Avere vent’anni: STRATOVARIUS – Destiny

Se Visions sconvolse l’intero panorama metal mondiale in quanto pressoché inaspettato, dato che veniva da un gruppo di misconosciuti finlandesi autori di una serie di album apprezzati dagli appassionati di quel genere ma ignoti ai più, per Destiny l’attesa fu spasmodica. Gli Stratovarius a quel tempo erano visti come uno dei nuovi probabili gruppi-guida dell’heavy metal, per due motivi: da un lato iniziava a farsi strada la questione del rinnovamento generazionale, dato che il declino dei gruppi storici era ormai un fatto unanimemente riconosciuto; dall’altro la risposta americana del nu metal faceva storcere il naso a quelli che non si identificavano in quel tipo di sonorità. Per cui molti metallari tradizionalisti videro in Timo Tolkki uno tra i pochissimi ad avere il talento necessario a guidare il metal verso il nuovo millennio. Come detto, la risposta della Storia fu piuttosto impietosa al riguardo, con l’unica consolazione che i gruppi nu metal, col passare degli anni, finirono ancora peggio.

E quando Destiny finalmente uscì, dopo mesi e mesi di anticipazioni, studio report, interviste e indiscrezioni, fu una mezza delusione. Non per quanto mi riguardasse, quantomeno, ma generalmente il responso fu freddino. Si rimproverava all’album di avere meno impatto rispetto a Visions, come se i momenti di raccoglimento introspettivo di quest’ultimo non fossero altro che scorie di un passato semiamatoriale di cui liberarsi prima di entrare finalmente nella forma definitiva che avrebbe permesso alla band di interpretare pienamente il proprio futuro ruolo di headliner fisso dei festival europei. Invece Destiny accentuava ancora di più quel lato emozionale, mettendo in chiaro una volta per tutte che era proprio questo aspetto la caratteristica fondante degli Stratovarius.

È come se Timo Tolkki ci tenesse a chiarire l’equivoco: il disco si apre con la traccia eponima di dieci minuti, struggente ed enfatica nella prima parte e lenta nella seconda, uno di quei pezzi che di solito vengono posti in chiusura. Un terzo dell’album è composto da ballate, due molto belle (4000 Rainy Nights e Venus in the Morning), l’altra insomma (Years Go By). E in conclusione i nove splendidi minuti di Anthem of the World, in assoluto tra i pezzi più belli degli Stratovarius, un delirio ambientalista il cui giro iniziale dovrebbe essere usato negli stadi come coro al posto di Seven Nation Army. Il vero capolavoro è però il pezzo più scontato, S.O.S., il singolone spaccavetrine, forse l’apice della loro essenza in questa fase della discografia: ritmiche robotiche, melodie malinconiche da canticchiare per il resto della vita dopo un solo ascolto e nessuna, ripeto, nessuna vergogna nel pompare il suono con lo stesso criterio di un pezzo dance anni ’90. Per capire Destiny basterebbe analizzare S.O.S.: la batteria di Jorg Michael che sembra una drum machine – e suona come una drum machine – il basso sintetico di Kainulainen, le tastiere di Johansson costantemente impegnate a creare giri il più semplici e ficcanti possibile, Kotipelto che con una capacità vocale tutto sommato modesta riesce a interpretare magistralmente le sue partiture, e Tolkki che si limita sempre più, dando spazio agli altri membri, per il bene del Tutto e a maggior gloria di Dio. Perché poi gli altri pezzi sparati dell’album eccedono in un senso o nell’altro: la zarrissima No Turning Back rappresenta il loro lato più tradizionale, Rebel è troppo malmsteeniana, Playing with Fire e la bonus Cold Winter Nights, entrambe splendide, sembrano degli episodi estemporanei rispetto alla loro discografia; specie la seconda, dalle ritmiche decisamente allegre per i loro standard.

Nel 1998, e ancora per molti anni in là a venire, il mio preferito degli Stratovarius fu Visions. Da qualche tempo a questa parte, invece, ho scoperto che è proprio Destiny quello che preferisco. Certo, Fourth Dimension, Dreamspace e pure lo stesso Episode sono più strutturati, più profondi, più complessi in un certo senso; ma poche chiacchiere: quando voglio far tremare i vetri delle altre macchine ferme al semaforo con del power metal testosteronico metto su Destiny. Sarà limitato, monocorde, avrà dei suoni di plastica, ma anche per questi motivi mi sembra quello che restituisce più compiutamente lo spirito della band di Timo Tolkki, oltre ad avere, per me, la maggiore concentrazione di belle canzoni. Purtroppo quello che doveva essere il disco del botto definitivo degli Stratovarius, il loro ariete per sfondare le porte del mainstream e proiettarli nel giro grosso del metal, fu anche l’ultimo loro bel disco. Da questo momento in poi, il crollo verticale, in tutti i sensi. Fu davvero un peccato. (barg)

