Chi si accontenta muore: CORROSION OF CONFORMITY – No Cross No Crown


Deliverance
del 1994 è stato un disco fondamentale. Il classico esempio di album che all’epoca era solo un disco bellissimo in mezzo ad un mare di uscite clamorose, e che in retrospettiva invece può divenire oggetto di dietrologie varie grazie a nuove e brillanti chiavi di lettura da parte di noi amanti degli sproloqui inutili su queste faccende. All’epoca i Corrosion Of Conformity erano alla fine di una lunga transizione durata dieci anni che, partendo dall’hardcore e passando per vari cantanti, era infine giunta a definire quel sound. Il quarto dei C.O.C., in maniera del tutto inconsapevole, ha gettato le basi di quello che diverrà un trend piuttosto popolare: mischiare il metallo di provenienza Iommi con gli umori tipici del sud degli Stati Uniti. Una tendenza che avrebbe trovato la sua forma più compiuta e definita nei Down di Phil Anselmo, nella prima produzione di Zakk Wylde e che poi avrebbe finito per influenzare in maniera evidente anche giganti allo sbando tipo i Metallica del post black album.

La mente dietro la trasformazione era il signor Pepper Keenan che, entrato nel gruppo come seconda chitarra, con il tempo si sarebbe preso il microfono, la leadership e anche la penna con la quale scrivere la grande maggioranza delle canzoni. E che avrebbe poi mollato la baracca una volta che i Down fossero divenuti un lavoro vero. Senza il suo maggior compositore, la band avrebbe tirato fuori lavori dai risultati quantomeno altalenanti ed è del tutto normale quindi che il rientro del figliol prodigo (dovuto in parte anche alla sosta forzata degli stessi Down in seguito all’eccesso di sauvignon blanc tracannato da Phil Anselmo nel backstage del Dimebash) avesse generato in noi metallari grandi e piccini aspettative entusiastiche.

La fiducia riposta però non è stata del tutto ripagata, e il motivo alla fine è sempre lo stesso: il metallo non è un paese per vecchi. Il disco che scrivi a 25 anni non è lo stesso che scrivi a 50. Ci può essere il caso isolato, il colpo di coda, ma in generale funziona così. No Cross No Crown prova a reimpossessarsi di una formula che loro stessi hanno contribuito a definire, ma si incastra in stereotipi che all’epoca non conoscevano, perché se li stavano appunto inventando. Dopo tutto questo tempo quelle soluzioni da istintive e spontanee suonano telefonatissime. Anche questo sarebbe un problema secondario se ci fossero i pezzi, e invece i pezzi non ci sono. Non c’è niente che ti faccia davvero saltare sulla sedia o che vorresti sentire dal vivo alla prima occasione utile. Non c’è nulla che davvero possa far pensare ad aver voglia di riascoltarlo da qui a un anno di distanza (figuriamoci a più di venti come per Deliverance o Wiseblood). 

Peccato, perché l’inizio promette benissimo: una semi-jam sembra emergere dal passato per prenderti per mano e portarti da qualche parte di indefinito; in un attimo ci si ritrova nella versione 2018 e pare che il tutto abbia un senso. La sensazione dura poco però, e già al terzo pezzo il giochino smette di funzionare. Dispiace dirlo, ma quello che non va è proprio Pepper Keenan: il suo essere mellifluo (passatemi il termine) anche nei momenti più aggressivi era una delle caratteristiche principali del suo stile, ma deve aver perso la voce e allora passa la maggior parte del tempo a strillare e farsi grattare la gola. Il risultato finale è che non suona più come se stesso.

