Generi musicali scomparsi dal Garmin: KORN – The Nothing

Un giorno guarderò al nu metal come a un qualcosa che non solo ha smesso di dare fastidio, ma che anzi è scomparso dalla circolazione, del tutto. Me lo ripetevo, ci speravo, e quel giorno è arrivato senza neanche far rumore. Arriva per tutte le cose, dopodiché alcune di esse ritornano e alle altre guardiamo all’indietro sorridendo, e tirando fuori qualche aneddoto per spiegare come sia stato possibile il perdurare di un fenomeno simile. Quello che è successo fatico a descriverlo, perché, adesso che il nu metal manca, nel rendermi conto che non mi manca affatto non riesco nemmeno ad esultare. Sono invece molto curioso verso Korn e Deftones, così come lo ero stato per il ritorno degli Slipknot, nei confronti dei quali avevo forse nutrito un timore eccessivo. Non fanno musica che fa per me ormai da un pezzo, ma stavolta non si può dire che abbiano sbagliato qualcosa.

I Korn sono tornati sulla via giusta. L’album con cui lo hanno fatto è The Serenity Of Suffering e non il precedente The Paradigm Shift: lì sopra lo si intuiva e basta, e di disordine ce ne era ancora un bel po’. Il naturale scorrere del tempo, poi, li aveva obbligati a fare un sacco di cose: prima l’adeguamento alla forma-canzone che fece tanto incazzare David Silveria seppur stessero uscendo alcuni dei loro migliori album, come Issues; poi, il distaccamento dal genere musicale che contribuirono a plasmare nel 1994 e dintorni, perché quella roba era bell’e morta da un pezzo quando i Metallica arrivarono a giochicchiarci con un imbarazzante ritardo. Così, fra deliri ai limiti dell’industrial, album bruttini e quella porcata invereconda di The Path Of Totality, i Korn alla fine hanno dovuto prendere atto di come stavano le cose, e rimettersi semplicemente a fare i Korn. The Serenity Of Suffering è bello proprio per quello, ma allo stesso tempo ti lascia quella sensazione che hai con gli album privi di un timbro proprio. Suona alla Korn, di un’epoca collocabile nei paraggi di Untouchables, e non osa particolarmente in nessuna direzione che esca di un solo metro dal cancello di casa. Però è ugualmente bello, pieno zeppo di singoli o potenziali singoli, e ha meno filler di Life Is Peachy e di altri loro album storici e di successo. Il passo successivo era a quel punto produrre un album che recuperasse quel tipo di timbro personale, che lo avrebbe distinto dal resto della discografia senza andare a sputtanarsi come accaduto con See you on the Other Side e i suoi vari singoli-paradosso, leggasi Twisted Transistor. Che ancora oggi, se la risento, mi caverei gli occhi per usarli come tappi per le orecchie. Il risultato di questo procedimento di ricerca dell’assetto giusto è intitolato The Nothing.

Risparmiandovi i casini privati di Jonathan Davis di cui avrete certamente letto nel passato più recente, The Nothing è un album che – va detto per rigore di cronaca – non ne prescinde affatto. Ce li senti dentro tutti. È oscuro quanto Take a Look in The Mirror ed anche per questo ha un approccio meno naturale rispetto a The Serenity of Suffering: al contrario, risulta volutamente freddo, opprimente e distaccato. Forse ad esserne leggermente penalizzato non nei volumi quanto nella resa è proprio Ray Luzier. Il resto funziona benissimo, e stare qui a ragionare del secondo bel disco consecutivo a firma Korn mi sembra una sorta di parodia della realtà. Eppure è tutto vero. The Serenity of Suffering forse aveva qualche singolo in più: invece qui Cold li domina tutti con il suo meraviglioso ritornello, mentre i ritmi di Idiosyncrasy ne fanno il pezzo più attendibile dal vivo.

Continuo purtroppo a non farmi una ragione della mancanza di David Silveria a una così siderale distanza di tempo: non era affatto un fenomeno, ma, qualunque cosa fosse, era la pedina perfetta per i Korn. Ray Luzier è un buon batterista ma cattura la mia attenzione solo sporadicamente: ad esempio, è soprattutto per merito suo che un pezzo come The Darkness is Revealing finisce per guadagnare un discreto tiro. La batteria dei primi Korn, o più in generale le ritmiche dei primissimi Korn, sono l’unica cosa che effettivamente rimpiango, e credo che perfino nello scrivere canzoni siano diventati maestri solo in seguito. Quella cosa lì, purtroppo, si è un po’ fermata con Follow the Leader. Un aspetto che avrei del tutto eliminato sono gli infrequenti passaggi rappati: c’entrano ormai poco con l’alternative metal che la band suona oggigiorno, a volte escono fuori e li trovo perfino buffi, oltre che incastonati a forza in una struttura che certamente non li prevedeva. Fanculo quella roba lì, mi faceva venire gli occhi gonfi nel 1998 e, ora che neanche va più di moda, voi vi permettete di ritirarla fuori come un giubbotto shearling da un armadio degli anni Ottanta che ospita ragni dal diametro di quindici centimetri.

