I casi umani che popolano il meraviglioso mondo della fotografia

La fotografia ha un fortissimo potere illusorio: unisci un adeguato numero di lunghe esposizioni effettuate con la corretta tecnica, e le stelle, da puntini luminosi in cielo, diverranno tanti cerchi concentrici che indicano la Polare. Oppure acquista una reflex entry level da Euronics, e una volta raccontata qualche stronzata alle persone giuste, all’improvviso sarai un fotografo. Non solo, sarai quello ufficiale.

Un caro conoscente, Federico, un giorno mi descrisse la fotografia come un ambiente in cui è innanzitutto necessario saper vendere fumo. All’epoca trovai eccessive le sue parole, ora non più.

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Phasianus colchicus (Fagiano maschio adulto) – Ph: Marco Belardi

La vera fotografia è pianificazione, sopralluogo, una meticolosa ricerca del come e del quando in cui il fermo immagine sarà nient’altro che il culmine. Non è uscire con uno zaino pieno di fisheye e filtri a vite aspettando che accada qualcosa. Studiando e pianificando, e in ultima istanza scattando, in sette lunghi anni penso d’aver portato a casa un totale di centoventi, massimo centocinquanta foto buone per i miei parametri, e una, solo una, di cui andare letteralmente fiero. Eppure non mi sono mai considerato a tutti gli effetti un fotografo, e tanto meno ne sbandieravo in giro il concetto: amatore andava benissimo, non avevo partita IVA, non avevo un sito ove sponsorizzare i miei lavori. Perché proprio fotografo? Eppure, fui contattato da liutai e musicisti, modelle e genitori di cresimandi allo scrocco, da squadre di calcio e baseball, allenatori di cani dell’agility dog e altra gente che aveva urgente bisogno di fotografie scattate con un certo criterio. Gente che neanche le aveva viste le mie fotografie, o che magari aveva adocchiato l’airone cenerino e la farfalla macaone e allora pretendeva che ci sapessi fare con i suoi nipotini del cazzo in abito bianco e croce al collo. Alcune volte ho accettato, altre no; altre ancora mi sarei amaramente pentito d’aver detto .

Nikon al collo, ai concerti sono sempre andato per poter unire la passione alla passione: quella per la fotografia, all’heavy metal.

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Bruco di Papilio Machaon – Ph: Marco Belardi

Da fervente appassionato di macro e caccia fotografica, anche in un habitat simile ho saputo catalogare una fauna piuttosto variopinta. Non vi sono predatori tra quegli amatori, ma esemplari sull’attenti come erbivori in paranoia sulla steppa, in quanto l’ingresso di un ulteriore concorrente potrebbe significare la loro imminente sostituzione nella silenziosa spietatezza della territorialità. Ed è buffo, perché generalmente non vengono neppure pagati.

Il fotografo lavora molto con la moda, gli eventi e le celebrazioni religiose. Tutto il resto è fuffa, e, se entrando nello studio di un fotografo osserverai qualche bella stampa con un abito bianco che fluttua nel vento della val d’Orcia (e cioè, tenuto dall’assistente e lasciato un momento prima dell’esposizione, tanto per ritornare alla frase iniziale dell’articolo), non l’avrà appesa alla parete perché va pazzo per quelle cose. Lui ci lavora con quelle cose, e le espone per vendertene altre. E se ai concerti noterai Ross Halfin e un po’ meno professionisti alle serate di livello medio-alto e medio-basso, non è perché agli specialisti del velo non riesce lavorare con luci di palco e chitarristi impegnati con l’headbanging.

a) i locali generalmente non pagano, dato che il materiale gli arriverà gratis senza dover insistere troppo: il motivo è che foto troppo buone non gli servono a nulla, va tutto su Facebook e Instagram e non su un 50×70 in camera da letto.
b) i gruppi, molto spesso, non sono pagati neppure dai locali, ma remunerati dal cosiddetto voucher in visibilità che consiste nell’esibirsi di spalla a qualcuno che porta più gente di te. Il caso vuole che la calca si adunerà di fronte al palco un attimo dopo la tua esibizione, perlopiù visualizzata da amici e addetti ai lavori: dicevamo, la visibilità. Ad altri gruppi neanche interessa essere pagati, e dunque è comprensibile che non gli avanzi niente per il fotografo se nemmeno loro riportano la loro arte, un lavoro, al concetto stesso di lavoro.

