Avere vent’anni: NEVERMORE – Dreaming Neon Black

Cesare Carrozzi: Leviamoci subito dall’imbarazzo: Dreaming Neon Black fa schifo al cazzo (e anche rima). Fa schifo al cazzo adesso come faceva schifo al cazzo venti anni fa e come farà sempre schifo al cazzo, nei secoli dei secoli. Ho sempre considerato Warrel Dane un ottimo cantante almeno fino ad un certo punto della sua carriera (cioè fino ai Sanctuary), poi ancora un ottimo cantante bruciato nel cervello, e da ultimo solo bruciato nel cervello. Dreaming Neon Black rientra nella fase ottimo cantante bruciato nel cervello, e ci rientra a pieno titolo: lo senti che cazzo sa cantare, che la voce c’è, EPPERÒ senti pure tutte ‘ste minchia di linee vocali dissonanti alla cazzo di cane sopra i chuggachuggachugga di Jeff Loomis e Tim Calvert. Amici, le dissonanze vanno bene se sai usarle, se le contestualizzi, se non sono perenni e senza un cazzo di senso, sennò è jazz, ed il jazz fa cacare sanguinaccio, una musica per stronzi che si credono intelligenti perché ascoltano merdate fatte da musicisti che le ritengono intelligentissime, al passo coi tempi dove non avanti, e che trovano, purtroppo, coglioni senza un perché che si ritengono pure loro avanti per il semplice fatto di ascoltarle.

È uno stronzissimo circolo vizioso, ed è esattamente quello che è successo coi Nevermore, nonché la sostanziale motivazione per la quale hanno avuto il successo che hanno avuto pur facendo schifo al cazzo (oltre all’indubbia fortuna di aver azzeccato il periodo giusto post-grunge). Certi metallari (certe persone, meglio) vogliono sentirsi intelligenti, colti, all’avanguardia, a prescindere se lo siano o meno, a prescindere persino se ne siano consapevoli oppure no. Anzi, mi correggo: se fossero consapevoli mica cazzo ascolterebbero la merda, no? Questo però nulla ha a che fare con la bontà tecnica dei Nevermore, o meglio con le capacità dei singoli musicisti: non sto certo mettendo in dubbio le doti di Jeff Loomis o le capacità di Warrel Dane, anzi. Loomis è un chitarrista straordinario, una persona simpatica e molto alla mano, Warrel Dane era sicuramente un fulminato, un fuori di zucca totale che però fino ad un certo punto cantava anche molto bene o, specifico meglio, lo avrebbe fatto se non fosse stato concentratissimo nel sembrare un Geoff Tate di metà carriera, sordo da entrambe le orecchie, che si sforza di cantare su chitarre che evidentemente non sente, declamando liriche oscurissime e depresse (e grazie al cazzo, direi) in linee vocali che, per forza di cose, non c’entrano nulla con quello che fa il resto del gruppo. Chi ama i Nevermore è con ogni probabilità stupido come la merda. Tant’è. (Cesare Carrozzi)

Marco Belardi: Vent’anni fa quest’album non mi piacque per niente. I Nevermore erano quel gruppo che avevo sentito nominare perché c’era questo tizio dei Sanctuary, e inoltre avevo ascoltato un paio di pezzi da The Politics Of Ecstasy e niente da fare, sulle prime proprio non mi erano entrati in testa. Posso anche aggiungere che, una volta appassionato al gruppo di Seattle ed alle sue composizioni, l’uscita del 1999 è rimasta – per il sottoscritto e per molti anni a seguire – un enorme punto interrogativo appiccicato sulla loro discografia. Poi è successo qualcosa che l’ha trasformata nel mio album preferito di Warrel Dane e soci, e ancora non saprei dire cosa.

È inutile che scriva la recensione di Dreaming Neon Black entrando nel merito di ogni traccia, poiché, passando per la morte del cantante e per quella del secondo chitarrista Tim Calvert, ho citato questo lavoro un sacco di volte in alcuni passati articoli di cui troverete qui i link. Lo scoprii quasi per caso, era appena terminato il 1998, e dunque mi sentivo come se mi fossi appena ripreso da un giro di schiaffi durato dodici mesi: se avete seguito la rubrica nei mesi passati, avrete capito quanta roba di spessore era uscita in quell’anno; per cui l’inizio del nuovo non poteva non essere accolto con un certo entusiasmo, misto alla preoccupazione che un simile exploit non si ripetesse. Non fu la stessa cosa, infatti, anche se i Nevermore avrebbero goduto della corposa compagnia di Slipknot e Testament coi rispettivi album di debutto e inediti. E poi insomma, At The Heart Of Winter degli Immortal, il bellissimo secondo dei Children Of Bodom, i Dark Tranquillity con Projector e i Dream Theater con il discusso Metropolis pt. II: Scenes From A Memory. Il miglior modo per chiudere un decennio spettacolare per quanto fatto di grandi abbandoni o trasformazioni, oltre che di alti e bassi, e in mezzo a tutto ciò c’era appunto Dreaming Neon Black. A gennaio me lo suggerì una recensione su qualche rivista: ne compravo talmente tante che non ricordo di preciso quale “penna” mi incuriosì al punto di comprarlo a scatola chiusa; quello che invece ricordo è che il tipo ne andava decisamente entusiasta, e quindi lo ammiro per averci preso al primo colpo, e non dopo una quindicina di ascolti dilatati negli anni, come sarebbe accaduto a me.

