Avere vent’anni: gennaio 1998

LACUNA COIL – st

Ciccio Russo: Non ho mai amato i Lacuna Coil semplicemente perché non ho mai apprezzato il loro genere ed è per mera questione di gusti se ogni volta che li ho incocciati a un festival ne ho approfittato per rifocillarmi. Ciò premesso, i milanesi sono stati la prima band heavy metal italiana moderna a essere presa sul serio da una grossa indie internazionale: la Century Media, che si innamorò della demo inciso nel ’96 a nome Ethereal e li affidò alle sapienti manine di Waldemar Sorychta. I sei brani di questo ep di debutto sono perfettamente inseriti nella temperie gothic metal di fine anni ’90 e non sfigurano nel confronto con la concorrenza di allora. Cristina appare ancora debitrice delle sue influenze più illustri (Anneke Van Giersbergen, Lisa Gerrard) ma il suo timbro caldo e rotondo ammalia e convince. Ci possiamo fare le seghe quanto vogliamo su come potessero spaccare i nostri gruppi black metal underground di allora ma, salvo il ristretto milieu degli appassionati più ossessivi, prima dei Lacuna Coil le grandi etichette partivano prevenute se la cassettina arrivava dalla penisola. Tanti gruppi italiani che oggi si esibiscono in contesti internazionali devono qualcosa ai Lacuna Coil.

AMON AMARTH – Once Sent From the Golden Hall

Trainspotting: Uno dei più grandi enigmi della storia della musica è il successo raggiunto dagli Amon Amarth. Ho sempre forse avuto troppa stima dei miei fratelli del vero metal per pensare che potessero dare così tanto spazio ad una band del genere: certo, ce ne sono tanti di gruppi che hanno guadagnato un seguito nutritissimo pur facendo schifo, ma gli Amon Amarth non si sono mai posti sul piano dei Dimmu Borgir post-Enthrone, o di altri su quel filone. Gruppo svedese con tutti i crismi, formalmente ineccepibile, eppure di una noia mortale. Questo sono gli Amon Amarth: una noia mortale. Once Sent From the Golden Hall è il loro primo, nonché migliore, disco, e se tutto fosse finito con le note finali della conclusiva titletrack probabilmente ne staremmo parlando in maniera diversa. Invece questi continuano a suonare ancora adesso, dopo dieci dischi in larga parte tutti uguali, con un plotone di persone che li prende in maniera serissima. Dopo aver ascoltato una volta Once Sent From the Golden Hall non viene voglia di riprenderlo dall’inizio; non subentra ancora il fastidio che domina l’ascolto dei loro album successivi, ma non mi sento comunque di poter dire niente di particolarmente positivo su questo incomprensibile fenomeno di massa.

PRIMORDIAL – A Journey’s End

Ciccio Russo: All’inizio di ‘sto disco doveva parlarne il Giardina, che poi ha fatto marcia indietro asserendo che non saprebbe che scriverne. Ho quindi tentato di sbolognarlo prima a Charles (“Ci ho riprovato ma mi scassano troppo il cazzo“) e poi a Roberto (“Li ho sempre apprezzati concettualmente ma non li sento mai“). Allora, che diamine, ne scrivo io, in fondo l’avevo comprato appena uscito, ingolosito dalle recensioni entusiaste e dal fatto che uscisse per la cultissima Misanthropy Records, la stessa di Burzum. Confesso che lo accantonai quasi subito, un po’ deluso, e che mi rimase davvero impresso solo il folk acustico di Dark Song. Riascoltato con orecchio più maturo, A Journey’s End è un disco suggestivo e dalla forte potenza evocativa che ebbe il merito di raccogliere quello stendardo dell’avantgarde black metal che le band norvegesi avevano iniziato ad abbandonare. Capisco benissimo come tanta gente lo trovi splendido, se non un capolavoro. Ma, non me ne vogliate, alle mie orecchie i Primordial rimangono un band un po’ ostica e dura da digerire, che non è mai riuscita a coinvolgermi, sebbene ogni volta che pubblicano un album dia loro una chance. De gustibus (dom Sathanas).

VANDEN PLAS – The God Thing

Marco Belardi: The God Thing è il principio del periodo più prolifico della carriera dei Vanden Plas, iniziato appunto qui e terminato poco più di dieci anni fa, quando realizzarono l’ambizioso Christ 0 ispirandosi ad un celebre scritto di Alexandre Dumas. Se dovessi scegliere due loro album a cui sono particolarmente affezionato, non esiterei nel nominare questo e Beyond Daylight del 2002. Eppure, vent’anni fa nei Vanden Plas era ancora fin troppo evidente l’ispirazione che tedeschi traevano in maniera piuttosto palese dai Dream Theater. Il disco di cui sto parlando non ha ancora la relativa durezza di Beyond Daylight,  ma si regge su un suono vivo e capace di risaltare le capacità di ogni strumentista. In particolar modo mi viene da soffermarmi sul basso di Torsten Reichert, sempre perfettamente udibile e in grado di imbastire trame efficaci, e sulla vera stella del gruppo, quel Günter Werno che oggi è nei Place Vendome di Michael Kiske. Brani piacevoli, un livello di preparazione alto ma una personalità ancora da affinare fanno di questo The God Thing un tassello importante della carriera dei Vanden Plas, ma non il più celebrato negli anni a venire.

