Si continua a non vivere di solo metallo (ovvero speciale synthwave di quei puzzoni di Metal Skunk parte II)

Vista la risposta positiva dei nostri ventiquattro lettori (o erano ventisette? Ciccio e Barg, aiutatemi voi che tenete i conti dell’osteria) (ventiquattro, ventiquattro, ndbarg), mi sono sentito in dovere di continuare quanto stavo dicendo l’altra volta in tema di synthwave o retrowave che dir si voglia, per segnalare un altra bella porzione di musica malata e sintetica al 100%.

Recentemente ho scoperto che il già citato John Carpenter ha prestato la sua voce per una breve intro narrata sul tema apocalisse incombente per gli stratosferici GUNSHIP, ovvero tra i migliori produttori di synthwave “cantata” che potreste mai sentire. L’album omonimo è di tre anni fa ma, se fosse di quest’anno, sarebbe pure top album, o comunque in playlist di sicuro. Quindi siete avvertiti. È come essere proiettati in un cyberspazio creato dalle menti degli inglesi Dan Haigh and Alex Westaway, rei di aver creato uno dei lavori più emozionanti degli ultimi dieci anni. Non si può invece dire lo stesso di Dark All Day. Uscito nel 2018, diciamo che non ha avuto chance di entrare in playlist: troppo ruffiano e spompato rispetto alla fucina grondante emozioni e dannatamente perfetta che fu l’omonimo. Ma, come al solito, lascio a chi legge stabilire se ho ragione o meno.

Il discorso qua intrapreso su i Gunship non può che portare ai THE MIDNIGHT, altri rappresentanti della stessa branca di synthwave cantato che però hanno nelle atmosfere più nostalgiche il proprio marchio di fabbrica. Possiamo paragonare la loro proposta ad un malinconico film di genere coming of age, ambientato negli anni Ottanta, ovviamente. Personalmente penso che il loro ultimo Kids sia un bel dischetto, riservandomi però di sentirne la versione strumentale, uscita in contemporanea, che potrebbe darmi ragione quando individuo il limite dei nostri nel cantato stesso, che a volte intacca l’espressività degli arrangiamenti di synth, a tratti davvero emozionanti, seppure non al livello dei migliori Gunship. Vi farò sapere. 

Ne approfitto qua per approfondire e contraddire un mia precedente affermazione: ho riascoltato Roboror del giapponese VHS GLITCH e niente, spacca quanto se non più dell’ultimo, il comunque bellissimo They Made Me an Animal. Energetico e sinistro allo stesso tempo, conferma ancora una volta il nostro amico del Sol Levante come una delle realtà più interessanti e continue del genere.

Fatemi adesso parlare del lato più tamarro e accostabile alla techno di questo stile, ovvero quello del danese DANIEL DELUXE, per esempio. Troverete alcune atmosfere horror e ipertecnologiche ma con una tamarraggine di fondo che riporta appunto ad una discoteca dove la gente si cala di tutto e vede i Visitors che camminano sui muri. Inquietante. Titoli consigliati per capirne appieno la “filosofia”: il terrificante Corruptor, anche se il nostro appare sempre su numerose compilazioni, in cui ovviamente lascia il suo marchio acido e orrorifico. Non è un caso che infatti ultimamente faccia parecchie serate assieme ai Dance With the Dead, di cui abbiamo già parlato. Da ascoltare assolutamente in determinate situazioni, e se lo sentirete capirete quali.

Ogre

Sempre sul versante orrorifico vi segnalo OGRE SOUND, meno techno ed energetico del nostro Daniel ma ugualmente raccapricciante. Il loro Ballard, uscito quest’anno, suonerebbe perfetto se John McNaughton decidesse di fare un altro Henry Pioggia di Sangue oggi. Sentite la allucinante Deep Schizos Irreversible Paranoids, giusto per darvi un assaggio.

Continuiamo con gli spaziali ZOMBIE OVERDRIVE, che a dispetto del nome, e al contrario dei due di cui sopra, non vi faranno sentire come Richard Ramirez che cammina di notte in cerca della prossima vittima quando lo sentirete in cuffia per strada. Belle atmosfere però, con assoli di chitarra senza chitarroni distorti e plasticosi come quelli che ahimè abbondano in certi dischi synthwave soprattutto ultimamente, ma belli e melodici e che calzano a pennello in pezzi come Red Eyes, dall’album Hyperion. Ogni tanto fa pure capolino un synth che ricorda le atmosfere create da un organo hammond. Questo è l’unico album loro di cui ho conoscenza e vi prego di commentare se mi son perso qualcosa nel mentre.

E chiudiamo, per oggi, con l’australiano DROID BISHOP (e chi non intende la citazione si vergogni), che ha già all’attivo sei album di cui però conosco solo Beyond the Blue del 2014 e Lost in Symmetry del 2016, disponibili sia su Spotify che sul sempre ottimo Bandcamp. Sono questi begli esempi di una wave melodica e cibernetica che vi riporterà sulle stesse strade intraprese da gente come l’ottimo Nightstop e i più classici synthwavers in senso stretto, in un mondo di videogames e dance coinvolgente.

Vi invito come sempre a lasciarvi suggerire da Spotify e ad ascoltare, scoprire e farvi trasportare da un genere ricco di emozioni e pieno di sorprese. E soprattutto a continuare a segnalare nuovi nomi e dischi.

Until next time… (Piero Tola)

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