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Marina di Pietrasanta – ph: Marco Belardi

Il fotoamatore evoluto, dunque, perfettamente capace di portare a casa un buon lavoro, non è affatto a lavoro, a meno che non intenda farne un trampolino di lancio per tutt’altre situazioni: una mia conoscente è partita da contesti simili e con gli anni e la determinazione è arrivata all’Ariston. Lì si lavora.

Personalmente ho scelto di scattare per me stesso. Innanzitutto perché non sono un fenomeno, inoltre, perché non ho alcun interesse di vendere fumo alle persone. Di tanto in tanto sono stato contattato da alcuni gruppi, producendo risultati non all’altezza delle mie aspettative giusto in un paio d’occasioni. Ma solitamente scattavo per me stesso, ed era buffo guardarsi intorno, con tutti quegli aspiranti Kevin Mazur e i loro occhi iniettati di sangue.

Il concetto è che ci sono tantissimi incapaci passati da Euronics, come il tale che in teatro mi avvicinò terrorizzato dall’idea che fossi io, il nuovo fotografo ufficiale del “suo” teatro. Aveva uno zaino contenente ben sette obiettivi, dei quali nessuno era minimamente adatto a quel genere di fotografia. Arrivò da me sornione, mentre si abbuffava di patatine, e mi chiese quali impostazioni usassi ai concerti. Inoltre, quando vide che la mia Nikon era impostata su Manuale ebbe come un ictus, perché dovette aver associato la scelta volontaria di diaframma e tempi a una dote smisurata da cui fuggire a gambe levate. Scattò tutto il tempo da un tavolino senza mai cambiare punto di ripresa, il cialtrone, o ciarlatano, che però avrà infognato di bei discorsi i gestori di quel teatro fino a diventarne il fotografo ufficiale. Oppure, il procedimento esattamente inverso.

Altre volte mi furono rivolte domande vaghe, del tipo “sei il fotografo di qualche gruppo?” oppure “ti ha contattato il locale?”. No, non ero lì per sfilare il posto di disoccupato a nessuno ed ero pagante, nemmeno accreditato in buona parte dei casi. Il che faceva delle foto scattate le mie foto, lavorate per ore, o, nel caso dei festival, per pomeriggi interi su Adobe Lightroom e Photoshop, due programmi che ho studiato per conoscerne non più del dieci per cento delle potenzialità offerte.

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Tygers of Pan Tang – Ph: Marco Belardi

Nello zoo dei fotoamatori ai concerti c’erano ben altre belve da sedare: gli accecatori, innanzitutto. Questi ultimi avevano evidenti problemi a sfruttare le magnifiche luci di palco, perché, scattando in Automatico (o Program, e cioè un Automatico per coloro che non volevano ammetterlo), ne risultava la deduzione della scena inquadrata dal punto di vista del corpo macchina, e non del fotografo. Che spesso non corrisponde a ciò che vedi, o a ciò che intendi ottenere (ad esempio un’immagine low-key, ovvero in chiave scura, con una ricercata tendenza alla sottoesposizione). E questi utilizzavano il flash per compensare a ogni imprevisto.

Alcuni di essi sfruttavano parabola o pannellino riflettente per sparare la luce in alto, sulle pareti nere dei soffitti, e rimbalzarla sul palco. Risultato: un’immagine piatta ma tecnicamente corretta al netto delle inevitabili ombre. Come ulteriore effetto collaterale, il pannellino rettangolare diventa un cazzo di incendio bianco nell’attimo dell’esposizione, e ogni musicista che l’avesse anche solo guardato di striscio non avrebbe più capito dove fossero i pedali o la cassa spia. I più assassini puntavano il lampeggiatore addosso ai musicisti, venendo portati fuori dagli addetti alla sicurezza e dati in pasto ai numerosi cani randagi, che, solitamente, popolano le zone industriali dove hanno luogo un po’ tutti i concerti. Trovo l’uso del flash ai concerti una indecorosa mancanza di rispetto nei confronti dei musicisti, come se il fotografo, per necessità proprie, intenda a un certo punto elevare la propria arte al di sopra di quella che costituisce l’evento in corso.

