VOIVOD – The Wake

Credo che la domanda sia una sola: fino a che età è possibile spaccare culi ed essere semplicemente ed inequivocabilmente la realtà più complessa, indecifrabile ed imprevedibile del panorama del metallo? Qualcuno può darci qualche delucidazione? A che età è lecito essere “bolliti”? Come facevamo a prevedere che dopo la perdita di una colonna portante come monsieur Denis D’Amour, i Voivod avrebbero ancora una volta ribaltato il tavolo della scena metal con Target Earth, e soprattutto continuato a farlo con questo successivo The Wake (passando per il bellissimo ep Post Society)? Eh?

Perché di questo si tratta: un disco difficile da catalogare, ancora una volta. Sci-Fi/ thrash/ progressive? Una domanda che è anche stupido porsi. Come si colloca nella storia del quartetto del Quebec? E soprattutto, come hanno hanno fatto a seppellire lo spettro del defezionario Blacky ancora una volta, creando, se possibile, musica ancora più spettacolare di quella contenuta su Target Earth? E chi c’è veramente dietro Daniel Mongrain? Un rettiliano? Un alieno?

Forse la pelle di questa grande, grandissima band è così coriacea proprio in funzione dell’aver vissuto così tante disavventure, come forse nessun altro gruppo sulla scena, e il passare oltre l’abbandono di un membro storico il cui contributo compositivo è sempre stato un marchio di fabbrica del proprio sound si è rivelato essere giusto un contrattempo, come evidente dalla qualità di questo enorme album.

Su The Wake si palesa un’impronta inedita nel suono irripetibile dei Voivod. Un’impronta nuova che rielabora gli episodi più metallicamente progressivi della discografia dei canadesi, tipo l’imprescindibile The Outer Limits, disco-clamoroso-ma-che-ve-lo-dico-a-fa’, ma che si sviluppa parimenti sulla scia della loro recente produzione.

L’impronta di cui parlo ha reso pezzi come Iconspiracy e la strepitosa, gigantesca, assoluta Sonic Mycelium le cose forse migliori che la band produce dai tempi di Phobos, epoca nella quale ancora una volta si erano reinventati con successo qualitativo ma ovviamente non commerciale, grazie all’apporto di Eric “E-Force” Forrest, che mi dicono essere in giro per l’Europa al momento con un set fatto di pezzi dell’epoca. L’ambizione (o sarebbe più giusto dire la sconfinata creatività) li porta stavolta anche ad inserire degli arrangiamenti d’archi in un album sicuramente meno esplosivo di Target Earth ma anche più versatile a parere mio.

La bellissima The End of Dormancy, con il suo mood cupo e il suo incedere marziale è, per esempio, un nuovo capitolo ancora nell’opera voivodiana, e mostri come il singolo d’apertura Always Moving danno esattamente l’idea di quanto di un altro pianeta siano i nostri. E parlo della complessità dei riff, dei cambi di tempo e della capacità di creare un atmosfera inquietante e siderale.

L’umiltà che li contraddistingue umanamente è totalmente ingiustificata, credetemi. Perché se davvero c’è qualcuno che se la può tirare fino a domani e oltre e che ne ha ben donde, amici cari, questi sono proprio i Voivod, con il loro genio musicale e l’immaginario da incubo interstellare. Allacciate le cinture: stiamo per entrare nell’ennesima nuova era di questa entità. E The Wake ne è il portale. (Piero Tola)

7 commenti

  • saturnalialuna

    L’unico grande segreto dei Voivod, secondo me, è quel grand’uomo di Michel Langevin che zitto zitto ha creato un immaginario e un modo di suonare irreplicabili.
    In più ha migliorato la nostra vita e questo album è fottutamente bello come ogni altra cosa abbiano composto e li amiamo e ciao.

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  • Come ogni disco degli Immensi, va ascoltato un po’ prima di assimilarlo e non poterne più fare a meno. Io ci sento più di qualche influenza ai limiti della fusion, probabilmente per via del lavoro chitarristico. Non se ne parla molto, ma hanno fatto un ottimo acquisto anche col nuovo bassista, visto dal vivo è veramente bravo oltre che di una simpatia e un umiltà degna degli Immensi.

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    • concordo sull’influneza! sono cose che si notano sempre di piu’ ad ogni ascolto. Mongrain fa un lavoro davvero intricato e particolare.

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  • come con gli Alice In Chains sto in lenta pasturazione…ma Obsolete Beings è stato il mio tormento estivo…

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  • Li ho sempre trovati un po’ difficili da digerire, sicuramente geniali e innovativi. Avevo preso i primi vinili sull’onda delle recensioni dell’epoca, e li ho visti solo una volta nell’87 di supporto ai Kreator, dal vivo sicuramente coinvolgenti, mi sembra il tour di killing technology (dovrei anche avere la maglietta se non sbaglio).
    Non li ho seguiti assiduamente, ma vedrò di ascoltare questo, dato che mi fido delle vostre recensioni.

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