Avere vent’anni: DIMMU BORGIR – Godless Savage Garden

Non sono solito dare molta importanza agli EP, anche se con alcuni di essi si capisce perfettamente cosa sta accadendo o cosa accadrà presto alla band che ne pubblica uno. Con i Dimmu Borgir, reduci dal successo – enorme e meritato – ottenuto con Enthrone Darkness Triumphant, vennero fuori alcuni aspetti che avevano dell’inquietante: in primis stava arrivando Mustis e ce lo presentavano in pompa magna nelle tracce registrate dal vivo. Non ho mai potuto sopportare quel tastierista: adoro Stian Aarstad, ma i postumi racconti sulla sua scarsa professionalità avrebbero parlato chiaro. In secondo luogo, era chiaro che il percorso da portare avanti fosse quello dei dischi intitolati con tre parole, una sicura chiave di successo mentre canzoni come Mourning Palace o Master Of Disharmony era lampante che non c’entrassero assolutamente niente col salto di fama post-Stormblast. I norvegesi si affidarono così ad un generatore casuale di nomi che avrebbe tenuto il gruppo sulla cresta dell’onda fino al 2007, e prima che un crash di sistema li costringesse alla pubblicazione di Abrahadabra, ed al contemporaneo cambio di sonorità per non farsi riconoscere facilmente dai fan scontenti di ciò. Godless Savage Garden va ascoltato principalmente per due motivi: la bellissima Moonchild Domain – cui fa eco il potente finale dell’altro inedito, Chaos Without Prophecy, che complessivamente è più debole della prima anzi maciulla ad hoc le palle dell’ascoltatore – e la riedizione di due brani di For All Tid sotto una veste che sinceramente preferisco all’originale. Il discorso vale sia per la thrasheggiante Hunnerkongens Sorgsvarte Ferd Over Steppene, sia nel caso del classico Raabjorn Speiler Draugheimens Skodde, quest’ultima tutta quanta sorretta da linee di tastiera semplicemente da urlo, a dispetto dei titoli di merda che sembrano film di Lina Wertmüller tradotti in norvegese. Accidenti a loro, ci ho messo un quarto d’ora per riscriverli.

“Metal Heart! Metal Heart! They Found It Everywhere!”

Se proprio vogliamo fare i tamarri apprezzeremo perfino la cover di Metal Heart degli Accept e la spareremo ad alto volume passando accanto a dei biker in sosta sul passo del Muraglione, prima che questi ultimi ribaltino a ragion veduta la nostra auto, gli diano fuoco e cuociano dei giganteschi große bratwurst sulle nostre rovine incenerite. Che cazzo posso dire ancora di Godless Savage Garden? È l’ultimo loro album prodotto da Peter Tagtgren con un minimo di dignità prima del fallout sonoro totale avuto su Spiritual Black Dimension, e l’ultimo che conserva ancora un briciolo della lucidità, della verve e della cattiveria che Shagrath e Silenoz avevano prima di diventare il più famoso e grottesco duo di puttanieri che si sacrificano sotto l’egida del metal estremo, cantando pulito, azzardando orchestrazioni ovunque e facendo cose meno bizzarre solo degli ultimi Therion. E comunque l’urlo di Shagrath Sons of Satan, gather for attack prima di attaccare Master Of Disharmony, a quindici/sedici anni mi fece collassare al suolo in preda alla goduria totale. Godless Savage Garden è il loro epitaffio prima di alcune cose salvabili che avrebbero caratterizzato i successivi due album, soprattutto Puritanical Euphoric Misanthropia, che era più zarro di una Peugeot 206 truccata, ma conteneva comunque ottime composizioni. (Marco Belardi)

4 commenti

  • Ho trovato questo lavoro in un negozietto di seconda mano, l’ho acquistato principalmente perchè ho apprezzato lo split fatto con gli Old Man’s Child intitolato Sons Of Satan Gather For The Attack, dato che non sono neanche io un ammiratore degli ep. Inutile chiedere il tuo pensiero sull’ultimo parto nella casa dei norvegesi.

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    • Eonian secondo me non è brutto, è solo fatto secondo le logiche commerciali delle etichette metal di punta di oggi. Tutto spinto all’estremo in maniera goliardica, e alla fine un disco che avrebbe potuto essere carino suona come una delle cose più imbecilli che hai sentito in vita tua. Comunque il migliore degli ultimi

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  • Se gli EP fossero tutti così (sulla falsariga inedito+cover+rifacimenti inutili+pezzi live), faremmo bene a bollarli come superflui, nel migliore dei casi. Ma per fortuna non è così e l’esempio è composto da tre parole: DESPISE THE SUN.

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