Poi c’erano i PRO. Questi ultimi sono in grado di acquistare un corpo macchina da duemila euro, per poi scoprire su una rivista che Nikon ne ha appena fatto uscire uno da tremila. Subito, Kijiji, Ebay: rivenderla a un prezzo stracciato e comprare immediatamente l’altra. Si presentano come dei professionisti, magari con la tracolla personalizzata, dando pure la parvenza di saperla impugnare. Inoltre utilizzano il paraluce, questa sconosciuta e illogica estensione di un tappo che già c’è. Ma le foto sono ugualmente una merda: essi saranno eternamente i primi a lamentare una mancanza d’introiti, perché hanno speso, il che li autorizza a darsi un tono e a pretenderne altri da investire sul diciottesimo, inutile obiettivo non stabilizzato che non sapranno gestire, o che utilizzeranno senza tener conto dei tempi minimi di sicurezza necessari ad evitare il mosso.

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Liutaio – Ph: Marco Belardi

La cartina tornasole che distingue chi è interessato alla fotografia, da chi vuole soltanto spopolare sui social, è la post-produzione.

Ritoccare una foto non significa trasformare un brutto scatto in un qualcosa di decente: se gli occhi sono fuori fuoco, se la composizione è palesemente sbagliata e se c’è un quantitativo inaccettabile di rumore digitale – che distruggerà ogni parvenza di dettaglio alla sua riduzione – tu quello scatto in RAW lo cancelli. Ritoccare significa solo migliorare, e talvolta, restituire contrasti e situazioni cromatiche reali che il sensore, o l’attuale esposizione, non erano stati in grado di riportare al sensore. Nella maggior parte dei casi la differenza tra l’originale e il lavoro ultimato sarà minima, ma occorre ugualmente perderci del tempo e verificare che tutto sia a posto, seguendo una scaletta di controlli che organizzerai personalmente: il lavoro in post produzione è bellissimo nonché parte integrante della fotografia; il problema, semmai, è doverlo svolgere per più ore consecutive.

Mi è capitato di lavorare per quattro o cinque pomeriggi per poter consegnare un discreto e nemmeno eccessivo quantitativo di fotografie ai richiedenti. Naturalmente, di tutto questo non frega un cazzo a nessuno: ti dicono, “tu scatta in .jpeg o in quello che ti pare, usa i filtri preimpostati e non stare ad ammattire”. Non ti dicono, “l’importante è che me le dai gratis, e che me ne dai tante, così le scelgo io e le giro a cani e porci, i quali le visioneranno sullo schermo di un Samsung S8 e quindi non si accorgeranno mai di tutto questo rumore digitale che ti tormenta”. Ecco perché le facevo per me, perché nel confrontarsi con le persone, anche con quelle a cui hai deciso di consegnare un lavoro gratuitamente, finisce che diventi scemo o ergastolano.

I veri PRO selezionano un filtro pre-impostato su Lightroom, lo applicano a cento foto e convertono in un formato leggero. Applicano un watermark per il costante terrore che Soros o la massoneria gliele inculino e se le stampino ad uso personale, e firmano ogni beata minchia fuori fuoco che è uscita fuori da quell’obiettivo da kit. Dannati loro.

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Chloris chloris (verdone) – Ph: Marco Belardi

Il paradosso l’ho raggiunto a un festival, quando gli organizzatori mi contattarono, e, dopo un piacevole colloquio iniziale, mi fecero sapere che non sarei stato pagato (sotto prestazione occasionale) poiché le prevendite non erano andate come sperato. Mi importava così tanto fotografare due dei gruppi in scaletta che accettai lo stesso, tuttavia feci loro presente che, per via del lungo lavoro di post-produzione, avrei consegnato meno materiale di quanto stabilito in partenza. Dopo aver definito tutto, e cioè accredito, possibilità di prendere qualche bottiglietta d’acqua al chiosco, e il chiarimento di alcuni dettagli tecnici sul palco e sulle luci – con in risposta un’infinità di punti interrogativi – pochi giorni prima dell’evento mi scrivono questo: “allora tu fai il biglietto e quando hai pagato ci vediamo dentro”.

Di chi è la colpa? No, non dei gestori dei locali o di chi organizza un concerto. La colpa è dei fotoamatori, che, per primi, hanno accettato di fingere di lavorare per palese mancanza di competenze, per poi farlo gratuitamente nel sentirsi comunque parte di un qualcosa che ne sfrutta a regime il mezzo servizio. Nelle logiche di un mondo che funziona come dovrebbe, un professionista guadagnerà tanto e la prestazione occasionale di un lavoratore occasionale sarà retribuita in proporzione alle sue effettive capacità. Nella mia logica d’appassionato pagavo il biglietto per esercitarmi, allenarmi e migliorare, passando giusto qualche scatto ai locali per avermi comunque dato la concessione di praticare quella passione in un luogo privato, durante un loro evento. E credo fosse la miglior soluzione, cari Kevin Mazur delle mie palle e del cazzo.