…AND OCEANS – The Dynamic Gallery of Thoughts

Trainspotting: E parlando di gruppi che non hanno raccolto quanto meritassero, difficilmente mi vengono in mente esempi più calzanti dei finlandesi And Oceans, gruppo sconosciuto alla grandissima parte dei metallari ma che, oltre ad aver registrato dischi bellissimi, ha anche fatto tanto per l’evoluzione del movimento black metal. Non che loro avessero cercato disperatamente la fama: non tanto per la scarsissima attività live, ma soprattutto per i cambi di nome: basti sapere che ora si fanno chiamare Festergeist, dopo un periodo passato come Havoc Unit (ed è, in totale, il settimo cambio di moniker); e conoscere i membri era un’impresa, quantomeno quando non c’era internet: loro sono sempre stati più o meno gli stessi, ma ogni tanto cambiavano nickname, scegliendosi peraltro nomignoli piuttosto cretini oltre che impossibili da ricordare. The Dynamic Gallery of Thought, il debutto, è un disco di avantgarde black metal potente, melodico, variegato e ricchissimo di spunti, che gli And Oceans sfruttavano a volte nell’arco di una sola canzone e poi abbandonavano, per passare ad altro. Già il seguente The Circle of I – The Symmetry of O sarà molto diverso, per non parlare dei successivi. Riascoltare adesso pezzi come Trollfan, Je te Connais Beau Masque o la meravigliosa Halo of Words dà una vaga idea di quanto enormi siano stati gli And Oceans, anche solo per il fatto che questi tre pezzi sembrano usciti non dico da tre gruppi diversi, ma quantomeno da diversi stadi evolutivi dello stesso gruppo. Un giorno, lo giuro, mi deciderò a scrivere uno speciale su di loro.

MERCENARY – First Breath

Ciccio Russo: Esordio di una band danese poi destinata a un discreto successo di pubblico e critica. First Breath, riascoltato oggi, è un disco interessante per la sua capacità di anticipare trend destinati a esplodere di lì a poco o, in alcuni casi, parecchi anni dopo. La maggior parte dei brani corre sui binari di un thrash moderno e panteriano ai limiti del nu metal con ritornelli ariosi e stacchi in mid-tempo che sono deathcore ante litteram. A sparigliare le carte sono però pezzi come Horizon e Graveart: arpeggi, riff power metal, cori femminili, refrain con voce pulita; praticamente i Soilwork prima dei Soilwork. Al di là delle curiosità da archivista, non ci sono però molti altri motivi per recuperare First Breath, che soffre della lunghezza eccessiva e di una certa ripetitività di fondo. I Mercenary faranno molto meglio con il successivo Everblack.

ASTARTE – Doomed Dark Years

Trainspotting: In quella meravigliosa anomalia che fu la scena black metal greca degli anni novanta c’era posto anche per un’ulteriore livello di anomalia: le Astarte, trio tutto al femminile, che in qualche modo riuscirono a far parlare di sé anche per la musica. E Doomed Dark Years, il debutto, è un interessante dischetto di black primordiale che al forte legame con l’ortodossia unisce una buona dose di personalità. Gli elementi melodici ed evocativi, molto presenti anche grazie all’ampio uso di tastiere, riescono a unirsi benissimo al contesto senza mai risultare pacchiani o invadenti; a differenza di moltissimi loro compatrioti, però, nelle Astarte non si sentiva poi così tanto la Grecia, e Doomed Dark Years sarebbe probabilmente potuto essere composto anche da un gruppo del Nord Europa. Appartiene comunque a quella schiera di album che all’epoca passarono in sordina soffocati dalla grande quantità di gruppi presenti nella scena e di capolavori che uscivano in successione, ma che oggi, a mente fredda, meriterebbe una riscoperta.

KATATONIA – Saw You Drown

Edoardo Giardina: Per quanto alcuni album successivi siano fantastici, i primi Katatonia hanno probabilmente lasciato un vuoto (incolmabile anche dagli October Tide) in tutti i metallari più sentimentali ed emotivi. Se così non fosse non riuscirei a spiegarmi la gente che ai loro concerti chiede ancora a gran voce Without God (l’ultimo in cui mi è capitato di assistere a questa scena era nel 2012). E riascoltando di recente, dopo molto tempo, Dance of December Souls e Brave Murder Day, mi sono reso conto che mi ero dimenticato quanto fossero eccezionalmente ispirati all’epoca. Saw You Drown arriva in una fase, quindi, di assestamento del loro estro creativo. Ed è la prima vera svolta stilistica della loro carriera: niente più growl, logo diverso e basta con Åkerfeldt alla voce. Il risultato è una specie di gothic rock molto metalloso che era già nell’aria con Day e con Scarlet Heavens – traccia finale di questo EP pubblicata per la prima volta nel 1996 in uno split con nientepopodimeno che i Primordial. Per me in Saw You Drown sono davvero contenute alcune delle migliori tracce non solo del successivo Discouraged Ones, ma di tutta la discografia dei Katatonia. Perché non esagero quando dico che, la prima volta che la sentii, Quiet World mi mandò in fissa irrecuperabile per molto tempo.