Per un breve momento intorno alla metà l’album regala un bel picco imbroccando un paio di pezzi seri in sequenza (Forgive Me, Nothing Left To Say) ma poi ritorna a perdersi in una continua indecisione, rinunciando ad abbracciare con convinzione lo spleen sudista che a tratti emerge e che probabilmente sarebbe stata la scelta più giusta per questi signori oramai adulti. La titletrack è il tipico pezzo incompiuto che, se utilizzato all’interno di un album zeppo di roba, potrebbe essere un intermezzo perfetto, ma qui il posizionamento fra cose che non lasciano il segno ne esalta solo l’incompiutezza. Alla fine forse la traccia migliore è quella di chiusura: peccato però che sia solo una cover di un pezzo atipico dei Queen (quel riff con ogni probabilità Brian May lo scopiazzò al suo amico mancino con i baffoni, colui che sempre ci osserva).
Chiariamoci, in No Cross No Crown non c’è nulla di davvero brutto, però manca quel qualcosa che fa la differenza tra un grande disco e uno mediocre. L’avessero inciso al tempo non credo sarei mai diventato loro fan. E per favore evitiamo di portare la discussione su considerazioni da baretto quali “Eh ma in confronto alla merda che esce oggi questo è un signor disco…” No, scusatemi, non ci sto, non ci posso stare. Nella vita di tutti i giorni sono già abbastanza costretto ad accontentarmi di una gran quantità di cose che non mi piacciono o non mi soddisfano del tutto, vedi lavoro poco gratificante, vita monotona e via dicendo. Che anche il rock and roll debba sottostare a questa linea di pensiero lo trovo inaccettabile. Da un disco mi posso ancora permettere di pretendere qualcosa, pretendere che mi faccia perdere la brocca, che mi faccia venire voglia di spaccare la roba o quantomeno che per tre quarti d’ora non mi faccia pensare a tutte le rotture di palle di cui sopra. Su quello che la musica dovrebbe darmi non sono disposto ad abbassare l’asticella. Non ho alcuna intenzione di accontentarmi e infatti ora mi vado a risentire Deliverance tutto d’un fiato. Se a voi questo album va bene così è un problema solo vostro. (Stefano Greco)

9 commenti

  • confesso di non averli mai ascoltati ma il pezzo postato e’ veramente bello !

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  • Severo, ma giusto; tristemente, clamorosamente giusto.

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  • come al solito pensavo di essere pazzo a trovarlo poco interessante…ho visto sul altri siti fioccare voti altissimi e non riuscivo a spiegarne la ragione…meno male che ci siete voi

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  • A me i Corrosion hanno sempre fatto pensare ad un gruppo grunge. Mi trasmettono sempre quella sensazione di rabbia adolescenziale, tipica appunto del genere, ma in una versione più testosteronica e cazzuta. Dove il grunge sembrava fatto per far deprimere gli adolescenti, i Corrosion mi sembrano i cugini sudisti incazzati, con riff super pesanti e sbarramenti di suono, che ti stordiscono manco un sacco di mattoni, che ti arriva in testa dal quinto piano. Qua l’effetto tristezza e quella venatura che io percepisco come un po’ melanconica ogni tanto nella voce, sono quel momento in cui tutto questo si tramuta in forza e ti fa venire voglia di rialzarti e di prendere a calci tutti. Una versione del grunge, suonata a cazzoduro. Quindi sostanzialmente mentre il grunge non mi ha mai acchiappato tantissimo, loro invece si. Detto questo, concordo con El Greco sulla parte finale e sul titolo. Chi si accontenta muore e si può morire di tolleranza (come recitava il titolo di un album dei Tear me down). Quindi evitiamocelo.

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  • Deliverance aveva sicuramente le sue influenze grunge, da quel che ricordo. Altri album dei COC magari meno. In merito al nuovo album, pure io l’ho trovato piuttosto ordinario. La produzione è scadente a mio avviso, come capita spesso di questi tempi. D’altronde la gente non acquista più la musica come faceva una volta (me compreso, faccio mea culpa), e i soldini da investire in tale ambito sono pochi…e questi sono i risultati. Troppi i pezzi sull’album inoltre (ben 15!). Ci vorrebbe più qualità che quantità.

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  • sergente kabukiman

    ahi ahi Greco, mi hai messo in difficoltà, lo compro o no questo nuovo dischetto? Probabilmente si perchè non comprerò neanche il nuovo dei machine head(ma manco coi soldi di qualcun’altro la compro quella merda del cazzo) e il fatto di con comprare ne’ i COC e ne’ i MH me li fa mettere moralmente sullo stesso piano ed è una cosa che non posso accettare.

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  • Ascolta tutto prima di comprare! Negli anni ’90 quante fregature quando si acquistavano i CD a scatola chiusa…ma oggi non ci sono più scuse.

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