Ogni gruppo che sale su un palco a chiamata, e non perché passava di lì, dovrebbe essere retribuito. Non è lì per mantenere il cachet dell’act principale o per avere visibilità: stanno lavorando, sono artisti. Non fanno eccezione i fotografi ufficiali a tutti gli effetti, e semmai, fa eccezione il sistema che in primissima persona hanno contribuito a generare. E la visibilità che ti prometteranno la puoi acquistare con due euro da Zuckerberg, se proprio ci tieni ai like o a pubblicizzarti. Ma attento a non firmarle, perché, come disse qualcuno, poi è difficile dimostrare che non sono le tue foto.

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Francesco Bottai – Ph: Marco Belardi

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Silvano azzurro (Limenitis reducta) – Ph: Marco Belardi

20 commenti

  • Articolo molto interessante.
    La fotografia mi è sempre piaciuta, ma quando ero giovane non avevo abbastanza soldi per praticarla come hobby serio, e adesso… bé, adesso non ho neanche troppo tempo libero. Dopo quel che ho letto da un lato mi verrebbe da dire “meno male”, dall’altro guardo le tue creazioni e mi dico che se io fossi in grado di fare scatti simili ne sarei molto orgoglioso.

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  • Guarda, io non sono né tecnicamente un mostro né uno dotato di chissà quale occhio o creatività, l’unica che posso dire in mio favore è che mi ci sono applicato proprio tanto tra il 2012 e il 2018, poi l’ho messa in pausa perché non avevo più tempo e mi era calata la voglia. Riprenderò con calma, di certo non è stata una passione transitoria, ma di certo non avrò il tempo per dedicarmi ancora alla naturalistica perché di tempo ne porta via proprio un botto. Con la pratica e la costanza i risultati li porti a casa, l’errore che fanno tanti è comprare, esaltarsi con poco non riconoscendo i propri limiti, non studiare, riconoscere i limiti tutto insieme e mollare, oppure, intenderla come un hobby da praticare di tanto in tanto, quando capita, e lì non porti a casa niente. Ma se uno ha voglia di applicarsi, e tempo anche solo una volta o due al mese, vale la pena provare perché fotografare è una cosa che ho imparato molto volentieri a fare, e non è nemmeno una di quelle cose che a vent’anni sì poi ti rompi per forza i coglioni… ci sono talmente tanti rami che uno adatto alle tue preferenze, al tuo tempo libero, lo trovi per forza

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  • Leocrate Tapioca

    Peggio ancora quando le pubblicano i vari siti e ci mettono il marchio varie volte su tutta la foto, guardate che se uno la scarica e la salva sul pc come ricordo del concerto mica vi frega i soldi! E se pure lo facesse un’altro sito simile non è che farebbe tutto ‘sto gran furto…

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  • Alberto Massidda

    1) Ma il molo di Marina di Pietrasanta galleggia nella nebbia?
    2) Avevo scambiato Francesco Bottai per Rob Zombie

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    • No è acqua mossa, mi pare di avere scattato da treppiede per 45 secondi con un filtro scuro davanti, un nd1000, quasi un’ora prima dell’alba. Quella mattina siamo arrivati lì che era buio pesto infatti feci pure una foto di notte da sopra al pontile, e poi ne ho un’altra al momento dell’alba, dalla spiaggia. Te non hai un’idea degli elementi che passano su quella spiaggia la mattina presto

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  • Non sono un esperto ma una volta era un mestiere quotato, conosco gente che ha mandato i figli all’ università facendo “il fotografo”. Oggi sarebbe difficile ma del resto è difficile anche entrare al burger King ad arrostire patatine.