La prima cosa che attirò la mia attenzione fu la produzione, aspetto di cui sono sempre stato piuttosto maniaco, qui curata da questo Neil Kernon. Lui era un veterano del mestiere, molto attivo in campo hard rock e credo che avesse iniziato a cimentarsi col metal con i Queensryche o giù di lì. Si parla della seconda metà degli anni Ottanta, quindi del periodo di Rage For Order. Dopodiché ha mostrato la sua abilità come produttore assolutamente poliedrico, passando dal thrash al death metal senza battere ciglio e infilandoci in mezzo anche un botto di progressive. Era un po’ come il vicino di casa che si propone per imbiancarti le pareti, cambiare la guarnizione rotta al cesso, sostituire la resistenza al forno, ma a differenza di questo immaginario tuttofare a nero, che comunque è reperibile un po’ in tutti i quartieri, Neil Kernon sapeva davvero cimentarsi con un sacco di roba diversa. I Nevermore ci lavorarono fin da subito: lui era da poco diventato il produttore dei Flotsam & Jetsam e nel 1996 cacciò fuori il sound massiccio di The Politics Of Ecstasy. Tre anni dopo, Neil Kernon avrebbe portato quelle sonorità direttamente all’inferno. Senza risultare in alcun modo plasticona, la batteria di Van Williams sfoderò un’attitudine marziale e più minimale che in precedenza, degna di certi act industrial metal dell’epoca e senza che venissero radicalmente mutati i suoi connotati. Gli faceva eco tutto quanto il resto, Tim Calvert si inserì alla perfezione per quanto il giochino sarebbe durato fin troppo poco, mentre Jeff Loomis e Jim Sheppard completavano il quintetto donando al comparto a corde un muro sonoro senza precedenti. Dreaming Neon Black rinunciava a buona parte della velocità e immediatezza del suo predecessore, eppure era indubbiamente più pesante di esso. Anche più quadrato, definito e monolitico a dispetto dell’enorme varietà offerta dalle tracce, tredici, tutte quante di enorme spessore tranne una o ad esagerare un paio.

Dreaming Neon Black era anche un concept e questo molto probabilmente già lo saprete, e fu proprio questo aspetto a riversare nelle sue musiche tutta la disperazione di Warrel Dane, che qui si ritrovò ad offrire la sua prova più teatrale e sentita di sempre. Uno dei punti più alti raggiunti dall’evoluzione del thrash metal, seguito a ruota dall’album della definitiva consacrazione e semplificazione di uno dei sound più riconoscibili che il metal classico aveva partorito negli anni Novanta.

36 commenti

  • Per la giornata di oggi previsti shitstorm su Cesare Carrozzi

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    • per quanto possa valere, comunque, il mio pensiero è più allineato su quello di carrozzi. dreaming neon black comprato all’epoca sull’onda di recensioni entusiastiche e mai sopportato. i nevermore, in generale, sono un gruppo del cui successo non ho mai capito il motivo.

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      • Io devo ammettere che i Nevermore li sto un pochino riscoprendo adesso. Quando usci’ quest’album lo comprai subito perchè su una rivista, non ricordo quale , ne parlarono come il nuovo Master Of Puppets (giuro scrissero proprio cosi’): lo accantonai dopo mezzo ascolto.

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      • a me personalmente questo album non è mai piaciuto. ma adoro il successivo (e i Nevermore dal vivo erano impressionanti, quando Dane non era afono o troppo ubriaco chiaramente)
        tendenzialmente direi che tra dare agli altri degli “stupidi come una merda” e dire che non capisci il successo del tal artista ce ne passa, ecco

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      • Io pure.

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  • L’ ho sempre pensato ma non osavo dirlo:” il jazz fa schifo”.

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  • Quando lo ascoltai la prima volta mi disturbò, era un mischione di una serie di generi che lo portava ad essere qualcosa di indefinito. Poi con gli ascolti riesci a fare un po’ di ordine mentale e perfino a sentire il dolore di Dane mentre canta (credo che la fidanzata di allora sia stata risucchiata in una setta e sia sparita o qualcosa del genere). Non so se sia poi tutto sto capolavoro ma sicuramente è di una drammaticità rara e in certi momenti della vita fa bene riascoltarlo.