BONGZILLA – Methods For Attaining Extreme Altitudes

Ciccio Russo: Oggi lo sludge a tema psicotropo è un filone affollatissimo che raccoglie centinaia di band (possibilmente con la parola “Bong” nel moniker), tutte impegnate a suonare lo stesso riff in condizioni di lucidità precarie. Allora ‘sta roba era un fenomeno ultraunderground che appariva indigeribile ai più. Per tirarlo fuori dai bassifondi, ci volle un’etichetta coraggiosa e di larghe vedute come la Relapse, che nel ’98 pubblica il primo mini dei Bongzilla, allora uno sfigato quartetto che aveva inciso un paio di 7″ e qualche split con personcine mica male come i pionieri Cavity e i misconosciuti, ma notevolissimi, Hellchild. Riff monolitici e dilatati, la voce ridotta a uno screaming alla carta vetrata, campionamenti di ogni sorta, da pellicole sulla “war on drugs” a versi di animali, titoli inequivocabili come MelovespotI ♥ MaryJane. L’anno dopo sarebbe arrivato il debutto sulla lunga distanza Stash, ristampato una decina d’anni fa in un unico cd insieme a questo ep.

 

9 commenti

  • Sugli Amon Amarth io invece la penso diversamente.. o meglio: questo album -e ancora di più il primo mini sorrow through…- sono due capolavori, ancora ascrivibili al death metal melodico e con un tocco di ruspante epicità che nel genere trovava poco spazio. Ora sono un gruppo decisamente distante da queste mazzate, la prova è che sono almeno 6-7 anni che non suonano più nessun brano degli esordi… sono diventati uno dei gruppi “di ingresso” per ragazzini e hanno capito che fare i manowar più o meno estremizzati è una scelta vincente. ma questo disco è perfetto, teso, pesante, con un batterista fenomenale (martin lopez) e una produzione al top per l’epoca.
    Lacuna coil: anch’io non amo il genere, ma concordo su tutto quello che avete scritto. Da ricordare anche la stronzaggine e l’invidia che hanno dovuto sopportare per il loro meritato successo (es. fischi nei festival, niente recensioni su alcuni portali perchè “fuori dalla linea editoriale” e altre cagate simili).

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    • sull’invidia devo darti ragione e vale in tutti i campi, sembra essere quasi peculiare qui da noi, ho avuto esperienze di lavoro all’ estero e non e’ cosi palese, forse sono bravi a nasconderlo dietro una gentilezza di facciata,come in germania o inghilterra e noi siamo piu’ diretti, o forse siamo solo piu’ maluducati.( scusate la divagazione per niente musicale ).

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  • so che qui dentro sono tra i pochi ad adorare gli amon amarth… non tutti gli album per carità

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  • ah invece i lacuna coil mi han sempre fatto schifo. sono in sei ma ne bastano quattro, trovo insulsa la voce maschile, lei molto brava ma le canzoni non mi dicono niente (fa eccezione l’album karmacode che mi pareva carino). poi da che ho visto i moonspell suonargli di spalla (come dire pavarotti che apre per il volo, eddai su) nel 2004 non posso non ammettere di aver una qualche ulteriore forma di prevenzione

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  • Io invece gli Amon Amarth li adoro… Neanche io mi spiego il successo spropositato che hanno avuto (e probabilmente neanche loro), ma sono fortemente legato ai loro primi dischi (diciamo fino a Twilight of the thunder God, quelli dopo molto meno).

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  • gli Amon Amarth presenza fissa nella mia playlist da palestra. Fanno più o meno lo stesso disco da Vs the World, con i due precedenti più simili a Once Sent (che resta il migliore in assoluto e per distacco), ma azzeccano sempre un paio di pezzi che pompano e qualche svarionata epico melodica alla Cry of the Black Birds che mi conquista. Senza contare che come gruppi d’ingresso c’è di mooolto peggio in giro…

    riguardo ai Katatonia, è loro abitudine spargere grandi pezzi in Ep, singoli, edizioni bonus e cose così. Saw You Drown non fa eccezione: Quiet World e Scarlet Heavens sono mostruose, e fanno rimpiangere che non si siano soffermati un po’ di più su queste sonorità (già su Discouraged si va su territori diversi)

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  • pantarei pantaleo

    certo che quest’anno uno speciale “avere 30 anni” dedicato ai vari south of heaven, and justice for all eccetera ci starebbe…

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