L’Italia migliore: MESSA – Feast for Water

Ne avevamo parlato nel report dell’ultimo Tube Cult, e, anche grazie a quella prestazione memorabile, non potevamo esimerci dal parlare pure di Feast for Water, il secondo album dei trevigiani Messa. Non che il debutto Belfry ci fosse sfuggito, ma l’abbiamo semplicemente scoperto troppo tardi, e purtroppo è finito nelle manacce spietate di Charles, che non è riuscito ad esserne affascinato allo stesso modo. Ad ogni modo, quel disco si muoveva su territori a metà tra doom esoterico e ambient-drone, con le parti più canoniche basate su riff più classicamente sabbathiani che lo ancoravano alla tradizione stoner metal. Una delle caratteristiche più intriganti era poi la voce di Sara, che addolciva i momenti più claustrofobici con il proprio timbro evocativo che la poneva sulla scia delle migliori cantanti-sacerdotesse del doom metal.

Feast for Water segna in maniera netta uno slancio in avanti nello stile dei Messa. Innanzitutto la struttura dell’album, rispetto al precedente, è decisamente meno basata sul riff di chitarra, quindi meno tradizionale in senso sabbathiano del termine; di contro, le suggestioni drone sono meglio amalgamate alla trama portante dei pezzi, senza che questi ultimi si succedano l’un l’altro tendendo a seguire lo schema intermezzo-canzone-intermezzo. Il disco è dunque più omogeneo, più personale e più di ampio respiro, arrivando ad inglobare anche altre influenze rispetto al passato. Gli esempi più evidenti sono gli svarioni jazz presenti qua e là, grazie anche – ma non solo – all’utilizzo del sassofono, e al blastbeat della bella Tulsi, con tanto di screaming ad opera del batterista. 

In qualche maniera i Messa insistono molto sull’elemento acquatico. Il primo album si presentava con, in copertina, un’immagine del lago di Resia, in Alto Adige, famoso perché il campanile della città, rimasta sott’acqua a causa di una diga, svetta ancora ben oltre il pelo del lago. L’acqua è protagonista anche in questo secondo lavoro: non solo nel titolo, nella foto di copertina e nel video per il singolo Leah, ma anche nella sensazione generale di galleggiamento, per così dire; per la mancanza di punti di riferimento che si percepisce durante l’ascolto dell’album e che viene spezzata solo da alcuni episodi che è come se si inserissero su un continuo rumore bianco; ciò può essere visto come una conseguenza di quanto dicevamo prima a proposito dell’amalgama tra gli stili che su Belfry erano ancora nettamente separati, e, nello specifico, del fondersi della parte drone-ambient con quella più classicamente doom-stoner metal.

Feast for Water non è ovviamente il disco più originale o rivoluzionario del mondo, per capirci, e del resto nessuno pretendeva che lo fosse: ma viene reso memorabile dal modo in cui i tre musicisti interpretano la materia e – forse soprattutto – dalla voce di Sara, perfetta per confezionare il tutto e renderlo credibile. Bomba. (barg)

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