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  • Con tutto il rispetto per le opinioni altrui la recensione del Carrozzi è emblematica del perchè il metallaro in genere è considerato un decerebrato (ed è un eufemismo)…

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  • Carrozzi, a Brescia si dice “ta set mia el Signur”. Parli di “stronzi che si credono intelligenti perché ascoltano merdate fatte da musicisti che le ritengono intelligentissime”, poi caghi e pisci in consapevole libertà sui gusti degli altri con la stessa boria. Io riempirei i gulag della matassa di stronzi che mi circonda, sparerei nelle gomme di ogni stronzo che guida a caso e vorrei il potere di sparare TSO dalla punta delle dita, per cui in qualche modo capisco, ma porcatroia, siamo metallari, dovremmo farci le seghe in cerchio su quanto sia bella la nostra musica, non mandarci vicendevolmente a fare in culo in base a quanto uno apprezzi o meno la ghigna deforme di Warrell Dane

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  • A me fanno schifo al cazzo i Manowar, per dire. Ognuno c’ha le sue fisse o idiosoncrasie per questa o quella band.
    Quello che penso di questo disco l’ho già scritto altrove e lo ribadisco qua. Capolavoro. Fine.

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  • Io sto totalmente con Carrozzi. Non mi piacciono per nulla, il mondo metal è immenso. Di questo ringrazio Satana.

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  • Ma quelli che mo vorrebbero ammazzare il Carrozxzi hanno mai letto una sua recensione prima di questa?

    Comunque mi trovo in un limbo infernale. Non sono d’accordo con lui, ma essendo lui il Carrozzi sono iintimamente costretto a dargli ragione, anche se non sono d’accordo. E così via.

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    • Macché ammazzare. Mi fa solo girare le palle il concetto che ha espresso, modo di scrivere o meno. Mi ricorda quando a 15 anni mi dicevano che il metal era una merda, ed io un coglione perché lo ascoltavo. Rispettosamente eh, ma vaffanculo

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  • non entro nei meriti del giudizio del buon Carrozzi, poichè da buon lettore di Metal Skunk ho capito che è un po’ il suo modo di scrivere. Per quanto mi riguarda, li scoprii con una recensione di “In Memory” su Metal Hammer, che ne parlava con grande entusiasmo pur essendo un mini che riprendeva uno dei primi demo della band. Me ne innamorai subito, invece ebbi un grande delusione iniziale per “The Politics Of Ecstasy”, poichè era completamente diverso dall’EP. A forza di ascolti, alla fine ci andai matto, e quando uscì “Dreaming Neon Black” non ci ho un capito un cazzo per un buon numero di ascolti. Per fortuna, all’epoca stavo attraverso l’ultimo anno di liceo, dove detestavo ogni persona o cosa presenti in quell’edificio, e diciamo che la mia testa era ben sintonizzata sul disco, per cui alla fine ci andai fuori di zucca…e continuo ancora oggi a sentirlo spesso.

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  • Chi è John Col…cioè, Cesare Carrozzi?

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  • Sei proprio tu Coltrane? E io chi sarei?

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  • Lorenzo (l'altro)

    “Chi cazzo è Cesare Carrozzi?” (Cit.)

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  • I Nevermore sembravano più di quello che erano. Mi colpivano molto al primo ascolto, li amavo, e poi praticamente me ne dimenticavo. ciò non toglie che “Dead Heart…” rimane tuttora un gran disco e i giudizi di Carrozzi sul jazz sono francamente esagerati e leggerissimamente provocatori, benchè legittimi in quanto ancorati al suo gusto personale

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  • Per me uno degli album metal più belli di tutti i tempi. Raramente il metal, soprattutto il sottogenere pesante come quello suonato dai Nevermore, mi ha emozionato così tanto. Insieme a The Sound Perseverance è il disco definitivo che chiude gli anni 90: complesso, tecnico, e carico di una sofferenza e passione che in quegli anni era appannaggio del grunge. Poi loro si sono persi in uno stile più quadrato e orecchiabile, ma sempre di buon livello. Ma Dreaming è il loro capolavoro: riff pazzeschi, una batteria mitragliante, una voce delirante e un concept che ancora oggi mi dà i brividi (sì, come ha detto qualcuno sopra è ispirato alla tragica scomparsa della fidanzata di Dane, attirata da una setta).

    Sinceramente non ho mai capito i detrattori dei Nevermore: che cos’ha questa band che non vi piace? Sono tecnici, sono pesanti, sono passionali. Gli ultimi album sono mediocri, ok, ma fino a Dreaming erano dei talenti unici.

