La finestra sul porcile: PET SEMATARY


Cimitero Vivente del 1989 è il film che mi ha spalancato gli occhi sul mondo di Stephen King: primo titolo noleggiato in vita mia a un’età in cui neanche potevo portare a casa un horror, il che mi avrebbe fatto acquistare – di lì a poco – il celebre libro dell’autore proveniente dal Maine. E a ruota Cujo, tanto per rimanere in tema di graziosi animali domestici che ti fanno il culo.

L’edizione firmata da Mary Lambert non era particolarmente spaventosa, o sanguinolenta. Né si distaccava in maniera netta dallo script di Stephen King. La sua forza stava tutta nel rappresentare un dramma familiare portato all’esasperazione, in una maniera che successivamente avrei faticato a ritrovare su pellicola. Cimitero Vivente parlava di gente disperata che faceva cose disperate, e gli riusciva benissimo. Passerò invece oltre al sequel con Edward Furlong, una di quelle cose che ti fanno pensare di tornare al videonoleggio con una tanica piena di benzina.

Il mio mancato pessimismo circa Pet Sematary è partito tutto da uno Stephen King in odor di elogi verso il risultato finale appena ammirato: lì per lì uno ci crede anche, poi lo vedi ripetere la stessa cosa con It e rifletti sul come sia possibile tutta questa esaltazione, da parte di un tizio che ha contato le pulci in testa a Stanley Kubrick quando quest’ultimo portò – aggiungo magnificamente – una roba complicata come Shining sul grande schermo. Quello non gli piacque affatto, mentre Pet Sematary va benissimo così com’è: fatevi due conti. Sono quindi arrivato in sala, allo spettacolo delle 22.40 e dopo una cena pesantissima preceduta da doppio tiramisù a merenda alle 17.00, in condizioni pietose e decisamente indisposto alla visione. Inoltre è mio dovere avvertirvi che spoilererò quanto sia possibile anticipare, perché tanto non c’è nessuna sorpresa da rovinare: già sappiamo a quale fine è destinata la sfortunata famiglia Creed, fresca di trasferimento a Ludlow, Maine. Patria dei veloci e silenziosissimi camion Orinoco.

Belle le maschere, ma a che cazzo servivano?

I camion Orinoco sono una nuova generazione di veicoli da trasporto commerciale, studiata da Elon Musk per andare incontro alle esigenze di un vicinato che pretende il massimo silenzio lungo le statali americane, nelle ore in cui è necessario il riposo. Il loro funzionamento, a differenza delle piccole automobili elettriche che sembrano autentici trattori agricoli, consiste nel non fare alcun rumore fino a che non stanno per investirti. In quel preciso momento esploderà un fragore di motore misto a parti meccaniche e clacson, che perfettamente si sposa con i nuovi cliché – o meglio punti cardinali – di un cinema horror sempre più indirizzato allo spavento da decibel, più che a una reale cattiveria che sia frutto del genio di sceneggiatori muniti di palle e contropalle. Nella prima metà di Pet Sematary passeranno tre di questi silenziosissimi colossi del trasporto, e saranno l’unica ragione che avrete per saltare sulla poltrona. Inoltre ci sono due componenti clou: per prima una bambina insopportabile che parla di continuo, puntualizza cose che non occorreva puntualizzare e suscita dialoghi sulla fede religiosa in una coppia di genitori che, nei dieci anni precedenti, non aveva mai affrontato l’argomento. Neanche per caso. Ha anche il coraggio di trovare l’errore grammaticale nel titolo del film, raffigurato su di un cartello proprio all’ingresso del piccolo cimitero, il che mi preoccupa sul fatto che in questo momento la piccola megera potrebbe essere intenta a leggere queste righe, scovando ogni inesatto posizionamento di punteggiatura o accenti. Tu sia maledetta.

