I VARGRAV e il black metal nel 2019

Per la riflessione che sto per fare potrei prendere mille altri dischi di black metal o generi affini che escono ogni anno, ma prendo questo ad esempio perché ce l’ho fresco in testa in quanto, nonostante sia uscito ad aprile, ne ho scoperto l’esistenza solo ieri. Si tratta di una riflessione sul black metal nel 2019.

Parlo dei Vargrav ma potrei tirare in ballo anche altri, tipo i Mgła.

Che cosa, esattamente, hanno portato di nuovo i Mgła al black metal come genere? Risposta: nulla. Certo sono godibili e molto meglio di altri di sicuro, ma non venitemi a dire che hanno apportato dei cambiamenti significativi al genere. Non è così e lo sapete, con tutto il rispetto per i miei concittadini acquisiti, che se non altro hanno il merito, assieme ai Batushka, di avere spostato ulteriormente i riflettori della scena sul paese in cui vivo adesso, con i conseguenti benefici in termini di concerti ed eventi in generale. Ma nulla di più. Non sono i Mayhem e questo non è il 1994, mi dispiace. Concetto banale ma che vale ribadire nel caso, non si sa mai, qualcuno se lo fosse dimenticato.

Altra domanda che mi faccio quando vedo copertine e loghi che non sono in grado di decifrare o riconoscere: che senso ha oggi, per un quasi quarantenne come me, che ha vissuto il periodo della seconda ondata e che aveva In the Nightside Eclipse (disco a cui questo Reign in Supreme Darkness si rifà pesantemente) come dogma assoluto e termine di paragone per qualsiasi cosa, inclusi i cereali da mangiare al mattino a colazione, ascoltare i Vargrav, o in senso più ampio, il black metal del 2019?

È questa stessa questione che mi porta a sentirmi estraneo in molti gruppi facebook dedicati alla musica estrema di oggi, quando vedo i post dei ragazzi più giovani. In un certo senso, questi cercano giustamente di vivere quello che per ovvi motivi anagrafici si son persi e di cui hanno solo sentito parlare, ma non è assolutamente la stessa cosa (perdonatemi quest’altra banalità), specialmente nell’era di Vice e dei post-questo e post-quello (chi cazzo l’ha mai capito, poi, che cosa significa sto prefisso affiancato a qualsivoglia genere musicale). Manca quella sensazione di appartenere a un qualcosa di non comprensibile e non accessibile a tutti, che vi portava ad essere additati come potenziali psicopatici assassini per la strada da gente che non sa assolutamente un cazzo di metal.

Marylin Manson, oggi, non fa più paura nemmeno alle mamme, figuriamoci all’hipster con i baffetti da coglione che legge di black metal tra un articolo sulla deriva fascista del mondo odierno e uno su quanto sia “sessista” non coinvolgere la propria fidanzata quando si va in un negozio a sfogliare vecchi dischi in vinile, anche se a questa non frega assolutamente un cazzo di un vecchio album dei Coroner o dei Paradise Lost e se, anche qualora provaste, a coinvolgerla, al limite vi guarderebbe con compassione annuendo con gli occhi al cielo (vi parlo per esperienza diretta). E tutte altre puttanate di questa risma. Che poi a me, Lords of Chaos, non aveva manco dato così fastidio, forse perché l’ho visto solo come un filmetto di intrattenimento e nulla più. Tutta questa consapevolezza viene acquisita una volta esaurito il periodo in cui questo genere musicale ha davvero senso. Prima che, per intenderci, diventasse un fenomeno da baraccone e argomento da filmetto thriller/horror da Netflix. O materia di studio per diplomatici.

Per pietà, poi, non andrò nemmeno a parlare della gente che popola i gruppi di “collezionisti” e della “polizia” dei social che passa al microscopio ogni riga di ogni testo di una band, decidendo cosa è bene e cosa e male postare in questo o quel gruppo e segnalando di conseguenza. Soprassediamo su questi patetici soggetti.

Ma allora perché, di tanto in tanto, mi sentite parlare entusiasticamente di ragazzi giovani che fanno death metal vecchio stile o quello speed/thrash/power metal di stampo tipicamente ottantiano?