15 commenti

  • Ho sempre visto Destiny come l’idea che avevano gli Stratovarius dei 6 mesi di buio della Finlandia.
    Per quanto mi riguarda Episode non si batte, ma che bei tempi quelli…

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  • A memoria non mi pare che prima dell’uscita di “Visions” fossero poco conosciuti tra gli appassionati del genere. “Episode” non aveva fatto il botto, ma certamente non era nemmeno passato inosservato. Parlando poi di “Destiny”, rientro tra i delusi, e in seguito li ho proprio persi completamente di vista. All’epoca erano comunque in Italia un week end si ed uno no, quindi me li sono sparati dal vivo qualche volta ed erano bei tempi.

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    • sicuro, intendevo che prima di visions erano conosciuti quasi esclusivamente dagli appassionati del power metal, mentre da visions in poi divennero uno dei maggiori gruppi da copertina di rivista specializzata.

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  • Io sono sempre stato un animalaccio da “sottopalco” a torso ignudo, molesto e alticcio. Ai loro concerti c’era sempre un livello di educazione da parte del pubblico quasi irritante. E la stessa freddezza la riscontravo spesso anche nelle loro canzoni. Pur avendo vissuto nel pieno gli anni del pauer non li ho mai avuti molto in simpatia.

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    • Beh educazione…parliamone? Ricordo che nel gennaio del ’99 all’entrata per il loro concerto a Milano (di spalla gli Stigmata IV), ritardarono l’apertura cancelli di circa un ora e l’educatissimo pubblico in attesa sfondo letteralmente la recinzione. Credo fosse il PalaLido

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  • Candidato 5 Stelle

    Non è tanto la questione Stratovarius, che non mi hanno mai detto nulla, quanto il paragone con la scena”nu-metal”, che trovo un po’ azzardato, poi mi spiace essere in disaccordo con Trainspotting: nel ’98 uscì Follow The Leader, che ebbe una sua importanza, a prescindere dai gusti, e da lì a poco avrebbero fatto il loro ingresso nelle classifiche due lavori cone Toxicity e Lateralus (Ok, quest’ultimo non sarà catalogabile come nu-metal, ma credo si sia capito cosa intendo). Poi Fred Durst e compagnia cantante non erano esattamente gli apripista di quel sound, come gli Stratovarius non lo erano del power/speed, almeno io la vedo così.
    P.s.: chi ha stato a falsificare la finanziaria?

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    • nessun paragone né giudizio di merito, era per cercare di rappresentare la spaccatura che si era creata in quegli anni nelle giovani generazioni: da una parte quelli che credevano che il futuro del metal fosse la nuova ondata di power e in generale il recupero delle sonorità ottantiane, e dall’altra i figliocci di roots e dei pantera, diciamo così. e le due fazioni si insultavano apertamente. nello specifico del post, i limp bizkit li ho messi solo perché avevo un link a disposizione.

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  • non sono mai stato un grande fan degli stratovarius, ma ricordo che li andai a vedere per il tour di sos, perchè per un periodo ero andato in fissa con the kiss of judas ed il live del tour precedente (visions of europe). Nel mentre che sto scrivendo ho rimesso Destiny ed ancora mi ricordo alcuni passaggi, segno che sicuramente in passato l’ho ascoltato più di visions.

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  • Beh il limite di quest’album è di costituire un leggero passo indietro rispetto a Visions, mentre per anni la band era andata sempre a crescere, ma ciò non toglie che sia bellissimo.
    Col senno di poi è ovviamente l’inizio del declino della band, ma (per me) non è affatto l’ultimo album bello perchè dopo l’abbandono di Tolkki hanno fatto cose ottime, molto migliori delle ultime uscite con il buon Timo.

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  • Beh, se non fosse esistita Destiny non avrei MAI conosciuto il Metallo.
    2003: appena iniziate le scuole superiori ero il classico sfigatino bullizzato dai tamarri ritardati di PGold e cose del genere, quando a un certo punto la mia passione per Final Fantasy mi porta a scoprire il video sui filmati in computer grafica con quel pezzo di sottofondo. AMORE al primo ascolto, dopodiché Iced Earth, Blind Guardian e via discorrendo passati sui cd di dati che mi spacciava un amico.
    Anche se Destiny probabilmente non è il mio preferito della band è sicuramente ciò che ha dato la scintilla a gran parte di quello che sono oggi. Tanti auguri!

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  • disco che possiedo originale ma non riascolto da praticamente 20 anni… lo ricordo deludente appunto perché arrivava da due album clamorosi (più il live di cui già si è parlato… che bomba atomica)

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