Sanguinanti acque profonde: intervista ai MESSA

Non so se a questo punto serva ancora presentare i Messa per quelli che effettivamente sono, cioè una band italiana al secondo album che suona un drone-doom sabbathiano e oppressivo: probabilmente i trevigiani sono ancora sconosciuti al grandissimo pubblico, ma ho fiducia che chi legge queste pagine abbia ben presente di chi stiamo parlando. Dopo un album bellissimo come Feast for Water, uscito pochi mesi fa, e soprattutto dopo la prestazione maiuscola al Tube Cult Fest, abbiamo ritenuto opportuno intervistarli per poterne parlare ancora una volta. Il nostro interlocutore è Alberto, chitarrista e membro fondatore.

Come descriveresti i Messa a chi non vi ha mai sentiti prima?
Sanguinanti acque profonde.

A proposito del precedente Belfry, diceste che la scaletta era divisa in coppie di canzoni. Parimenti, a chi chiedeva il perché della scelta di una voce femminile eterea accostata ad atmosfere malate e claustrofobiche, rispondevate che lo scopo era rappresentare un contrasto. C’è una ragione dietro a questa fascinazione per il dualismo oppure è solo una scelta estetica?
Per noi è una scelta musicale ed estetica a pari merito. La parte compositiva gioca sui contrasti tra piano e forte, e la tracklist è stata strutturata di conseguenza. Si possono notare accostamenti di dinamiche e di tonalità molto diverse tra loro. Il concetto è che questo dualismo in realtà riporta all’uno. Tutte le persone sono divise in due parti indipendenti ma unite, che vanno a creare l’unico. La stessa cosa succede con le nostre ‘coppie’ di canzoni. Al momento dell’ascolto ogni dualismo e oggettività scompaiono, non esiste più contrapposizione. Gli opposti diventano una cosa sola e congiunta.

Il campanile del lago di Resia rappresentato in copertina su Belfry simboleggia qualcosa di specifico?
Il campanile di Belfry ha un significato preciso. Il campanile chiama a sé i fedeli prima del rito. In questo caso, una volta riuniti sono trascinati nelle profondità del lago. Abbiamo concepito Feast for Water come diretto seguito di Belfry, è stato naturale procedere in questa direzione anche con le copertine dei dischi. 

L’acqua è il tema principale delle copertine, del titolo dell’ultimo album e anche del video di Leah. La zona da cui provenite, Treviso, fa parte di un’area che, dal delta del Po fino alla Laguna Veneta, è dominata dall’acqua. A causa di questa caratteristica ho sempre associato il vostro territorio – mutatis mutandis – alla foce del Mississippi in Louisiana, con tutto il carico di atmosfera che ne deriva. Del resto, esiste anche la leggenda (per quanto improbabile, ma ne fecero anche un documentario) che Lovecraft abbia iniziato ad avere questa fascinazione per il marciume derivante dall’acqua proprio da un suo viaggio in Italia, a Comacchio. Quanta parte ha l’acqua nel vostro immaginario, sempre a proposito del vostro processo compositivo?
Abbiamo utilizzato questo elemento chiave come riferimento sin dall’inizio della creazione di Feast for Water, come materia ispiratrice da seguire. L’acqua è essa stessa l’elemento dell’inizio, tanto semplice quanto potente. Può dare la vita e toglierla. Ci ha particolarmente colpito il senso di disturbato tepore e di ‘annegamento’ che appartiene all’acqua, in questo disco ci sono tutte le nostre sensazioni legate a ciò.
I timbri che abbiamo ricercato per questo disco rappresentano bene, a nostro avviso, le caratteristiche di questo elemento spettacolare che è l’acqua. Abbiamo cercato di far suonare tutto in maniera liquida, sommersa, partendo dell’utilizzo del Rhodes, passando per il mix/master e culminando nella fotografia della copertina.

Negli ultimi anni, in Italia, la scena doom, sludge, stoner ed affini è diventata molto fiorente e vasta, specie intorno a Roma e Milano. Sentite di essere parte di questa scena oppure ve ne considerate in qualche modo autonomi?
Non sentiamo di essere parte di alcuna scena, anche se abbiamo amicizie e affetti in giro per l’Italia. Al di fuori della nostra regione abbiamo creato legami con molte persone. Crediamo, più che in una scena, nel rispetto reciproco e sulla condivisione.

Insistete molto sul carattere femminile della band. Perché?
Crediamo nella dualità dell’essere e nella congiunzione di aspetti apparentemente antitetici. Maschile e femminile sono rami intrecciati, elementi sostanziali della stessa natura umana. In un mondo generalmente imperniato sul concetto di patriarcato e sorretto dall’idea di una presunta superiorità dell’uomo, riteniamo importante prendere una posizione equanime sull’argomento. Per dirla con Aleister Crowley, “Every man and every woman is a star“.

Il vostro ultimo singolo si riferisce a Leah Hirsig. Come mai? Sei interessato all’occultismo crowleyano?
Alcuni di noi sono genuinamente interessati a certi campi, mettiamola così. Quel testo è stato scritto nel corso di una visita all’abbazia di Thelema, a Cefalù, ed è un tributo a una figura femminile decisamente fuori dagli schemi dell’epoca.

Dato che i membri della band vengono da esperienze musicali anche molto diverse, siete tutti e quattro parte attiva del processo compositivo dei Messa oppure c’è qualcuno che è stato “reclutato” semplicemente per la propria bravura con lo strumento?
Ognuno di noi è fondamentale per la creazione dei brani, siamo tutti parte del processo compositivo. Ciascuno può esprimere la propria opinione musicale. Spesso ci scontriamo, ma dalle nostre caotiche scintille nasce spesso qualcosa di interessante e sperimentale che mette inaspettatamente d’accordo tutti.

Cosa avete in programma per il futuro?
Siamo appena tornati da un tour europeo che è andato benissimo e di cui siamo molto felici. Saremo di nuovo on the road ad ottobre di quest’anno, mentre durante l’estate suoneremo in alcuni concerti singoli e in festival.

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