Musica da camera ardente #15: CAMERATA MEDIOLANENSE – Le Vergini Folli

Una mattina ti svegli e ti rendi conto che su queste pagine non abbiamo mai parlato dei Camerata Mediolanense. Occorre rimediare immediatamente, anche perché l’anno scorso è uscito Le Vergini Folli, che uno degli album più belli mai creati dai milanesi. La band merita un minimo di inquadramento generale, però, a cominciare proprio dalla proposta musicale. I capisaldi più noti della produzione Mediolanense, che occorre recuperare il prima possibile se siete totalmente all’oscuro di tutto, sono fondamentalmente tre: Campo di Marte, Vertute, Honor, Bellezza e il qui presente Le Vergini Folli, che rimescola completamente la carte e ribalta le certezze che avevamo sullo stile dei meneghini. A dire il vero, il primo album composto è Musica Reservata e non rientra tra i miei preferiti perché, soprattutto riascoltato oggi, presenta qualche eccessiva ingenuità, sia nel cantato che negli arrangiamenti. Certo, contiene anche alcune intuizioni davvero notevoli. A testimonianza di ciò cito i brani Il Lupo, Steganografia, La Madre Cattiva; tamburi, neofolk, minimalismo, ritmi ripetitivi, nonché marce medievali, ambientazioni e tematiche che riportano alle tradizioni dell’Italia settentrionale. Queste le caratteristiche principali dell’iniziale stile Mediolanense (è un esempio di questo minimalismo il brano Esecuzione di quattro minuti di soli tamburi che danno il ritmo, appunto, all’attuazione di una immaginaria condanna), alcune delle quali sono arrivate fino ad oggi. 

Il sonno è ’n bando, et del riposo è nulla, ma sospiri et lamenti, infin a l’alba, et lagrime che l’alma a li occhi invia.

Nel complesso, però, il primo è un disco che va contestualizzato rispetto al periodo in cui uscì (parliamo del 1994), ed all’evoluzione che ha avuto la band sia da un punto di vista strettamente tecnico/compositivo, sia nella capacità di creare atmosfere potenti e momenti di contemplazione, come avvenuto nel successivo Campo di Marte, l’album che ci consegna una band definitivamente formata e con una personalità assolutamente unica. Questo è l’album preferito da molti, infatti, e forse anche da me (anche se queste Vergini hanno rimesso in discussione la mia ideale classifica). Quei tamburi e quelle marce, che rappresentano il centro dell’identità musicale dei Camerata, quasi mancano in Le Vergini Folli: diceva Trevor in una vecchia intervista “trovo che le percussioni al giorno d’oggi siano suonate in maniera prevalentemente etnica: non apprezzo ciò e preferisco un suono scuro e europeo che è quello che in realtà proponiamo noi”. Elementi di cui, a dispetto di ogni possibile attesa, non si avverte la mancanza. L’ultimo album è un concentrato di poesia e di atmosfere malinconiche e romantiche che lasceranno, forse, in sospensione chi era rimasto fermo a Guerriero, Balcani in fiamme, alla stessa Il Trionfo di Bacco e Arianna (Quant’è bella giovinezza) o anche, per far un esempio più recente, a Canzone all’Italia del precedente Vertute, Honor, Bellezza.

Io vidi accostarsi all’oscuro mio letto, dalle porte raggianti, io vidi il puro angiolo della morte. Una dorata ciocca velava gli occhi suoi, rideva la sua bocca sorridendo: «Mi vuoi?»

Per capire bene, però, come si è arrivati fino a qui io credo che sia imprescindibile passare anche per quei momenti forse meno noti, come ad esempio Madrigali con le sue stupende Madrigale, Canto di Popolo, o il rifacimento di Lili Marleen (la stessa canzone tedesca divenuta celebre nella II Guerra Mondiale, che magari qualcuno ricorderà perché citata da Battiato in Alexanderplatz), o Madchenlied, una versione elettro-dark del Canto di Fanciulla (musiche di Brahms e testi di Heyse). Ma non farei neanche l’errore di sottovalutare la trilogia dedicata al V Canto dell’Inferno. Quell’evoluzione che, se vorrete approfondire le altre composizioni dei milanesi, vi condurrà, dunque, in un viaggio che dall’iniziale impianto neofolk, darkwave, pagano e marziale, industrial e rumoristico, arriva all’odierna dimensione neoclassica, romantica e barocca.

Scrissi con stile amaro, aspro e dolente un tempo, come sai, contra Fortuna, sì che null’altra mai sotto la luna di lei si dolse con voler più ardente.

La seconda peculiarità che si riscontra in Le Vergini è, dopo quella dell’assenza delle tipiche ritmiche marziali, il salto in avanti fatto nella sezione vocale grazie a Chiara Rolando, Carmen D’Onofrio (soprano lirico), Desiree Còrapi, Trevor (baritono) e l’Altro Coro di Milano, che ci regalano un gioiello di rara fattura. Un album all’apparenza più semplice del precedente concept sul Canzoniere di Petrarca, perché fondamentalmente di voci e piano, con gli sparuti inserti di archi e sint, ma che tale non è. Un’idea veramente interessante ed originale, quella di aver musicato le poesie di alcune cosiddette scrittrici minori e dimenticate dell’800 e del ‘500, “vergini folli” perché fuori dagli schemi per l’epoca in cui hanno vissuto e che per questo hanno fatto tutte una brutta fine: Isabella Di Morra, Cristina Trivulzio Archinto, Vittoria Aganoor Pompilj e Amalia Guglielminetti. Come appendice, se vogliamo, al precedente Vertute, Le Vergini contiene altri due commoventi sonetti petrarcheschi in musica, Pace non trovo e Quando ‘l sol.

Pace non trovo, et non ò da far guerra, e temo, et spero, et ardo, et son un ghiaccio, et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra, et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio.

Terza ed ultima caratteristica che rende questo disco assolutamente originale e sospeso nel tempo è il suono che vuole essere fortemente e smaccatamente datato, non solo in virtù del linguaggio antico dei testi ma anche e soprattutto dei pianoforti che sono stati utilizzati nelle registrazioni, strumenti a loro volta antichi che risalgono al diciannovesimo e al ventesimo secolo. Chiudono l’album alcune bonus track, come le stupende versioni solo piano e due brani dedicati alla Canzone alla Vergine sempre del Petrarca. Le Vergini Folli è un capolavoro, un’opera che va affrontata in modo totale ed esclusivo. Il consiglio, imprescindibile in questo caso, è di non farne un ascolto fugace ma un’immersione completa, a cominciare proprio dai testi, oppure, di non approcciarvi per nulla ad esso. (Charles)

Mi sibila vicina una maligna voce: «Destati; orsù, cammina, ripiglia la tua croce!»

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