Avere vent’anni: DARKTHRONE – Ravishing Grimness

Ravishing Grimness è il disco meno considerato tra quelli dei Darkthrone anni Novanta. I motivi non sono complicati da capire: in primo luogo è un buon disco, anche superiore al precedente Total Death, ma in assoluto non è uno dei loro migliori; in secundis è un album di transizione, che si pone a cavallo tra la fase black metal e quella, più classicamente celticfrostiana, che perdura ancora adesso. Non si calcola qui l’enorme Plaguewielder, che verrà poco dopo il disco in oggetto e che rappresenta un unicum nella discografia dei due norvegesi, tanto che le intuizioni e i mutamenti di Ravishing Grimness proseguiranno direttamente in Hate Them, il primo vero episodio dei “nuovi” Darkthrone, come se Plaguewielder non fosse mai esistito. Di quell’album però parleremo più approfonditamente tra un paio d’anni, perché se lo merita.

La cosa che ricordo di più del mio primo ascolto di Ravishing Grimness fu lo stupore appena partì The Beast, il secondo pezzo, l’unico scritto da Fenriz, punk come i Darkthrone non avevano mai suonato: cinque minuti e mezzo, quattro riff sguaiatissimi, tupatupa e calci in bocca. Penso sia anche il pezzo migliore del disco, e l’unico che ho continuato ad ascoltare con una certa costanza negli ultimi vent’anni; ma immaginate lo shock di uno che si aspettava tutt’altro e che associava i Darkthrone a un’entità di pura malvagità misantropica. Provai anche a cercare di declinare quel pezzo in chiave più classicamente black metal, a dargli un senso in coerenza con ciò che erano Panzerfaust e Transilvanian Hunger, ma niente: ed effettivamente fu quella la prima vera rottura col passato.

Purtuttavia, Ravishing Grimness è sostanzialmente un disco black metal, quantomeno nella maggior parte dei riff e nella struttura. Si iniziava a tendere verso un passato genericamente ottantiano, con influenze che andavano a pescare direttamente in quell’indefinibile sottobosco estremo che costituiva il prodromo del black metal norvegese; ma quelle influenze vengono qui recuperate come fonte diretta, senza essere filtrate dall’intuizione di Euronymous; e con Ravishing Grimness i Darkthrone iniziano a porsi come gruppo pre-Euronymous, proprio loro che furono i primi a santificarlo come “re del black-death metal underground”.  Da qui partì la discesa che arriverà agli urletti in falsetto di F.O.A.D. e al cazzeggio di Arctic Thunder; da qui Fenriz e Nocturno Culto iniziarono a smettere i panni di crudeli demoni dei ghiacci per diventare, più prosaicamente, due tizi che suonano metal spaccaculo vecchia scuola.

Ravishing Grimness è a tutti gli effetti uno dei dischi minori dei Darkthrone: avrebbero fatto di meglio in futuro e, ça va sans dire, avevano fatto molto di meglio in passato. Però rimane un lavoro gradevolissimo, con i riff giusti al momento giusto e un inedito senso del ritmo. Non sono più i vecchi Darkthrone, non c’è più il MALE che ti entra nelle vene e ti fa ribollire il sangue, ma ormai, dopo vent’anni, ci abbiamo fatto l’abitudine. (barg)

4 commenti

  • All’epoca mi fece discretamente schifo, come un pò tutti i loro album tra questo e sardonic wrath. Ho imparato ad apprezzarli col tempo, sopratutto alla luce di quello che sono poi diventati i darkthrone.

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    • Non proprio schifo ma molto sorpreso come l’autore dell’articolo, tra l’altro ben scritto e fotografa bene il cambiamento e la novità. Come te ho imparato ad apprezzarli in seguito ed ora li seguo con interesse ad ogni uscita

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  • The claws of time secondo me è tra i migliori pezzi black metal di sempre.

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  • all’epoca mi fece piuttosto schifo e ricordo parecchie critiche sul fatto che avesse una registrazione più pulita della norma…l’ho riascoltato qualche annetto fa che mi era presa la fissa di sentirmi tutta la discografia dei DT ed un po’ l’ho rivalutato, anche se l’unica veramente salvabile è Claws Of Time

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