Perché il black metal nella mia memoria è una cosa ideologicamente diversa da altri generi: ai nostri tempi era una musica molto amata e idealizzata da un adolescente metallaro. Lo si legava direttamente a molti aspetti che trascendevano quello meramente musicale: natura, filosofia, misantropia. Era sì ideologico ma allo stesso tempo libero e in quanto tale scevro dalle regole del politicamente corretto di oggi. E soprattutto non era come sentire un caro vecchio riff a la Exciter, accompagnato da un bel rutto dopo una sorsata di Stella Artois dalla lattina. Era qualcosa di più intimo e personale, in un determinato punto dell’esistenza di chi lo ha apprezzato.

La vera differenza stava nel fatto che, almeno personalmente, questa “visione” del mondo e della musica era strettamente legata a quegli anni di vita. Dopodiché, diventando adulti, non ci si basa più sui testi degli Emperor per sviluppare una propria visione del mondo e delle cose, che ve lo dico a fare. E si riprende così a ridere delle scorregge ed a agitare il pugno a ritmo di Heavy Metal Maniac e Mothra, cosa che peraltro si è sempre fatta. Questa è la differenza principale.

Per un quarantenne di oggi, l’ascolto dei classici del black metal è sempre un momento sacrale in quanto riporta in vita sensazioni e ricordi, vissuti però in maniera molto differente da allora. Sempre emozionanti ma profondamente diversi, anche perché sono passati più di vent’anni nel frattempo. E i Vargrav (o i Mgła)? che ruolo possono avere nella vita di un metallaro che si avvia alla mezza età e che ha visto le navi in fiamme a largo dei Bastioni di Orione?

Ma soprattutto, c’è davvero bisogno di fare questo discorso ai coetanei che leggono queste pagine? Ho pensato davvero se valesse la pena di pubblicare questo pezzo, magari attirandomi l’antipatia dei lettori più giovani. Eppure ho deciso di farlo non tanto per vantarmi di aver vissuto un’epoca che, fortunatamente, era ancora fertilissima, quanto per sottolineare che man mano che si va avanti, del metal rimangono solo gli avanzi lasciati dai più anziani, masticati e sputati e a disposizione e nutrimento dei più giovani. Ma non sto dicendo niente di nuovo. È solo una triste constatazione, e ve ne accorgerete quando le nostre rubriche mensili sui dischi che compiranno vent’anni si assottiglieranno di mese in mese, fino a magari scomparire per mancanza di materiale davvero significativo.

Se poi invece devo dirvela tutta, al secondo ascolto ‘sti Vargrav mi hanno davvero rotto il cazzo e sono andato a mettere un disco sconosciuto di simil-nwobhm svedese degli anni Ottanta che non si caca nessuno e ne ho anche approfittato per cambiare l’adesivo alla dentiera. (Piero Tola)