Church

E poi c’è il gatto, l’unico elemento forse più inquietante del corrispondente ammirato nella pellicola anni Ottanta. Ne ho uno, che si chiama Jeff in onore di Hanneman e Becerra, estremamente aggressivo e giunto con molti acciacchi all’età di diciassette anni. Una volta ha inseguito una mia ex fidanzata procurandole un taglio lungo quasi quindici centimetri sul polpaccio. Church è anche peggio del mio Jeff, ma in fin dei conti si limita a fare quello che fanno i gatti (odiare, graffiare, posizionarsi dietro a ogni angolo) ed a rovinare una trombata, consumando – durante l’amplesso tra mr. e mrs. Creed – una cornacchia ancora viva in fondo al loro letto. In mezzo a questo scempio narrativo, Louis sembra un Ash in procinto di fare facce sempre più buffe man mano che il film – dai connotati decisamente seriosi a differenza de La Casa 2 – assumerà toni sempre più grotteschi, mentre sua moglie è tormentata dai continui flashback riguardanti la defunta sorella Zelda. Quest’ultima era uno dei punti chiave del film originale, non aggiungeva molto alla narrazione in sé ma metteva una paura bestiale senza fare sostanzialmente niente, tipo apparizioni improvvise, rumori forti o leggere ad alta voce la pagella del Milan. Qua non funziona neppure Zelda, soltanto un mostro contorto e incapace di innescare nella co-protagonista i medesimi sensi di colpa che me l’avevano fatta prendere malissimo in Cimitero vivente. E poi troviamo il vecchio, John Lithgow ovvero Trinity di Dexter quarta stagione, in tutto e per tutto rassomigliante al tizio che su YouTube conoscerete come Thulean Perspective.

La pellicola di oggi gioca con la precedente cambiando piccole cose, come a voler intendere che mentre ti aspetti che un camion centri in pieno il rimbecillito Gage Creed, la sceneggiatura firmata dal David Kajganich di Suspiria ne dirotterà la traiettoria piazzando l’effetto sorpresa. Lo stesso giochino viene riproposto in occasione dell’omicidio del vecchio, che perdonatemi, ma per semplice praticità d’ora in poi chiamerò Thulean Perspective. La mezz’ora finale è tirata via come se i due registi non vedessero l’ora di chiuderla lì, interessati com’erano a caratterizzare (male) quattro o cinque personaggi che, nell’ordine:

-Non conoscono nessuno, ma alla festa di compleanno di Ellie Creed – che terminerà in disastro – hanno una marea di invitati più o meno deficienti come loro.

-Trovano Ellie al cimitero degli animali con un vecchio che era lì per aiutarla, e quest’ultimo viene trattato alla stregua del pedofilo del quartiere. E lui fa un’espressione bellissima, che sta come per intendere effettivamente sembro un po’ il pedofilo del quartiere.

-Thulean Perspective convince Louis Gage, l’uomo più razionale e miscredente del mondo, a seppellire il suo gatto nelle zone più remote del Maine e lui ci casca in pieno, senza rivolgergli troppe domande. Lungo il percorso entrano in una palude, sentono Angela Baker di Sleepaway Camp che rantola tra le conifere, vedono fulmini in lontananza ma proseguono. Tutto questo per seppellire Church. Alla fine, per la serie tale padre tale figlia, Louis inizia a porre un sacco di questioni e Thulean Perspective lo sbeffeggia con un campionario di espressioni sceme, tipiche di chi l’ha fatta grossa. Si giustificherà poi dicendogli che il suo cane, che era tornato incazzato nero dopo essere stato seppellito, aveva già da vivo un brutto carattere (!!!). Church ricomparirà marcio e con profonde lesioni, senza che si vada oltre a un democristiano quando l’ho trovato sulla strada mi sembrava morto. In compenso provano a pettinarlo per rimuovere i fastidiosi nodi di pelo.

-La bimba (scusate se ve lo dico, ma era già apparsa con vene nere sulla faccia in circa un migliaio di poster) ritorna al posto di Gage grazie alla collaborazione di Orinoco. Farà più domande da morta che da viva (“sono morta, vero?” talvolta mixata con un leggero eco o riverbero, e ipotizzo doppiata da una DJ da festicciola hard trance), uccide la gente spiegandogli perché stanno facendo quella determinata fine, ed è odiosa almeno quanto i comici non-morti di Cimitero Vivente 2. Farà fuori lei Thulean Perspective, e uno come Nargaroth avrebbe perfettamente sintetizzato la scena come The Day Ellie Killed Burzum. Tutto secondo le regole dell’horror moderno, che deve farti saltare senza turbarti troppo: una bambina fisicamente integra dopo un frontale con un Orinoco, che ragiona a vanvera per sembrarci un po’ meno d’effetto e che – con questo – finirà con lo smorzare la drammaticità esasperata che dovrebbe rimanere al centro di un titolo come Pet Sematary.

“Te lo prometto Ellie, niente più dischi ambient d’ora in poi!”

