Music to light your joints to #22: erba di casa mia

A circa un anno dall’irrompere sul mercato nazionale della cannabis light, è d’uopo tracciare il bilancio di questa importante innovazione socioeconomica andando a recuperare alcune delle uscite tricolori più interessanti in campo di musica per psiconauti e affini. É dunque tempo di un’altra edizione tutta italiana della rubrica più amata dalle società di temperanza. Anche perché la stagione calda, si sa, è sempre quella più adatta per dedicarsi a queste sonorità. Ecco quindi una colonna sonora perfetta per il vostro collasso estivo.

Iniziamo da Light Cut, secondo lp degli eccezionali AIKIRA, band abruzzese della quale mi innamorai follemente dopo averla scoperta al Tube Cult, costringendo praticamente chiunque mi capitasse a tiro nei mesi successivi ad ascoltare il loro splendido esordio, uno dei migliori lavori usciti nell’ultimo lustro dall’Italia in campo postqualcosa. Light Cut è un disco più personale e meno immediato. La band di Tortoreto si è ulteriormente emancipata dalle analogie con i campioni della scena post-rock e post-hc strumentale, Pelican in testa, allargando il proprio spettro d’influenze e aumentando il peso delle componenti psichedeliche, noise e ambient. Il risultato è un ascolto meno facile e ma dalla potenza evocativa ancora superiore, che ha nelle geometrie escheriane che ornano la copertina il miglior biglietto da visita possibile. Se già Aikira era molto più dell’ennesimo viaggione basato sul riff reiterato, qua la varietà di atmosfere inquieta e spiazza chi si attendeva un trip rilassante, e il lavoro su effetti e arrangiamenti è più raffinato, segno dell’avvenuta maturazione. Da avere.

Un nome, una garanzia I BLACK RAINBOWS si sono fregiati da poco dell’endorsement di lusso di Dave Wyndorf dei Monster Magnet, e questo ci dà la misura sia di come i romani siano diventati tra i principali ambasciatori all’estero della via italica al fuzz, sia – più in generale – di quanto la nostra scena sia apprezzata e riconosciuta oltre confine come una delle più eccitanti e affollate d’Europa (e, se seguite blog come The Obelisk, saprete che non sono io che mi sto facendo pippe campaniliste). Pandaemonium è il sesto disco del trio capitolino, che vede ormai il chitarrista e frontman Gabriele Fiori come unico membro originale superstite, e prosegue il discorso avviato con Hawkdope: sempre meno hard’n’blues (per quello c’è il side-project Killer Boogie, anch’esso fuori da poco con un disco nuovo) e sempre più space rock, con una scrittura più essenziale che lascia emergere con maggiore forza gli episodi sperimentali, a volte dal sapore ottantiano (certi riff vagamente Nwobhm e soprattutto Grindstone, che per qualche motivo mi ha ricordato i Killing Joke). Non mancano i consueti, salutari trip hawkwindiani come Supernova & Asteroids e la conclusiva 13th Step of the Pyramid, forse la mia preferita.

Restiamo in casa Heavy Psych Sounds con il secondo disco dei torinesi TONS, dediti a uno sludge ossessivo e drogatissimo con un simpatico sottotesto goliardico a base di titoli citazionisti come Abbath’s Psychedelic Breakfast a Those of the Unlighter. I riferimenti al black non finiscono qui: le atmosfere sono sinistre e la voce è uno screaming lancinante. Il debutto del 2014 Musineé Doom Session Vol. 1 era più vario, con più accelerazioni ma meno mirato, maturo ed efficace. Filthy Flowers of Doom è molto meglio anche perché più monolitico e giocato sui riffoni lenti e strascicati. Riffoni che saranno pure sempre quelli ma sono quelli giusti, e i brani riescono a essere sorprendentemente catchy per un genere che fa dell’osticità e del coefficiente di disturbo una delle sue caratteristiche distintive. Finora una delle migliori uscite dell’anno nell’ambito del filone, e mica solo in Italia. Accattatevillo, nell’auspicio di beccarli dal vivo il prima possibile.

