Avere vent’anni: RHAPSODY – Symphony of Enchanted Lands

Quanti di quelli che seguono con costanza questa rubrica non aspettavano altro che la recensione di Symphony of Enchanted Lands? Di certo è una delle recensioni che più aspettavo io, anche se è a me che tocca l’ingrato compito di scriverla e cercare di spiegare in queste poche righe l’enorme portata che questo disco ebbe sulle nostre vite. Io avevo diciassette anni da poco compiuti, e all’epoca, dopo pranzo, andavo con lo scooter a studiare da un mio compagno di classe che abitava a qualche centinaio di metri da me. La mattina di quel lunedì 5 ottobre, però, avevo preso Symphony of Enchanted Lands nel mio negozietto di fiducia, ordinato per tempo e aspettato come una suora aspetta la visita del papa nella propria parrocchia; saltai quindi l’appuntamento col mio amico e, nei giorni successivi, mi portai sempre dietro il booklet, così da impararne a memoria i testi anche lontano dallo stereo. Da allora tutto è cambiato, e intendo proprio tutto: l’unica cosa che è rimasta uguale a sé stessa è la fascinazione adolescenziale che provo per Symphony of Enchanted Lands, una tra le pochissime costanti che nella mia vita, in mezzo a mille cambiamenti più o meno radicali, mi tiene attaccato allo scoglio di verghiana memoria staccato dal quale cesserei di esistere come individuo. Ora ditemi che non è anche per voi così. Ditemi che voi, che lo avete amato ai tempi, non ne avete la stessa identica affezione cieca anche oggi. 

Del resto, se lo splendido Legendary Tales era stilisticamente ancora un abbozzo di ciò che i Rhapsody avrebbero voluto fare, con Symphony Turilli e Staropoli hanno iniziato ad avere i mezzi per provare davvero a dare corpo alla propria idea di musica. Che è un’idea che veniva accusata di essere grossolana, pacchiana e ridondante, e probabilmente è anche vero: ma era la loro idea. Il fatto che nessuno avesse mai suonato come i Rhapsody prima di allora è una nozione che adesso può apparire scolastica, ma all’epoca si abbattè su di noi fino a lasciarci storditi. Non si era mai sentito nulla del genere, e per questo abbiamo lasciato passare in cavalleria le asperità più pecorecce della loro musica. Un pezzo come The Dark Tower of Abyss suonava pretenzioso e velleitario? Beh, però almeno loro ci avevano provato; e il risultato, al netto dei suoni plasticosi, delle parti narrate, dei campionamenti alla pasta e fagioli, era così sentito e appassionato che ci rapì il cuore. Anche perché sotto tutta la gigantesca mole di arrangiamenti e barocchismi c’erano delle melodie che avrebbero costituito il nostro immaginario musicale negli anni a venire.

Una su tutti: Emerald Sword. Una melodia che non se ne sarebbe mai più andata via, un inno generazionale, per quelli come noi l’unico vero possibile equivalente di Azzurro o Nel Blu Dipinto di Blu. Penso che anche chi odia i Rhapsody, sotto sotto, si sia ritrovato a canticchiarla senza neanche pensarci. E poi Eternal Glory, o Wisdom of the Kings, la mia preferita, con quegli intrecci tra chitarra e orchestrazioni; e ancora il climax nel ritornello di Riding the Winds of Eternity, e la magnificenza ridondante della traccia eponima in chiusura, in cui ci sono spunti per un altro mezzo album.

Symphony of Enchanted Lands, comunque, tra i dischi classici dei Rhapsody sarà considerato quello maggiormente vicino alla sensibilità di Alex Staropoli, da sempre dietro arrangiamenti ed orchestrazioni del gruppo. La mano di Luca Turilli si sente, ma è difficile non associare Symphony alla personalità del tastierista. Da qui il carattere più cerebrale e oscuro dell’album, e la sua differenza profonda con il precedente e i due successivi, musicalmente più diretti e concettualmente più semplici. Non so se sia Symphony of Enchanted Lands il mio preferito dei Rhapsody (anzi no, lo so: il mio preferito è Dawn of Victory), ma quello di cui sono assolutamente certo è che, senza i Rhapsody e tutto quello che hanno significato, la mia vita sarebbe stata diversa. Io stesso sarei stato diverso: più grigio, triste, disincantato. E anche oggi, da adulto, con tutti i problemi, le responsabilità, le delusioni, i grossi pali di cemento armato che la vita ti accatasta nel sedere, riascoltare i vecchi dischi dei Rhapsody riaccende in me una scintilla di quel periodo luminoso della mia esistenza in cui ai draghi, forse, in fondo, un po’ ci credevo sul serio. Grazie, Alex e Luca, grazie davvero. (barg)

12 commenti

  • mi ritrovo parzialmente in queste parole…personalmente fu “Legendary Tales” il disco dello sbrocco…era epico, grezzo, melodico, tamarro all’inverosimile. E’ chiaro che aspettai “Symphony Of Enchanted Lands” in totale devozione. Mi piacque moltissimo, c’è tutto quello che hai menzionato te, ma ho un po’ rimpianto la mancanza di quel furore inizlale presente nel debut. La suite del disco è il tipico brano che ascolto a ruota, ma poi mi scordo puntualmente…cmq quanto cazzo di tempo è passato…sob

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  • In un mondo perfetto dopo il goal di Grosso ai Mondiali al posto di Seven Nation Army avremmo tutti dovuto cantare Emerald Sword

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  • Bello, bellissimo, forse il miglior lavoro di sempre dei Rhapsody. Fu uno di quei dischi che ridiedero speranza al metal classico dopo la metà degli anni 90 e fu anche una valida alternativa al power con voci da castrato e doppia cassa a elicottero costante. Gli si perdonano volentieri la copertina da D&D coi colori troppo saturi e i travestimenti tardomedievali. In quei giorni fui fiero di essere italiano.

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  • anche io folgorato più dall’esordio che da questo. col tempo poi ho maturato un rapporto controverso col mio passato pauerone. certe band e certi album non li ho mai “rinnegati” (guardian, rage, gamma ray per fare qualche nome). per altre band invece preferisco mantenere un poco le distanze. e i rhapsody appartengono alla seconda fazione. se ascolto symphony ovviamente scende la lacrimuccia perché l’effetto amarcord è enorme e mi spunta il sorrisone e mi canticchio i ritornelli e gli stacchi parapapà. però c’è una parte del mio inconscio che un poco si imbarazza perché in quanto a pacchianeria siamo a livelli alti. che dire? forse dipende anche dal fatto che a me del fantasy non è mai fregato un cazzo

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  • Alberto Massidda

    Questo disco mi ha cambiato la vita. Più dei Blind Guardian. Basta, al mio funerale voglio che si suoni “Beyond the gates of Infinity”

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  • Io mai digeriti. Ma onore a loro.

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  • Bel mappazzone. Il primo era ancora rozzo e proprio per questo funzionava alla grande. Da qui in poi li ho sempre trovati indigeribili, pur con la loro personalità. Credo che sia stato in questo periodo che mi ruppi i coglioni del Power (classici a parte) e smisi di seguire le nuove uscite.

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  • Bellissima recensione, mi hai riportato indietro nel tempo… Buon 2020!

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