Dischi da fare uscire nel periodo delle Comunioni: GHOST – Prequelle

Voglio andare un po’ controcorrente: Meliora è stato un discone con i contro coglioni ed i Ghost dureranno una fatica bestiale a superarlo, ma è Infestissumam che mi sorprese come poche cose oltre il duemila. Per capire, apprezzare o nel peggiore dei casi giustificare l’enorme successo della band di Tobias Forge occorre prendere in esame il loro secondo disco, perché è lì che gli svedesi hanno fatto sfoggio della loro più innata e invidiabile dote: la smisurata paraculaggine nello scrivere singoli di successo. Se faccio retromarcia e ripenso ai migliori brani usciti fuori da Opus Eponymous e dalla sua rappresentativa Stand By Him in poi, giungo in un attimo alla conclusione che nel breve volgere di quattro album condensati in un decennio scarso, questi qua hanno partorito abbastanza materiale da comporre – con esso – uno di quegli insostenibili greatest hits che andavano di moda fra le big band degli anni Ottanta. Ed è con Infestissumam che hanno fatto il salto, e non tanto perché le hit non erano più un paio ma, senza esagerare, quattro o cinque, dominate dalle celebri Secular Haze e Year Zero. Bensì per un cambio radicale nell’approccio alla composizione dei brani, sempre più orecchiabili e diretti oltre che impreziositi da un sound – direi finalmente – distaccatosi da quei connotati da gruppo di culto retrò che li aveva caratterizzati agli esordi. Quando erano certamente più tetri e in linea col proprio aspetto grottesco, se non ai limiti della baracconata totale, ma anche meno efficaci. Meliora andrà ancor più in direzione del ritornello da urlare in coro ai concerti e farà totalmente centro, ma è con le sue chitarre massicce che finirò per trovarlo un po’ intento ad accontentare tutti, e meno coraggioso del predecessore. Si arriva dunque al cambio di outfit per il Papa di turno e, dopo il caos processuale che ha investito Tobias Forge non molto tempo fa, si torna anche in carreggiata con un disco probabilmente con più palle di Meliora, sicuramente più eterogeneo di Meliora, e sempre per paragonarlo ad esso, un po’ meno bello e aggressivo.

Lungi dal voler stroncare un album che in questo momento piazzerei senza problemi nella top ten di un’annata che sta procedendo a gonfie vele, Prequelle vanta la migliore produzione sinora ottenuta dai Ghost: una batteria finalmente in evidenza e suoni potenti e che seguono, piuttosto che accodarsi agli standard metal attuali, quelli rock di fine anni ottanta e primissimi novanta. Che prevedevano – e prevedono qui – un rullante che bombarda ogni cosa, e che solo le tastiere, quando presenti, vanno a sovrastare. E poi chitarre raffinate, con una sezione solista che specialmente nella prima metà della scaletta ci mostra i Nameless Ghoul finalmente più band che in passato, sempre che una presunta o reale situazione ai limiti del caporalato non mandi nuovamente tutto a puttane all’apertura della prossima busta paga. Il miglioramento dei Ghost intesi come band non è nelle doti dei singoli, ma nelle concessioni alla fantasia e ad una posizione maggiormente sotto ai riflettori che, soprattutto in occasione delle prime pubblicazioni, erano stati tutti quanti per l’indiscusso frontman. E poi lo stile, che passando per un brano canonico e riuscito come Rats, strizzerà l’occhio agli anni Ottanta anthemici, a quelli bagna passera, ed a quelli da stadio senza trascurare l’aspetto progressive (una strumentale clamorosa come Miasma, che ruota tutta attorno a un unico pattern senza annoiare mai). A Prequelle non mancano i ritornelli e l’immediatezza, come in Dance Macabre, solo che inizia discretamente aggressivo e volta pagina un po’ presto, perdendo un po’ di mordente nel finale anche a causa della seconda, folkeggiante composizione interamente strumentale che troveremo, e che mi ha spiazzato senza entusiasmarmi come la precedente e dirompente Miasma.

Prequelle scontenterà alcuni dei sostenitori totali di Meliora ma è ugualmente un disco interessantissimo e che apre nuovi scenari ad una band in costante evoluzione, e che non si crea problemi nel collegarsi a cose che piacciono al suo leader o che lo hanno formato nei decenni: un tempo il doom più tradizionale, poi il progressive, quindi l’hard rock, e non mi vergogno affatto di nominare la parola pop in circostanze come la loro. I Ghost devono essere il nome in cima ai festival del futuro, e sono quasi certo che non abbiano ancora finito di scrivere le pagine più importanti e luminose della loro storia. Comunque vada, e qualunque cosa decida di citare o approfondire Tobias Forge, usciranno singoli di successo e non sarà il loro look o approccio mediatico a meritare di frenarvi, poiché ammetto che al tempo di Opus Eponymous ero scaduto in prima persona nel bollarli come un branco di cazzoni allo sbaraglio, senza neanche averli ascoltati con un minimo di attenzione. E forse solo allora si poteva, data l’incredibile immediatezza di tutto il materiale futuro. Per chiudere, se anche in Prequelle di questi potenziali pezzi da greatest hits ne individuo all’incirca tre, la missione può dirsi di nuovo compiuta. Ma Infestissumam, la sua spontanea ruffianaggine e la sua – chiamiamola così – “onnipresente patina”, erano stati per il sottoscritto un’altra cosa, un altro tipo di impatto. Era molto difficile succedere dignitosamente a Meliora: i Ghost lo fanno senza sfigurare, producendo un altro buonissimo disco, ma fanno con esso un piccolo passo indietro. E’ la Svezia del 2018 che fa il culo un po’ a tutti, in cui i Necrophobic hanno un tiro pazzesco e scrivono cose che ti entrano in testa all’istante senza rinunciare al Male, in cui i Tribulation sono sempre più furbi ed efficaci, e poi ci sono loro, solo al quarto disco e senza più alcun bisogno di presentazioni. (Marco Belardi)