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    • troppa concorrenza e troppa poca necessità rispetto a prima di stampare, e poi lo smartphone è diventato il primo schermo dove vengono guardate le foto di conseguenza c’è meno neecessità di averne di qualità. ora come ora il primo interessato a avere foto fatte bene è proprio chi le scatta, e gli altri come lui, ma è un discorso abbastanza ampio

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  • Belle le tue foto, Belardi, il fagiano è spettacolare. Anche io sono fotografo da una vita; mi occupavo di spazi urbani, di paesaggi, qualche esperimento di architetture. Fuggivo dalla forma e dalla retorica e questo mi ha reso la vita difficile. Frequentavo anche un forum di bravi fotografi, avevo addirittura un mio blog, ma ho abbandonato la militanza qualche anno fa. In effetti il mondo fotografico di oggi è troppo pieno di fotografi, tutti bravi, tutti abbastanza bravi, tutti esperti, è veramente difficile capirci qualcosa.
    Ricorda le parole di Franco Fontana: “Io dai fotografi non ho assimilato niente”.

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    • il fagiano che mi viene incontro è la mia preferita, e fu un caso perché ero lì perché in quei giorni passavano 2-3 soggetti che mi interessavano… avevo provato a fare il ritratto al fagiano per un paio d’anni e mi era passato sempre lontano, o con una luce pessima. lì era tardo pomeriggio, era perfetta. poi ha continuato a venirmi incontro ancora per un po’, se vedi qui nella seconda riga c’è una foto scattata subito dopo in cui ho dovuto tagliare parte della coda perchè ero sui 300mm con una APS-C: https://www.juzaphoto.com/me.php?p=28715&pg=allphotos&l=it

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    • concordo con la frase finale, però ce ne sono due a cui devo tanto perché specialmente il primo, andrea, mi hanno seguito per anni senza chiedere niente in cambio, e in rapporto avrò insegnato 1 io a lui e 9 lui a me. riusciva a prendere le foto di cui ero più convinto e a smontarmele, così mi ha insegnato, con il piccolo dettaglio che a un certo punto diventi non più convinto di nessuna foto che fai ma la realtà in fondo è un po’ quella. soprattutto si è messo a insegnarmi la macro, e la macro è un bel casino

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      • Certo, il confronto con qualche buon maestro è fondamentale e, spesso, decisivo. Del resto anche Fontana, che ora parla male dei fotoamatori, è cresciuto proprio nei circoli fotografici ed è stato pubblicato dalla casa editrice di Ghirri, per cui la sua è una provocazione per dire che ad un certo punto, quando si è abbastanza padroni della tecnica e dell’arte, bisogna cercare di ragionare con la propria testa. Mi guarderò bene le tue foto.

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  • Caro Belardi, sottoscrivo la gran parte dell’articolo. C’è però la solita diatriba che tormenta la gran parte dei discorsi sul mondo musicale: è colpa degli organizzatori che sfruttano il “lavoro” gratis degli amatori o degli amatori che si fanno sfruttare? Che è un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina. Io, sinceramente, sono un amatore e lo sono stato per qualche anno. La cosa mi ha permesso (oltre al fatto di scrivere) di andare anche in location medio-grosse e togliermi qualche soddisfazione senza stare a spendere fiumi di soldi.
    Stando alla mia esperienza mi viene da dire che forse non è colpa nostra e nemmeno degli organizzatori. Oltre al denaro è la svalutazione generale della professionalità e la creazione dell’hobby “di alta classe” (tenetelo in mente perché dopo ci torno) che ha danneggiato i fotografi professionisti. Come scrivi in uno degli ultimi paragrafi “non frega un cazzo a nessuno”, ed è assolutamente vero: io ho seri dubbi persino che gli utenti, ormai, si guardino una galleria intera di foto da un sito/da un social. Al massimo lo scatto singolo su instagram.
    Lo stesso discorso si potrebbe fare per i redattori. Proviamo a citare una rivista/webzine a caso che paga davvero i redattori: esiste sul serio? Ho i miei seri dubbi: tuttto si regge sul silenzioso accordo della passione (che, come sostengo per la fotografia, non ritengo comunque del tutto sbagliato).
    In generale, quello che voglio dire è che per quanto riguarda la musica non posso dare la colpa al ragazzetto che come me qualche anno fa ti avrebbe detto “Si, scrivo per YYZ e ogni tanto vado a fare qualche foto”. Semmai la colpa la dò agli hobbysti “di alta classe”, quelli che si fomentano come dei pazzi e che fanno tutt’altro nella vita: quelli che come dici tu spendono migliaia di euro soltanto per far vedere di avere il teleobiettivo più grosso e tirarsela perché ai live fanno le foto con due macchine, una col tele e una col fisso, quando studiando un po’ e con un minimo di coscienza potrebbero portare a casa gli stessi risultati spendendo la metà. Quelli, come in altri campi (io sono un po’ fissato con l’hifi e vi posso assicurare che ci sono) sono il MALE assoluto, e i primi che si fanno inchiappettare pur di andare a fare le foto all’Alcatraz o ai festival estivi grossi.
    Credo che tutto sia riconducibile allo sclero collettivo del “tutto e subito”. Vogliamo essere subito qualcuno, senza impegnarci, senza migliorare le nostre conoscenze e prima di tutto noi stessi. Senza ammettere che non valiamo un cazzo se non abbiamo un maestro Jedi che ci insegna le vie della Forza. Ci sentiamo importanti solo perché abbiamo mucchi di soldi risicati da spendere per far vedere che ce l’abbiamo grosso, quando, alla fine, non sappiamo nemmeno in cosa li stiamo spendendo, quei soldi.