    Mi dispiace, infine, leggere le cazzate di Carrozzi: al di là dei gusti, certe cose andrebbero argomentate un po’ meglio, soprattutto evitando giudizi come quello sul jazz che mostrano soltanto la spocchia dell’anti-spocchia e il conformismo dell’anti-conformismo. Non c’è mai da vantarsi a non essere intelligenti, e i tempi come questi lo dimostrano.
    I Nevermore mi mancheranno tantissimo.

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    • che poi qualcosa del jazz si potrebbe anche rivalutare se gli hipsters,con le loro sigarette elettroniche e i mocassini da 200 euri,si levassero dai coglioni.Duke Ellington si stara’ rivoltando nella tomba cazzo !

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    • Bel commento

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    • Cosa dire, risposta da manuale ad una recensione farcita da commenti fuori luogo, gratuiti e quanto meno infantili. Va benissimo che al tipo facciano cagare i nevermore, il jazz e tutto quello che non è in grado di comprendere, si sa che (per fortuna) metal slunk è un blog provocatorio che non ha pietà per nessuno, ma modestissimo parere di uno a cui piace questo album e anche la musica jazz (che ovviamente per il marrano che ha scritto la recensione è solo un genere per poveretti che si vogliono far vedere intenditori di musica…chissà cosa ne penserà della classica, magari contemporanea, orrore), questa volta avete pisciato fuori dal vaso. Cosa significano le offese a gente che apprezza cose che tu non comprendi?

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    • Lorenzo (l'altro)

      Mi unisco: mancano tantissimo anche a me. Ma poi, dai, come si può ignorare un “The Politics of Ecstacy”?

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    • Pensa che non sopporto nemmeno The Sound of Perseverance.

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  • Dire che la prima recensione è poco argomentata è un eufemismo. Il web dà spazio a tutti e a tutto, il che ha vantaggi e svantaggi.
    Disco e band clamorose che hanno raccolto abbastanza poco.

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  • sergente kabukiman

    Carrozzi ti lovvo.

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  • Chiaramente, il Carrozzi andrebbe scorticato vivo e gettato nel sale per i suoi gusti musicali, tuttavia mi pare che molta gente la stia prendendo un po’ sul personale. Possiamo dire a coscienza serena di non aver mai fatto come lui? Oppure di non aver mai trovato divertente uno sproloquio simile quando è in linea con i nostri gusti? Io certamente no. Inoltre, per onestà intellettuale, devo dire che non me la sento di dissentire in toto per quanto riguarda il jazz.

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  • Ma va, son secoli che il Carrozzi prova a scimmiottare il resto della ciurma: i risultati al solito pessimi ma concordo con la sua insistenza. Vai Cesarino, prima i poi una “provocazione” ben fatta l’azzeccherai anche tu!!!
    Detto ciò, piaccia o non piaccia, questo è oggettivamente un disco clamoroso, ancor più se pensiamo che è targato 1999 (e chi c’era sa a cosa mi riferisco).

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  • Quest’album non son mai riuscito a farmelo piacere, invece The Politics of Ecstasy sì, è davvero figo. Comunque alla fin della fiera tra Sanctuary e Nevermore scelgo sempre i Sanctuary.

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  • AndreaFuturoExChitarrista

    Dei Nevermore tollero solo Dead…ascolto il jazz e penso che Miles Davis era più metallaro di Sebastian Bach , che Charlie Parker fosse più fatto dei sex pistols e che Coltrane fosse + shredder di Satriani ..
    poi .. ascolto jazz e penso di essere stupido sono una contraddizione in termini ?
    e cmq capisco l’ambito della recensione , a me fa cagare il punk a parte i clash …
    Ognuno libero di pensarla come cazzo vuole … e non è perché il duo la si pensa uguale
    si hai ragione .. ha ragione solo San Germano Mosconi

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  • AndreaFuturoExChitarrista

    E cmq dovrei imparare a digitare !

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  • Ma al di là dei discorsi da fan dei Nevermore, ( io non lo sono anche se dead heart in a dead world mi piace un sacco dall’inizio alla fine ), ci vuole coraggio a sminuirli …cioè…ditemi allora voi un altro gruppo tecnicamente iper dotato ma non lezioso , melodico ma non stucchevole, oscuro ma orecchiabile, riconoscibile dalla prima nota, canzoni intricate ma mai polpettoni di 12 minuti che iniziano con 1 2 3 e parano con u v z, e che non suonano come nessun altro gruppo ma sono sempre metal al 200%…per me nessuno… e questo che non sono per l’originalità a tutti i costi e per me il metal se non fa scapocciare fino a slogarsi le vertebre non serve a niente, e ripeto, non è un gruppo che mi fa impazzire. Ma capisco che devono il loro successo alla loro unicità, e al fatto che chi cerca il LORO tipo di musica lo trova solo nei loro dischi, il resto sono gusti personali

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