10 commenti

  • il bello di questa entità artistica è che non indulge nella pedissequa reiterazione degli schemi ma crea di vlta in volta album diversi, caratterizzati e ben distinguibili l’uno dall’altro. con la rassicurante conseguenza che ce ne sono buoni e meno buoni, ma tutti indispensabili, come ai bei tempi della gioventù ( mia e , penso, di molti altri )

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  • Paraculi all’inverosimile, clowneschi, maestri di marketing (ciao Lars…), troie d’alto bordo.
    E soprattutto irresistibili. Il disco è irresistibile. Lo dico dal vertiginoso ‘alto’ dei miei 44 anni e dai più di 30 spesi dietro al baraccone metal.

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  • Il disco dell’anno, finora, per quanto mi riguarda. Sono l’unico gruppo del nuovo millennio (assieme ai Darkthrone) che ancora mi entusiasma come quando avevo 16 anni e sono gli unici che partoriscono ritornelli che non mi fanno dormire la notte. Tobias Forge è un genietto e lo rispetto ancora di più in quanto continua, nonostante l’enorme successo, ad omaggiare con grande gusto il più truce metallo…non vi ricorda niente la copertina?

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  • A me sembra un “Trash” o un “Hey Stoopid!” del terzo millennio. Immagino sia un complimento.
    In ogni caso, la qualità sonora del disco è ben più che una spanna al di sopra delle uscite metal contemporanee: i Ghost hanno capito la lezione sull’importanza del produttore (e dell’autore del missaggio, qui nientemeno che Andy Wallace), al contrario di praticamente tutti i gruppi al giorno d’oggi, chi per mancanza di soldi e chi per boria. Ulteriore punto a loro favore.

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    • Marco Belardi

      Mancanza di soldi per me è un 99%, aggiungi che oggi con un basso budget ottieni risultati molto simili fra loro ma comunque puliti, e la gente accontenta… la produzione qui è ottima, davvero

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      • Vero. Ma il produttore non si limita a far suonare bene qualcosa solo dal punto di vista fisico-acustico, ma anche e soprattutto da quello artistico-musicale, ed è qui che risiede l’intelligenza della scelta dei Ghost, secondo me: hanno scelto gente che sa come far suonare bene un disco ma anche come aiutarli ad assecondare al meglio il loro istinto per le melodie di stampo pop anni Ottanta; per il resto c’è Andy Wallace, e non è un caso se Kurt Cobain non l’ha mai perdonato per la ripulitura in extremis del suono di “Nevermind”.

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      • Marco Belardi

        È una figura importantissima e che credo meriterebbe di essere valorizzata di nuovo, dopo la standardizzazione a cui abbiamo assistito nell’ultima decade. Spero in una nuova generazione all’altezza, qualche nome c’è ma se i gruppi non hanno i budget per molti tanto vale fare in casa, o poco ci manca… sentiti l’ultimo kreator e spiegami il senso (al contrario di quello che giustamente sostieni tu) di farlo suonare uguale a tanto dischi di tanti generi metal diversi degli ultimi anni… lì perde senso la figura del produttore, anche se bravo

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      • Vedo che ci capiamo. Ma mi sa che è una cosa di noi che ascoltiamo, o almeno abbiamo iniziato ad ascoltare, musica da supporto fisico, e quindi abbiamo potuto/dovuto renderci conto delle differenze di resa sonora. Per chi ha cominciato nell’era del digitale questi problemi perlopiù degradano a sottigliezze o bizantinismi. Peccato; e però meno male che c’è gente come i Ghost, che fa questo investimento (perché di investimento si tratta, alla fine). Anzi, visto che buona parte della questione riguarda la sostenibilità economica per un gruppo della scelta di usare un produttore, chissà cosa accadrebbe se si creassero coaguli di fan che propongono al gruppo di comprare il disco su supporto fisico se sarà prodotto da un produttore (o perfino dal produttore tal dei tali), tipo crowdfunding.

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  • Purtroppo i “Mutt” Lange non nascono ogni due per tre. Virando sui Ghost, io li trovo fighissimi. “Dance Macabre” è una paraculata pazzesca, ma la ascolterei per tre giorni di fila senza stancarmi.

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  • saturnalialuna

    Ok, dopo averlo ascoltato per dieci giorni mi posso esprimere. I primi due ascolti sono stati disastrosi, ma dal terzo in poi ho smesso di ascoltare qualsiasi altra cosa.
    Lo trovo spettacolare da ogni punto di vista, anche da quello della paraculaggine.
    Non riesco a non amarli, ad avercene altre di band così acchiappone ma comunque valide in questa metallica landa desolata!

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