In conclusione il film non è brutto, ma è banale. Quello del 1989 non metteva paura, ma angoscia, con un Gage freddo e rantolante dall’aspetto di un bambino senza più anima. Ti faceva provare tristezza per un disgraziato destinato a una fine disgraziata insieme a tutti i suoi amati, nient’altro. Stavolta si ride di gusto per interminabili minuti sebbene la cosa sia del tutto involontaria. Ci sono situazioni messe nel calderone e lasciate lì, come la processione dei ragazzini (scena visivamente accattivante quanto fine a sé stessa), ed anche personaggi approfonditi e sacrificati in un batter d’occhio come lo spassoso Hugo Stiglitz di Bastardi senza gloria. In un film che conta qualcosa come cinque personaggi è inammissibile. E di Stephen King che elogia le sue trasposizioni cinematografiche non c’è veramente più da fidarsi. In fondo non ti aspetti una scena dopo i titoli di coda, come nei film che piacciono a Cesare Carrozzi (che sono comunque migliori di questo), bensì Pet Sematary dei Ramones. Sai che è esattamente così, il film finisce e toccherà a lei: ti sentirai tutto il pezzo tratto dal pesante Brain Drain del 1989, e sarà una specie di analgesico dopo un centinaio di minuti di emicrania. No, c’è una cover fatta da questi tizi chiamati Starcrawler. Possano i silenziosi camion della Orinco montarvi sul palco. (Marco Belardi)

8 commenti

  • a parte la storia di Kubrik, che se non erro si basa sul fatto che il MAESTRO (Kubrik) aveva dato una interpretazione puramente psicologica delle visioni e o ossessioni del protagonista, mentre King vedeva l’albergo stesso come fonte di male e di corruzione della persona, ho smesso di seguire completamente King dal finale della Torre Nera. Tirai tante di quelle madonne che mi promisi di non comprare più nulla di suo. Ho fatto giusto una eccezione leggendomi l’anno scorso IT sul Kindle, che rimaneva una delle mie più grandi mancanze. Tra i film fatti su King, ricordo che mi piacque molto il riaddattamento de “Il Gioco di Gerald” che fece Netflix un paio di anni fa. Sarà che il libro mi piacque molto all’epoca, devo ammettere che il film è stato in grado i gestire bene le pene provate dalla povera tizia incatenata al letto.

    PS: Ovviamente questo film non lo vedrò, come non ho visto il remake di It

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    • il remake di It per me è bello. grande caratterizzazione dei personaggi, recitato bene, non c’è una nota fuori posto e hanno ambientato benissimo il tutto (rispetto agli anni e ai luoghi). il problema è il mostro, un po’ banalotto e mirato più che altro allo spavento e al salto con la solita regia videoclippara e a scatti del 90% degli horror moderni. il mostro rovina tutto, ed è il soggetto principale di tutta la carriera di King probabilmente. non puoi trattare Pennywise come se fosse un qualunque Jeepers Creepers. è come fare un film su Moby Dick con Tom Hardy su una nave d’epoca perfetta, in cui per 50 minuti entri nella psicologia e nelle dinamiche dei personaggi, con sotto le musiche di Williams. e a un certo punto passa una balena di cartone trainata da un cordino. un paio di cristi in sala li senti

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      • certo che se sbagli il personaggio di Pennywise, hai toppato tutta l’atmosfera del film. Quello degli anni ’90, da quello che ricordo, non era affatto male, anche se era più sul tono della fiaba horror, ma il tizio che faceva Pennywise da ragazzino mi faceva cacare sotto. Non mi piacque molto il finale, dove si scopriva che il clown era in realtà un ragnone maledetto…

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      • è il problema diffuso dei finali di stephen king, purtroppo…

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  • “Il tizio che su YouTube conoscerete come Thulean Perspective” è una definizione illuminante solo per pochi eletti.

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  • Sul film non ho nulla da dire perché non l’ho visto.. Solo una cosa, la cover di quei tizi di Pet Sematary fa schifo al cazzo e a me sembra che l’attacco della canzone sia pure un plagio abbastanza evidente di Don’t fear the reaper dei Blue Oyster Cult. 2 stupri al prezzo di uno. Quindi sta gente deve crepare male.

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  • Visto al cinema, un film inutile per chi scrive.

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  • Mi sono appena finito di leggere il libro sul kindle, che e’ uno dei pochi vecchi libri che avevo saltato. Devo ammettere di averlo divorato, la parte horror e’ molto marginale e gira tutto su come affrontare la perdita di una persona cara. Il finale e’ deboluccio ma ci sta, cmq ricordavo bene i bambini mascherati sono una invenzione del remake, visto che nel libro vengono giusto citati da Judd che racconta di bambini che mantenevano pulito il sentiero. Appena ho tempo mi voglio rivedere il vecchio film

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