Avere vent’anni: SUBSONICA – Microchip Emozionale

Mettiamo subito le cose in chiaro: non me ne è mai fregato niente dei Subsonica. Se mi ritrovo a scrivere sul ventennale di Microchip emozionale (scoperto per caso grazie al post di un’amica su Facebook) non è per un qualche apprezzamento postumo da svelare, ma per il bagaglio di ricordi e il ruolo generazionale che questo disco ha avuto per chiunque sia cresciuto a Torino negli anni Novanta.

Non mi sono mai stati simpatici i Subsonica. Troppo cool e troppo trendy per non apparire spocchiosi, osannati dai fan e dalla stampa locali, erano uno di quei gruppi – come i Lou Dalfin e gli Amici di Roland – che chi era ragazzino a Torino pensava fossero famosi in tutto il mondo, salvo poi scoprire che pochi li conoscevano oltre Volpiano.

Eppure i Subsonica erano sempre lì, onnipresenti in ogni festival estivo e nelle scalette dei locali dove, vivaddio, negli anni Novanta si poteva ancora andare a ballare, prima dell’arrivo della scure Appendino. Per chi era metallaro (e quindi, perdente ed escluso per definizione) e si trascinava a ballare concedendo qualche ora alla socialità, i Subsonica erano una nemesi che, si sapeva, prima o poi avrebbe sinistrato la serata. CHIUNQUE sia mai andato a ballare in defunti locali come il Barrumba (dove suonarono, tuttavia, anche Entombed e Cathedral) o il Café Blue (dove suonarono, ad ogni modo, anche Enslaved e Mortuary Drape) era sicuro di pipparsi prima o poi Tutti i miei sbagli, Discolabirinto, o la terrificante Liberi tutti, che da sola giustificava i venti minuti di Ildjarn sparati a mille nell’autoradio durante il ritorno a casa. Così, per disintossicarsi e compensare.

Che poi, a pensarci bene, alcuni di quei pezzi – forse su tutti Il cielo su Torino – non facevano poi così schifo, ma era proprio tutto quello che girava intorno ai Subsonica, a Torino nel 1999, che era sbagliato. Così sbagliato che probabilmente non era neanche colpa loro. Detto questo, Appendino o no, quegli anni sono definitivamente passati, e così la nostra gioventù. La cosa è indubbiamente triste, ma forse un po’ meno pensando che Microchip emozionale ha vent’anni. Ma forse è più una liberazione che una festa. (Giuliano D’Amico)

9 commenti

  • Mi hanno sempre fatto cagare. Incommensurabilmente cagare. Insopportabile paccottiglia preconfezionata e scialba… comunque invece gli Amici di Roland mi hanno sempre fatto ridere e quella cosa del disintossicarsi dopo una serata con musica dimmerda l’ho sempre fatta anche io!!!

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  • I Subsonica riempivano i palazzetti di tutta Italia.

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  • Boh, senza utilità.

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  • Andrew 'Old and Wise'

    noiosi

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  • Belli i metallari veri. Quelli duri. Quelli puri. Quelli che solo loro possono decidere quale musica va bene e quale no, quale è quella benedetta e quella immonda (la prima indispensabile a purificarsi dalla seconda). Mi hai riportato indietro nel tempo, ben più lontano del 1999, negli Anni 80 delle divisioni fra generi, fra le risse tra fan dei Motorhead e dei Motley Crue. E non mi ha fatto venire nessuna nostalgia (e dio sa se vorrei tornare a quei tempi, ma non certo per rivivere quelle barriere mentali). Intendiamoci, qualsiasi disco, anche Abbey Road, può fare cagare a qualsiasi persona che può scriverlo su qualsiasi pagina. Questo è esattamente il senso della critica musicale. Ma la presunzione e la spocchia, sì proprio quella che tu imputi ai Subsonica, quella no. Soprattutto se non la si supporta con una, una sola, annotazione tecnica. Vuoi essere tracotante, te lo posso concedere solo se mi stupisci con effetti speciali e mi distruggi con la tua competenza. Non se «Microchip Emozionale fa cagare perché chi lo ha registrato è spocchioso, trendy, cool e osannato dalla stampa locale». Manca solo, consentimi, un bel riferimento acuto alle pettinature e all’abbigliamento.
    Che poi il disco lo puoi smontare quanto e come vuoi, perché – ripeto – ogni opinione è sacra e rispettabile se espressa con coerenza e competenza. Ma così no. Così sembra uno sfogo dietro il quale uno potrebbe anche essere così fetente da immaginare ci sia dell’altro e del personale dietro tanto astio (una fan dei Subsonica che non te l’ha data? Occhèi, lo ammetto, l’ho pensato, me ne vergogno e te ne chiedo scusa).
    La cosa che mi incuriosisce di più, tuttavia, è cosa aveva che non andava il 1999 a Torino. Soprattutto perché non mi sembra che da allora a oggi ci siano stati momenti di altrettanta vivacità intellettuale. All’epoca vivevo a Milano, ma passavo molto tempo a Torino per lavoro, ascoltavo The Avenger e Microchip, più centinaia di altri dischi. E mi incazzavo come una bestia quando mi dicevano che il primo era «solo incomprensibile rumore». Proprio come quando sento dire che il secondo è brutto perché «spocchioso, trendy e cool».
    PS
    Un abbraccio sentito e sincero. Vi ho scoperto da poco e siete davvero tutti molto bravi.
    PPSS
    Non avete ancora scritto una riga sugli Orbit Culture. Fatelo. Presto.

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  • pure io ho passato la fine degli anni ’90 a Torino…. I Subsonica me li fece scoprire con amico che aveva i gusti musicali peggiori del mondo, era un fanatico anche di afrika unite, persiana jones, amici di roland e altri gruppi torinesi (credo). uno peggiore dell’altro…a distanza di tanti anni sicuramete torino sarà diventata molto peggio…amavo il Barrumba e ci avevo visto parecchi gruppi tipo i Motorpsycho all’epoca di let them eat cake…l’El Paso con un sacco di grind hc, industrial ecc….tempi che non torneranno più.
    …Torino in quegli anni si che era bella, con quel cazzo di tossico sdentato che a Porta Susa ti diceva “scusa tipo…hai 1000 lire che devo fare il biglietto per andare a Chivasso a trovare mia nonna malata…ti giuro…mica ci compro l’ero…”.
    Poco dopo l’entrata in vigore dell’euro lo sentii chiedere “scusa tipo…hai 1000 euro che devo fare il biglietto per andare a……….”.

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