R.I.P. Giuseppe Lippi [1953-2018]

Matteo Cortesi: Come una cattiva traduzione sa rovinare totalmente il migliore dei libri, altrettanto una corretta traduzione può far viaggiare a velocità pari quando non superiore rispetto al già sovrumano originale. È il caso con Giuseppe Lippi e Vittorio Curtoni, inscindibili l’uno dall’altro per maestria, interessi e raggio d’azione. Verso entrambi, il mio debito è a dir poco immenso, impossibile da ripagare: grazie al primo sono entrato in contatto con Lovecraft nella migliore forma possibile nel pieno degli anni formativi, lo stesso con Philip K. Dick per il secondo. Insieme, Lippi e Curtoni hanno condiviso un lungo tratto di strada, rendendo infinitamente migliori le esistenze di chi è nato e vive in Italia e coltiva un interesse verso varie forme di letteratura deragliata che vada un minimo oltre la semplice frequentazione – certo Lovecraft e Dick, ma pure Heinlein, Matheson, Sterling e molti altri grazie ai quali l’abuso di droghe pesanti diventa del tutto pleonastico. Non sono esistiti in Italia traduttori migliori nell’ambito. Vittorio Curtoni è morto il 4 ottobre 2011, Giuseppe Lippi il 15 dicembre 2018; Scorrete lacrime, disse il poliziotto, Il Caso di Charles Dexter Ward (oltre ovviamente all’integrale dei Racconti), il tutto rigorosamente in edizione Mondadori, solo alcune dimostrazioni di quanto nessun altro saprà fare di meglio mai.

Trainspotting: Ho conosciuto Giuseppe Lippi un mese fa, al Lucca Comics. Teneva una conferenza chiamata “I tre moschettieri di Weird Tales”, incentrata su Robert Howard, H. P. Lovecraft e Clark Ashton Smith. Ero sinceramente emozionatissimo, tanto da presentarmi lì con mezz’ora di anticipo per paura di non trovare posto. Invece, in quel padiglione dove ci saranno state sì e no 40 seggiole, c’era ancora spazio libero quando lui ha cominciato a parlare. Lo avevo da anni tra i contatti di Facebook, quindi sapevo che non stava passando un eccelso periodo di salute: da un po’ troppo tempo postava foto di lui attaccato alla flebo, in qualche camera di ospedale, sempre però con quel suo tipico sorrisino distaccato come di chi in realtà sia da tutt’altra parte e si stia divertendo un mondo. La conferenza è durata un’ora in cui ha parlato solo lui, spiegando alla piccola ma partecipe udienza lo stile, il contesto e le relazioni tra questi tre autori, a cui lui aveva dedicato la vita. Ne parlava con il suo solito distacco, sempre sorridendo, con un filo sottile di voce, spesso dimenticandosi del microfono, come se tutto ciò che gli era intorno non importasse. Alla fine della conferenza mi sono avvicinato a lui, con un’evidente emozione che poco si addiceva alla mia veneranda età, e ho cercato di spiegargli in poche parole cosa lui rappresentasse per me. 

Per un certo periodo di tempo, più o meno coincidente con la mia adolescenza, Giuseppe Lippi ha avuto un’importanza fondamentale nella mia vita, perché in pratica decideva cosa io dovessi leggere; e credetemi: da ragazzino leggevo parecchio. Lippi è stato per quasi trent’anni il curatore della collana Urania Mondadori, di cui scriveva spesso le introduzioni, oltre a occuparsi sovente delle traduzioni. È stato il principale araldo italiano di Lovecraft, autore per cui aveva una venerazione e di cui conosceva a menadito la produzione; e proprio Lovecraft è stato uno dei miei primi amori, in un periodo in cui era ancora lontanissima la moda dei Grandi Antichi che oggi si estrinseca in magliette con polipi antropomorfi e altre amenità. Ma a Lippi devo tantissimo altro, e la mia libreria traboccante di Urania è lì a testimoniarlo, come un mausoleo solenne a questo piccolo cilentano trapiantato da anni in Lombardia, tra Milano e Vigevano. Qualche mese fa lo intravidi vicino a casa mia, alla stazione di Porta Genova: stava probabilmente aspettando qualcuno, con delle buste della spesa in mano e l’aria svagata, sempre con lo stesso sorrisino sardonico. Aveva 65 anni, ma ne dimostrava almeno dieci di più. Non ero sicuro fosse lui, e non mi fermai ad importunarlo. Ora me ne pento tantissimo.

Ho provato a condensare tutto in un minuto, quando l’ho avvicinato a Lucca. Lui è rimasto lì a guardarmi, sorridendo sornione mentre io balbettavo cercando di trovare le parole giuste per spiegargli cosa lui rappresentasse per me ma sforzandomi di non essere troppo patetico. Gli ho detto che mi avrebbe fatto un piacere enorme collaborare con lui e con Urania in qualsiasi modo, anche a titolo gratuito. Mi ha risposto di inviargli un messaggio privato con il curriculum, cosa che io ho fatto pochi giorni dopo, accludendo una traduzione, scritta per l’occasione, di The demon of the flower di Clark Ashton Smith. Mi ha risposto subito, molto educatamente, spiegandomi che l’avrebbe fatta vedere ai suoi capi, perché dal primo di gennaio 2018 lui non era più il curatore di Urania ma semplicemente un consulente. L’ho ringraziato, rinnovandogli la mia stima. E questa è stata l’ultima volta che mi è stato concesso di parlargli. Tutto ciò che mi rimane ora è l’amara consapevolezza di vivere in un mondo un po’ peggiore rispetto a quello di due giorni fa, un mondo che non ne vuole sapere di migliorare. Lui probabilmente lo sapeva, ed è per questo che si è impegnato così tanto ad aprirci portali verso altri mondi. Grazie ancora, per tutto quanto.

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