A proposito del sapere scrivere canzoni, è risaputo dai tempi di Make Me Bad che i Korn hanno sviluppato questo aspetto anche su “suggerimento” dei vari discografici che gli roteavano attorno come giganteschi avvoltoi rivestiti Gucci. The Nothing non prescinde dai ritornelli, mai. Il problema è infatti costituito da alcuni di questi: tant’è bello quello di Cold e tanto erano belli quelli dei singoli di The Serenity Of Suffering, quanto è rischioso vedere i Korn naufragare fuori campo quando tentano di imbastirne uno dal carattere spudoratamente diverso. Quello di Can You Hear Me sembra una roba uscita fuori dai Creed, tutta caramelle gommose a forma di coccodrillo, fiorellini sopra all’orecchio e topping finale al miele di acacia, e non lo intendo come un complimento. La stessa The Darkness is Revealing esplode in uno di quei ritornelli ultra melodici e stucchevoli che tanto piacciono ai pischelli – o pischelloni ben acclimatati – di oggi. Non è quella la via, attenti, perchè il ritornare a fare cacate è un percorso molto breve. Piuttosto, Gravity Of Discomfort è la via. Il bellissimo blues in mezzo a This Loss, se proprio si vuole variare sul tema, è un’altra via. Non peggioriamo ciclicamente la situazione, già state vendendo gli Izms su Ebay. Un plauso va infine agli intermezzi cantati, come The Seduction Of Indulgence e Surrender To Failure: non so dirvi il motivo, ma funzionano tanto quanto funziona l’angosciante copertina sviluppata in bianco e nero.

Bel disco comunque, compatto, massiccio e di più che sufficiente personalità, ma in ogni caso con The Serenity Of Suffering i Korn avevano – pur andando più sul sicuro – centrato maggiormente il bersaglio. A volte vestirsi come un pinguino a un matrimonio è la scelta migliore: se ti smerdi la camicia bianca con qualche antipasto, rimetti su la giacca; se sei sudato marcio e stai per soffocare o vomitare al quinto Aperol Spritz, togli nuovamente la giacca. Anche se con ciò non ti distinguerai affatto dal resto della cavalleria, rimarrai a prescindere uno dei nostri, e tutti saranno impegnati a prendere per il culo il nodo di merda che lo sposo s’è fatto alla cravatta. Il pericolo che i Korn ricompaiano dall’oggi al domani con indosso il classico completo bianco e le scarpe squamose, effetto dell’ennesimo massacro di coccodrilli per mezzo di oscure pelletterie locate nella Florida meridionale, è un rischio concreto. Ma siccome questa musica non esiste più sulle mappe, l’eventualità che un simile accadimento si manifesti sul serio mi farà comunque dormire sonni tranquilli. (Marco Belardi)

9 commenti

  • “se sei sudato marcio e stai per soffocare o vomitare al quinto Aperol Spritz”: ci sono parti d’Italia in cui una frase del genere non è nemmeno concepibile.
    Quanto ai Korn, restano se stessi, nel male e nel male.

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  • Minchia Belardi, un plauso solo per la voglia che hai ancora di ascoltarti ‘sta roba e scriverci pure dei pipponi assurdi. Tra questi, gli slipknot, in flames, children of bodom ecc, direi che sai come farti del male. Ma hai ucciso qualcuno? Colpe da espiare?

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    • Non saprei, ne stavo ragionando col bargone proprio qualche giorno fa. Parlavamo dei folkstone e gli dicevo che era musica da Festa de l’unità e che non sarei mai riuscito a sentire un altro album per intero, tanto meno lo strumentale che mi aveva linkato e che per mezz’ora faceva lo stesso motivetto irritante. Lui giustamente mi disse la stessa cosa che hai detto tu, cioè che di quei gruppi li mi ero ascoltato tutto. Probabilmente è perché sono curioso, se con un gruppo ci sono cresciuto qualsiasi cosa faranno mi ascolterò il nuovo. Il metal per come l’ho vissuto io, l’ho vissuto in maniera molto intensa fra il 1996 e il 2006. Purtroppo in quel decennio di gente che oggi è ridicola o che un po’ lo era già allora, ce ne è a eserciti. Sono condannato. Devo dire che ho recensito la scorsa settimana il nuovo entombed AD che è di una banalità sconcertante e ho durato molta più fatica a reggere quello, che comunque è death metal, uno dei miei generi preferiti, che questo qua dei Korn

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  • Pure a me è piaciuto sto disco. Non è esattamente nelle mia corde ma me ne sono fatto una ragione.

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  • Mammamia uno sproloquio senza senso e di una lungaggine abnorme. In poche parole che palle!!!! Aperol Spritz pischelli pischelloni….poi can you hear me = Creed….bho??? Florida meridionale…..mamma mia ma quanto tempo da perdere hai??? A noi interessa la musica e basta.

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