Torniamo nell’Urbe con i FVZZ POPVLI, che vedono coinvolto una vecchia conoscenza della scena come Francesco Pucci (The Wisdoom, Beesus) e in questi giorni sono in studio per registrare il secondo disco. Siccome noi siamo una manica di fattoni, recensiamo solo ora il debutto Fvzz Dei, uscito lo scorso anno. Stoner rock acidissimo dai toni noise e vagamente melvinsiani, tanto nella scelta dei suoni quanto nelle timbriche vocali alla carta vetrata. L’ossatura dei pezzi è invece abbastanza classica, tra lunghe e allucinate fughe psichedeliche (Hashish, gli oltre 10 minuti di Shamother) e tempi più sostenuti (Lost in Time), dove la componente blues zozza prevale su quella heavy psych e viene spezzata la tensione accumulata nei frangenti più narcotici e dilatati. Il mio pezzo preferito è forse la torbida opener Stamps Are for… Smile, dove le due anime meglio convivono.

Sono invece al terzo full i toscani MR. BISON, power trio che prende il nome dal supercattivo di Street Fighter, cosa che apprendo solo leggendo qua e là dato che non ho mai capito una mazza di videogiochi. La caratteristica distintiva della band di Cecina, vista di recente in giro con i Radio Moscow, è l’assenza di basso, alla quale si supplisce con una seconda chitarra e un notevole lavoro sugli effetti. Purtroppo, da bassaro più o meno dilettante, la cosa mi suscita un minimo di pregiudizio negativo e il suono è giocoforza meno corposo di quanto avrebbe potuto essere altrimenti. Ciò detto, le nove tracce di Holy Oak sono un buon sollazzo revivalistico, che guarda alla tradizione blues rock di fine anni ’60, sia britannica che americana, con qualche azzeccata virata psichedelica. Da una parte, mi viene da pensare che ottimi pezzi come Sacred Deal con le quattro corde di mezzo sarebbero diventate delle autentiche bombe, dall’altra è pur vero che senza questa particolarità i Mr. Bison sarebbero un gruppo decisamente più convenzionale.

Ci salutiamo con un’anteprima da quello che sarà l’esordio da solista di Urlo, basso e voce dei supremi Ufomammut. THE MON promette atmosfere meno cupe e ossessive di quelle alle quali ci ha abituato la band madre ma altrettanto oniriche e suggestive. Attendiamo con fiducia. Doom or be doomed. (Ciccio Russo)

4 commenti

  • Urge nuovo episodio…con erba straniera!

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  • Grazie Ciccio, per la solita infornata. I Black Raimbows sono una bomba. I The Mon ad un primo ascolto non mi stanno super prendendo, ma proverò a dargli del tempo, per vedere se è solo la prima impressione. Vuoi condividere con noi la tua cotta non tanto segreta, per Diana Melison?? Posti una sua foto, ogni volta che scrivi questa rubrica.. Ed effettivamente, da estimatore della bella fanciulla che sono anch’io, non riesco a darti torto..
    Continuando con le cose che non centrano nulla con la musica, ho trovato un tuo articolo sull’economia europea. Dopo averlo letto tutto, noto la firma e penso “ma dai, c’è un omonimo di Ciccio Russo, che scrive di finanza.. ” Poi la cosa mi puzzava e mi incuriosiva troppo, clicco sulla firma e arrivo sul tuo twitter… Complimenti!!

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    • In realtà confesso che non conoscevo nemmeno l’identità della tipa, è che si presta all’argomento della rubrica.

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      • Ah ok, sono io che sono saltato alle conclusioni troppo in fretta. Comunque sì, questo è il suo nome. E’ una “modella” di origini russe. La classica tipa che non volendo trovarsi un vero lavoro e in virtù del fatto che madre natura l’ha fatta figa, vive facendo servizi fotografici, non troppo timorosa di svestirsi abbondantemente. Comunque bella figliola. Ottima scelta.

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