritta dai tempi di Giacomo Leopardi.

Rated R è chiaramente un lavoro mosso da nuove ambizioni che sembra volersi distanziare in maniera netta da termini e definizioni quali stoner/desert/eccetera eccetera. La cosa non sempre gli riesce, un po’ di sabbia rimane incastrata nell’ingranaggio, ed è decisamente un bene. Detto questo, prometto che il primo che nei commenti nomina i Kyuss lo prendo a calci nel culo.

Marco Belardi: Sfido chiunque a riconoscere i Queens of the Stone Age del debutto in quelli di Rated R. I Kyuss erano stati un’entità piuttosto ingombrante, e capace, nonostante un suono pesantissimo, di ritrovarsi velocemente nel giro dei videoclip in programmazione su MTV: fu come se Homme con quel primo disco avesse tentato di girare più al largo possibile dal genere di cose che prima o poi ti trasfigurano, giocando sugli split e su una forma anti-singoli che non faceva una piega. L’omonimo del 1998 era la musica di un vecchio adolescente che non ne voleva sapere d’invecchiare. Poi ci ricascò dentro, in pieno, senza rialzarsi più.

In un certo senso i Queens of the Stone Age di Rated R erano già morti, almeno concettualmente. In realtà ci davano in pasto il loro migliore album, o comunque quello che si sarebbe giocato lo scettro col più celebre e completo Songs for the Deaf. Nel trovarsi da una parte della barricata o dall’altra, fu ancora possibile andar pazzi sia per i Queens of the Stone Age embrionali, sia per quelli del tutto scollegati dai Kyuss. Delle annate trascorse al fianco di John Garcia ereditammo tuttavia un elegante e monumentale manifesto: Better Living Through Chemistry, l’ultimo autentico brano stoner rock scritto da Josh Homme, ed una delle più cose belle che avesse mai concepito.

È l’album delle collaborazioni. Trovano Rob Halford in studio per Resurrection e lo mettono alle backing vocals di Feel Good Hit of the Summer. Per la prima volta compare Mark Lanegan e ne fuoriesce lo stile cupo e malinconico che farà da linea guida a tutta la discografia seguente: parlo di Auto Pilot, dove cantano in due. Poi abbiamo Dave Catching, quello degli studio Rancho de la Luna dove Homme ha registrato anche le ultime Desert Sessions, il produttore dei Kyuss, Chris Goss, e Peter Stahl dei Goatsnake. Ma soprattutto troviamo Nick Oliveri. Sembra un sodalizio destinato a durare per sempre, eppure il bassista ricomincerà ben presto a mettere in sequela una puttanata dietro l’altra, e si separeranno un’altra volta: non solo, sarà cacciato in prima persona da uno che è più abituato di lui alle puttanate colossali. Nell’approcciarsi a Rated R Nick si porterà dietro 13th Floor dai Mondo Generator e insieme daranno una nuova velocità, un nuovo mood e il titolo Tension Head.

L’album funziona. Dai brani più visionari e strafatti, come Leg of Lamb e I Think I Lost my Headache, a quelli più pesanti come Monster in the Parasol, a cui venne perfino dedicato un videoclip, o Quick and to the Pointless, con Nick Oliveri nuovamente al microfono. Ma quella Better Living Through Chemistry fu come il mattone finale a murare la porta di una vecchia casa diroccata: di lì non si passò più. Violare quel varco spettava soltanto a Josh Homme, una decisione che non prese mai, per orgoglio, per soldi, o forse per scampoli di saggezza che chissà se in futuro gli capiteranno ancora. Un album meraviglioso, dalla seconda band che potemmo ammirare a nome Queens of the Stone Age, nel giro di così pochi anni.

5 commenti

  • Kyuss.
    Kalispera Fìle! 😉

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  • È bello sapere che sei vivo, Grè. Ed è bello leggerti, perché si capisce che tutta questa roba stoner l’hai ascoltata molto, digerita, rimeditata e ti sei fatto un’opinione fondata, che si può non condividere ma che è indiscutibilmente ben argomentata. Quanto ai QOTSA, vorrei dire qualcosa, ma la verità è che, da quando mi hai fatto conoscere gli Unida, gli altri gruppi di quel giro (persino quelli là del blues da sole rosso) hanno poco senso. Niente, te lo volevo far sapere.
    P.S.: un resoconto della reunion dei Misfits con Glenn Danzig potresti anche farcelo, però.

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    • ti metto la scaletta che un’idea dovrebbe darla:

      Death Comes Ripping
      I Turned Into a Martian
      20 Eyes
      Vampira
      Where Eagles Dare
      Mommy, Can I Go Out and Kill Tonight?
      Hybrid Moments
      Teenagers From Mars
      Children in Heat
      London Dungeon
      Earth A.D.
      Green Hell
      Devilock
      Some Kinda Hate
      Who Killed Marilyn
      Hollywood Babylon
      Horror Business
      All Hell Breaks Loose
      Astro Zombies
      Violent World
      Halloween
      Skulls
      Last Caress

      Die, Die My Darling
      Night of the Living Dead
      Bullet
      We Are 138

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      • Grazie. Non se mi bastano due mani adesso.
        Danzig aveva voce?

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      • alcuni pezzi piu’ impegnativi di altri ma nel complesso direi abbastanza, alla fine pero’ era andata.
        in generale il suono era molto ‘punk’ nel senso di caciarone, comunque totale eh

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