DARKTHRONE – Old Star

Ascolto metal da oltre vent’anni ormai. In realtà la frase corretta dovrebbe essere “vivo insieme al metal da oltre vent’anni”, il che – fatte salve le considerazioni temporali soggettive – suppongo possa adattarsi alla maggior parte di voi che leggete. L’heavy metal è in ultima analisi l’unica vera costante totalizzante della mia vita da metà anni Novanta ad oggi, lasso temporale in cui ci sono stati infiniti cambiamenti e stravolgimenti nella mia esistenza, tali da renderla irriconoscibile rispetto a quella che era al principio. L’unica costante sempre presente, appunto, è che ognuno di questi cambiamenti e stravolgimenti è stato affrontato, o subìto, mentre nella mia testa andava il riff di Breaking the Law, l’assolo di Freezing Moon o il ritornello di Welcome to Dying, che stessi studiando per l’interrogazione di greco o che stessi prendendo la metro per tornare a casa dal lavoro. Moltissimi ascolti sono cambiati, moltissimi sono rimasti gli stessi, e il mio stesso approccio alla materia è ovviamente cambiato da quando avevo quindici anni ad ora che ne ho, beh, molti di più.

Ciò che non è cambiato è la materia prima, l’heavy metal, rimasto uguale a sé stesso anche mentre lo ascoltavo con orecchie diverse. Io sono cresciuto, sono cambiato, e anche tutto quello intorno a me è cambiato, ma le note diffuse dallo stereo quando inserisco il cd di Piece of Mind sono rimaste le stesse. A pensarci è strano. Se tutto è cambiato, e la mia stessa attitudine verso il metal è cambiata, allora perché lo continuo ad ascoltare così insistentemente? Qual è, all’interno di quella costante che è il metal, quell’ulteriore costante che mi fa ribollire il sangue nelle vene ancora oggi? Qual è quell’elemento nascosto, quella quintessenza che sento così intimamente legata a me stesso, tanto da non poter fare a meno di citarla se dovessi descrivere ciò che io realmente sono?

La risposta, ovviamente, è che non lo so. Non perché non ci abbia mai pensato, anzi, ma perché è qualcosa di praticamente impossibile da spiegare a parole. È lo stesso identico motivo per cui Old Star mi ha fatto venire la pelle d’oca sin dal primo momento in cui ho ascoltato la prima anticipazione, The Hardship of the Scots. Da un punto di vista razionale è quantomeno insensato: questo è il diciottesimo (!) disco dei Darkthrone, che da una ventina d’anni a questa parte si muovono grossomodo sulle stesse coordinate, le quali a loro volta non hanno nulla non tanto di originale, ma spesso neanche di personale. Di gruppi che si ispirano, imitano o scimmiottano l’epoca gloriosa dell’heavy metal ce ne sono a iosa; anzi, sono la quasi totalità, visto che ormai è molto difficile che ci si inventi qualcosa di anche parzialmente nuovo; ma solo in pochissimi casi, come con questo Old Star, la rievocazione riesce a prendermi allo stomaco rischiando di commuovermi.

Cos’ha Old Star di così speciale? E perché, a me che avevo già consumato la discografia dei Celtic Frost da prima che i Darkthrone decidessero di smettere di suonare black metal, questa specie di copia dei Celtic Frost riesce a prendere così bene?

La risposta, anche qui, è che non lo so. So però che in qualche modo tra i solchi di Old Star risiede l’essenza impalpabile che mi rende ciò che sono, quella vibrazione che da più di vent’anni mi apre le porte di un mondo che dal primo momento ho sentito molto più mio rispetto a quello, di merda, in cui siamo costretti a muoverci. Non c’è niente da dire sul disco in sé: non ha nulla di nuovo, nulla di coraggioso, nulla di sorprendente. È con buone probabilità il miglior disco dei Darkthrone dai tempi di Plaguewielder, ma anche questa è un’informazione che c’entra pochissimo col discorso. Ciò che conta è che senza cose come Old Star saremmo tutti molto più tristi, grigi e rassegnati. Invece se siamo ancora qui, e tutto sommato continuiamo a spaccare bastantemente, non abbiamo bisogno di speculare sul motivo: ci basta riconoscerlo tra le vibrazioni di una chitarra distorta, e trovare una ragione per andare avanti, a testa bassa, nonostante tutto il resto. Perché alla fine con Old Star in cuffia tutto il resto può sinceramente andare a farsi fottere. (barg)

8 commenti

  • Petrvs Epicvs Metallicvs

    …e questo era proprio quello che speravo di leggere su questo disco, e mi ci rivedo tremendamente in cose come “so però che in qualche modo tra i solchi di Old Star risiede l’essenza impalpabile che mi rende ciò che sono, quella vibrazione che da più di vent’anni mi apre le porte di un mondo che dal primo momento ho sentito molto più mio rispetto a quello, di merda, in cui siamo costretti a muoverci”.
    Sempre ottimo Barg, an Epic Hail!

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  • Ci ho dato una ascoltata rapida ieri, ma stavo impicciato con altre cose da fare e non mi ricordo praticamente una mazza di quello che ho sentito. Spero di poter trovare il tempo per assaporarlo per bene (a me il precedente non mi diede buone impressioni, ma forse lo ascoltai veramente poco)

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  • di tanto in tanto lo scrivete anche voi, i metallari sono le persone piu’ positive,leali e meno depresse che si trovano in circolazione ! nonostante i nostri cervelli vessati da birre,vino,weed e quattro salti in padella ! che ci studiassero nei trattati di sociologia,Amen !

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  • Di questo gruppo non mi importa, ma le sensazioni di Barg sono le nostre. Hail.

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  • Antonello Serra

    “So però che in qualche modo tra i solchi di Old Star risiede l’essenza impalpabile che mi rende ciò che sono, quella vibrazione che da più di vent’anni mi apre le porte di un mondo che dal primo momento ho sentito molto più mio rispetto a quello, di merda, in cui siamo costretti a muoverci.”
    Cazzo! E’ proprio così!
    Recensione bellissima.

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  • Eccezionale Barg. Anche io ascoltando i Darkthrone di adesso trovo lo stesso interesse e le stesse emozioni. Strano percorso, questo dei Darkthrone: storico, didascalico, didattico, chiamatelo come volete, ma sono riusciti a raggiungere il nocciolo della questione attraverso un loro particolarissimo metodo.
    Questo non è un disco da ascoltare sempre, non sarà uno di quelli che metteremo su all’infinito, ma sarà uno di quelli che vorremo risentire, perché ad ogni ascolto rimarrà sempre il dubbio di averlo capito fino in fondo o soltanto una parte.

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  • Andrew 'Old and Wise'

    Hai solo ragione

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  • “Vibrazione”, probabilmente, è la parola giusta. Un amico, tempo fa, mi ha detto: “ho visto un documentario sulla natura della realtà. A quanto pare, ogni cosa ha in sé una specie di frequenza, una vibrazione che la caratterizza. Quando ci piace qualcosa, è perché sta vibrando alla stessa frequenza nostra; quando invece vibra diversamente, o ci lascia indifferenti oppure non ci piace, o magari ci mette a disagio. Se ‘sta storia è vera, allora io vibro metal dalla testa ai piedi”.
    Non ho idea di cosa stesse parlando, in termini di teorie “sulla natura della realtà” (forse aveva capito a modo suo qualcosa di scientifico, o era qualche cazzata spiritualista, davvero non so), ma in qualche modo sento che ci ha visto giusto.
    Anche perché oggi pomeriggio mi sono sparato Total Death dopo anni, mentre lavavo i piatti, ed è stata una esperienza mistica.

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