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  • Trovo l’articolo interessante ma non capisco dove voglia andare a parare.
    Alla fine, quanto descritto e in qualche modo “denunciato” è perfettamente inserito “nelle logiche di un mondo che funziona come dovrebbe”. Nel senso che in questo mondo, la creatività è “messa a valore” come prodotto industriale con tutto ciò che ne consegue a livello di omologazione, inflazionamento dell’offerta (perchè per mere questioni tecnologiche è molto più semplice risultare “artisti” oggi piuttosto che ai tempi di Brassi) e sfruttamento feroce della forza lavoro.
    Per farla breve, tra gli organizzatori del concerto metal che ti fanno pagare il biglietto per svolgere il tuo lavoro e Jovanotti che paga con un panino e una maglietta i “volontari” che tengono insieme i suoi baracconi estivi, c’è un minimo comune denominatore fondamentale che è quello dello sfruttamento, seppur a livelli differenziati a seconda del caso.
    Il problema di questi tempi è che ancora troppi sfruttati del mondo creativo e più in generale di tutta l’economia legata all’intrattenimento e all’arte, non concepiscono la propria condizione per quella che è.

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    • Jova è meraviglioso. Ogni volta che parte per la Patagonia con le sue bici da quattromila euro e la troupe sui Suv per filmare le sue perle di saggezza non so se sentirmi una persona migliore o uno sfigato. ( Penso che loro qualche euro lo vedono).

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    • Sostanzialmente per due motivi:
      -viviamo in una società che non considera le professioni artistiche professioni, a meno che non fai guadagnare e guadagni tanti soldi
      -molti sono hobbysti e quindi non gli interessa essere pagati, basta essere presenti

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  • Bel pezzo. Complimenti.

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  • Io di fotografia non ci ho mai capito nulla e non sono mai riuscito ad avvicinarmici più di tanto, a causa del boom di “fotografi” che ci sono stati negli ultimi anni. Tutti a fare le stesse cazzo di foto, alle solite boiate. Posaceneri, tizie emo con lo smalto nero smangiato e la sigaretta a metà, tazzine di caffè.. Porca miseria, mi è sempre sembrato che il mondo stesse cercando di farmi odiare la fotografia a tutti i costi e che fosse la via di fuga per fare l’artistoide, per quelli che non sapevano disegnare. Perché cazzo imparare a disegnare o a dipingere è difficile, quindi faccio una foto che è più semplice.. Come se la fotografia fosse il rap di quelli che vogliono sfondare con la musica, senza avere gli sbatti di imparare a suonare..Ci tengo a precisare che questo è un giudizio/pregiudizio sul mondo della fotografia, non sulla fotografia. Al netto della mia repulsione indotta, hai delle belle foto e mi è piaciuto il pezzo. Tra la pesca e le foto, che pazienza che hai Belardi. Quando ero più giovane, facevo però centinaia di foto, quando andavo in vacanza in qualche città. Città, mare e cielo. Non penso di aver scattato foto a qualcos’altro..Proprio il festival della banalità…E poi niente di serio.. Le foto le facevo con la fotocamera, fai un po’ te.. Poi mi accorsi che fare mille foto mi distraeva e che le cose mi rimangono più impresse se le osservo con calma e me le stampo nella mente, anziché cercare di immortalarle. E da allora non ho più scattato mezza foto. Mi sa che era l’approccio sbagliato. Comunque, concordo con te. Meno poserate e più passione, che tutte ste anime artistiche e sensibili del mondo moderno hanno rotto il cazzo.

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  • Sergente Kabukiman

    Minchia che belle foto il mr. Belardi!

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