6 commenti

  • Forse è anche una questione di fruizione, di età, di tempo, di struttura sociale nella quale siamo immersi noi nati negli anni 70 del secolo scorso.
    Personalmente ho vissuto la parte più entusiasmante del metal novantiano attraverso il black metal. L’ho seguito, l’ho amato, l’ho ascoltato all’inverosimile. Quando ai tempi ascoltavo black metal lo facevo da solo, in silenzio, spesso al buio, di notte. Era un’esperienza molto intima, come dici giustamente anche tu. Fortemente emozionale ed evocativa. Oggi il mio tempo, poco, così come quello di molti coetanei, non mi consente di creare quelle condizioni di contesto indispensabili a fruire di un album black metal. In macchina preferisco roba da scapocciamento o cose che puoi sentire distrattamente. Perché sto pensando ad altro, impegni, quello che mi aspetta nella giornata e cazzi vari.
    Ogni tanto mi capita a casa di metter su qualcosa di “perturbante”, tipo l’ultimo Ultha (The inextricable wandering, meraviglioso tra l’altro ma, appunto, ti ci devi dedicare), prima di cena, quando torno. Mia moglie mi sopporta a malapena e tenta di spostare l’attenzione sul Conte bis (che dici se abbassiamo o vediamo il telegiornale?). Mia figlia invece caca il cazzo senza mezze misure e mi propone di sostituire il disco in oggetto con la colonna sonora de “L’animazione osso”. Oppure: “Dimmi dove e quando”, da stasera non bestemmio in ritardo. O anche: Takegi e Ketra o come cazzo si chiamano sti due ingegneri del singolo acchiappone…o sono un arrogante (porco il padre eterno).
    “Non rompere le palle, figlia”. “Basta papà, con questi che urlanooooo”. “Stai urlando pure tu, maledetta piccola bagascia…”.
    Invece qualche sera fa sono riuscito a stare da solo a casa. 23:30 e dintorni. Metto su “Ebony tower” dei norvegesi Mare (Terratur possession è sempre una garanzia di qualità). Insomma notte, silenzio, calice di vino rosso. Vi assicuro che questo album non ha un cazzo da invidiare ad alcuni capolavori di 25 anni fa. Anzi. Mi sono emozionato nuovamente, come non mi succedeva da tempo. Disco eccezionale e carico di zolfo. Niente di nuovo? Lo facevano i Mayhem nel 94? Sì arriva da lì ma c’è qualcosa di liturgico, di malato, di personale che m’ha fatto pensare: merda questi ci stanno proprio dentro a quello che fanno. Brividi.
    Peccato che il giorno dopo…si ricomincia.

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  • è una settimana che leggo assiduamente tutti i vostri articoli ritrovando molto di me stesso in essi, questo per dire che concordo appieno con quanto scritto per il black metal nel 2019
    i dischi della prima ondata puzzavano di incenso ed esoterismo…….difficile ritrovare queste sensazioni guardando qualche anno più avanti……figuriamoci ora che il “black metal” è diventato un fenomeno di massa.
    la mia prima volta con dark medieval times non l’ho mai più rivissuta con nessun altro disco delle ondate successive (forse i primi due watain prima che diventassero una band da intrattenimento alla festa della nutria)

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  • Vabbé è così ormai da circa 15 anni direi, nessuno ha più nulla da dire. Viviamo nell’era del revivalismo più spinto, nel black metal soprattutto le band di oggi sono una semplice somma di varie influenze senza nessuna originalità. Un classico esempio sono gli Uada, intetessanti quanto una cacatina stitica. Una buona parte di colpa penso sia da attribuire al pubblico metal, che ha quasi sempre condannato senza appello quelle band che hanno provato ad uscire dal seminato, facendole poi tornare indietro con la coda tra le gambe per diventare le copie sbiadite di se stesse. L’esempio classico sono i Paradise Lost : quanto cazzo sono pleonastici i loro ultimi 4-5 album? Eppure ogni volta che pubblicano l’ennesima brutta copia di icon o gothic mi pare che sia tutto uno spellarsi le mani in ovazioni, quando invece andrebbero presi a pernacchie. Il metallaro medio immagina se stesso come persona di ampie vedute, quando in realtà ha una visione del mondo vasta quanto una scatola di cerini. Ama crogiolarsi nella propria comfort zone fatta di produzioni sempre uguali, band stereotipate, mummificate e incasellate in tanti sottosottogeneri in maniera ossessivo compulsiva. Il mercato va semplicemente dietro a questo stato di cose, quest’estate c’erano non so quante migliaia di teste di cazzo a vedere quegli scoreggioni di merda dei Metallica, dico io ma con che voglia. Quando ho cominciato ad ascoltare metal, venticinque anni fa circa, chi aveva tempo da perdere dietro a degli ultracinquantenni senza un cazzo più da dire? Adesso è la norma, la gente va ai festival per vedere il gruppo la qualunque che ti suona tutto il cazzo di disco classico e sia mai qualcosa di nuovo. E quindi di cosa ci lamentiamo?

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  • Quest’anno sono rimasto molto colpito dall’album Lament dei Totaled, un miscuglio black/hardcore/post-hardcore, che come attitudine mi fa venire in mente gli Unanimated con il suono ammodernato. Recensioni di siti italiani zero purtroppo.

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  • troppa mediocre presunzione.
    e sono più vecchio di te e nemmeno poco.

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